12 settembre, 2006

Gli strani giochi su Telecom Italia e TIM

Gli azionisti di riferimento del gruppo Telecom, guidati da Tronchetti Provera, hanno deciso nei giorni scorsi di concentrare le attività del gruppo sui servizi di media e larga banda non solo in Italia, ma anche in Europa, scorporando, di conseguenza la vecchia Tim da poco fusa in Telecom Italia, e la rete fissa, ovvero il complesso di cavi e centrali su cui corrono voce e dati. Meno di due anni fa il piano industriale del gruppo sventolava ai quattro venti i vantaggi della sinergia tra telefonia fissa e mobile, mentre oggi viene sostenuto l'esatto contrario.

La realtà è che, entrambe le operazioni, camuffate da scelte industriali, hanno seguito una logica puramente finanziaria: nel primo caso per agevolare l'afflusso nelle società controllanti del cash flow generato da TIM ed ora per affrontare l'emergenza del debito del gruppo, preparando un pacchetto appettibile da porre sul mercato, in sostituzione di Pirelli Tyre i cui tentativi di vendita sono sfumati. Perfetta è la lettura di Orazio Carabini su Il Sole 24 Ore di oggi, quando sostiene che "lo 'spezzatino' deciso ieri non è il migliore epilogo che si potesse immaginare per la storia della privatizzazione di Telecom Italia. È però un episodio emblematico dello stato di salute del capitalismo italiano, troppo schiavo dei debiti per vincere le partite che contano".

Se ci si allontana, per un istante dagli affari da rigattiere, come è stato definito nei giorni scorsi da Beppe Grillo, di Tronchetti Provera e si segue il filo sottile della strategia industriale, quello dichiarato, che non prevede la cessione, è il tentativo di un modello British Telecom, come evidenziato da Finanzablog, che "scorporò il settore mobile da quello fisso nella O2. Con i soldi dell'operazione adattò la rete fissa a internet. La separazione societaria gli permise di aggirare l'Antitrust. L'effetto oggi è che Bt è la migliore telecom d'Europa per andamento in Borsa. Ma funzionerà in Italia? E se, come sembra, nessuno si facesse vivo, la separazione societaria (che in Uk ha convinto l'Authority) persuaderà la nostra Antitrust?".

Dall'Inghilterra, The Indipendent si sofferma proprio su queste analogie per metter in discussione un modello di business che sembrava ormai consolidato; nell'articolo intitolato "I giganti della telefonia non si trovano in accordo sulla convergenza" si osserva come "per alcuni anni vi sia stata una forte tendenza nel settore verso la convergenza. Aziende di telefonia fissa, operatori mobili, aziende dei media, e operatori via cavo hanno investito per espandere le loro operazioni e offrire un pacchetto integrato di servizi di telecomunicazione. La decisione di Telecom Italia, un inversione di marcia che ha scosso il mercato, potrebbe suggerire che integrare linea fissa e telefonia mobile non sia così prioritario come il settore dava per assunto". Risulta più perplesso il giudizio di The Times che evidenzia come "la mossa di separare il fisso dal mobile sia in completo contrasto con le strategie seguite dai suoi rivali come Vodafone o France Telecom. Al crescere della concorrenza in Europa, questi stanno giocando tutto sull'offerta di servizi convergenti."

Ci riporta sulla terra lo spagnolo El Pais ("Telecom Italia prepara la vendita della diviosione mobile e si allea con Newscorp") ricordando come "il debito del gruppo obbligava a vendere delle immobilizzazioni, e l'unica vendita in grado di sanare i conti è quella di TIM, leader della telefonia mobile in Italia e principale responsabile dei profitti di Telecom. La necessità di disfarsi di TIM ha obbligato Marco Tronchetti Provera a inventare una nuova strategia, e così sono comparse la media company e Rupert Murdoch". La parola fine su ogni valutazione di strategia industriale arriva dal New York Times ("La compagnia telefonica italiana sta pianificando di dividersi in due") e dalle parole di Lars Godell, senior analyst al Forrester Research, riportate nell'articolo: "La fusione è costata 100 milioni di euro. Ora Telecom dovrà spendere altrettanto per la scissione. La ragione è la situazione finanziaria di Telecom Italia e non ha nulla a che fare con le tendenze del settore". Una situazione finanziaria che come ricorda Business Week Online ("Telecom Italia perde un arto") lasciava aperte due possibilità: "o vendere una quota di minoranza o di controllo nel gruppo, con una perdita, o vendere una componente profittevole come la telefonia mobile, dal valore superiore ai 30 miliardi di Euro".

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