29 gennaio, 2010

GOVERNO ALL’ATTACCO

L’esproprio di Telecom

I l governo continua a volere la botte piena e la moglie ubriaca. Lo ha ribadito ieri Paolo Romani, viceministro con delega alle telecomunicazioni e a tenere sotto pressione l’ad di Telecom Franco Bernabé. Romani dice che se Telecom dovesse fondersi con la spagnola Telefònica (oggi azionista della holding Telco che controlla Telecom), la rete resterà sotto il controllo italiano. Davvero il governo pensa che gli spagnoli saranno così sprovveduti da comprarsi Telecom senza il suo asset principale, l’infrastruttura di cui ha il (quasi) monopolio? Sarebbe come provare a vendere a qualcuno un’auto tenendosi però il motore e il diritto di decidere quando deve essere acceso. “la rete non sarà espropriata”. dice Romani. Intanto, però, il governo espropria Bernabé del suo diritto a decidere le sorti di un’azienda quotata in Borsa.

25 gennaio, 2010

QUESTA E' UFFICIALE VIENE DA UN SITO LEGATO AL GOVERNO

L'impegno del Pdl per lo sviluppo della banda larga


di Andrea Camaiora
camaiora@ragionpolitica.it

sabato 23 gennaio 2010

Una forza politica è anche una forza di governo quando, al medesimo tempo, esprime uomini delle istituzioni, capacità programmatica e relazione con il tessuto sociale o produttivo al quale intende rivolgersi. Venerdì, a Roma, Fabrizio Cicchitto ha mostrato come si può far percepire tutta la forza di un partito di governo. Lo ha fatto mettendo insieme il ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, il presidente della IX Commissione della Camera, Mario Valducci, il viceministro Paolo Romani, il responsabile del settore attività produttive del Pdl, Pierluigi Borghini, e gli amministratori delegati di Telecom Italia, Fastweb, Vodafone, Wind, oltre ai rappresentanti di Mediaset e Anie. La fondazione Rel - Riformismo & Libertà - ha così inaugurato la propria attività con un convegno assai partecipato nel cuore della Capitale, a poche centinaia di metri dalla storica sede dei socialisti lombardiani di cui Cicchitto è stato un esponente di punta.

Il capogruppo Pdl a Montecitorio ha commentato «la prospettiva di una possibile fusione tra Telecom Italia e la spagnola Telefonica», sottolineando il rischio di un impatto negativo sugli investimenti in Italia. «Cosa possiamo aspettarci da questa fusione? Il rischio che noi vediamo - ha detto Cicchitto - è che da questa fusione possa esservi un interesse soprattutto alla gestione di cassa, non avendo la possibilità di trovare la crescita. Quindi c'è il rischio di vedere una riduzione degli investimenti in Italia. Ecco: questo rischio va scongiurato». Per Cicchitto il rischio di un freno agli investimenti in Italia deriva dal fatto che «se tale fusione avvenisse, sarebbe il primo caso in Europa di una fusione tra due ex monopolisti», quindi di due operatori che «non hanno capacità-possibilità di crescere sul mercato interno». Per l'esponente del Pdl «più che i temi di italianità della rete, la cosa più grave sarebbe quella di vedere il nostro paese arretrare per via di un mancato interesse, ma non perché non sono italiani, non per motivi di nazionalismo, ma per motivi strategici aziendali».

Poi è stato il turno del ministro Scajola, che è entrato nel vivo dell'argomento, lo sviluppo della banda larga in Italia, coerentemente con il titolo del convegno: «Banda larga. Costruiamo l'autostrada della conoscenza». Il ministro ligure ha immediatamente sottolineato come «uno dei molti meriti del nostro governo è stato quello di aver portato la banda larga al centro del dibattito sulle infrastrutture strategiche del paese. Oggi - ha proseguito Scajola - la banda larga è da tutti considerata un fattore determinante per lo sviluppo economico dell'Italia. Agli inizi degli anni Novanta eravamo, infatti, all'avanguardia in Europa, mentre i più recenti dati della Commissione Europea ci collocano oggi solo al 17° posto nella graduatoria dei paesi europei. Negare all'Italia un'infrastruttura di rete innovativa, che raggiunga capillarmente l'intero paese, significherebbe tagliarci fuori dal futuro. Questo riguarda tutti gli italiani: non solo gli 8 milioni penalizzati dal digital divide. Se non siamo tutti connessi, nessuno di noi potrà godere appieno dei vantaggi propri dell'economia della Rete».

Il ministro ha quindi fatto esplicito riferimento al peso geopolitico della nazione, mettendolo in relazione con la competitività delle imprese, con il sostegno alla vetrina virtuale del «made in Italy» e infine con il rischio reale di penalizzazione delle giovani generazioni. Per tutte queste ragioni, l'esecutivo ha varato «Italia a 20 megabit», il piano del ministero dello Sviluppo Economico per superare il digital divide. «Il Piano per la banda larga - ha spiegato Scajola - è già operativo in collaborazione proficua con le Regioni e gli Enti locali. Nel 2009 abbiamo siglato accordi con 7 Regioni e prossimamente diventeranno operative le collaborazioni con quasi tutte le altre. Un importante risultato del Piano è stato anche quello di coordinare tutti gli interventi sul territorio, che sino alla nostra azione sono stati condotti in modo autonomo e scollegato da amministrazioni pubbliche e operatori, con sovrapposizioni, duplicazioni e, quindi, dispersione di risorse. Abbiamo pertanto indirizzato al Piano tutti i fondi reperibili: oltre 130 milioni di euro nel 2009, tra fondi statali e regionali, già messi a gara e assegnati. Nel 2010 impegneremo ulteriori 200 milioni di euro - già disponibili - e forse anche risorse aggiuntive. Con questo Piano non elimineremo solo il digital divide: aggiorneremo la Rete, garantendo al 96% degli italiani una capacità di banda sino a 20 megabit e al restante 4% una connettività senza fili più modesta, ma che assicurerà comunque una connessione di almeno 2 megabit».

Scajola ha proseguito il suo intervento affermando: «Sappiamo bene che tra dieci anni, con gli attuali tassi di sviluppo nell'utilizzo della Rete, servirà una velocità di banda ancora più elevata, molto più elevata, che potrà essere garantita solo dalla fibra ottica. La fibra sarà necessaria entro i prossimi dieci anni per il 40-50% della popolazione, concentrata nei centri urbani e nei distretti industriali. È lì, dunque, che dobbiamo arrivare, senza ritardi! Solo lo 0,5% delle nostre connessioni dispone della fibra ottica, contro il 7% della Svezia, che è prima in Europa per numero di accessi, il 15% della Corea, il 12% del Giappone e il 4% degli Stati Uniti. Per l'Italia si pone un problema di natura industriale. Oggi, anche per effetto della crisi economica, il settore delle telecomunicazioni non sembra avere le capacità d'investimento necessarie per realizzare da solo un progetto così ambizioso. Abbiamo intenzione di promuovere uno strumento - che potrebbe assumere la forma di una società ad hoc per la Rete in fibra - in grado di coinvolgere il maggior numero di operatori del settore. Una società della Rete in fibra, che potrà svolgere un ruolo da protagonista nella costruzione dell'infrastruttura evoluta di Tlc di cui il paese ha bisogno. Coinvolgeremo tutti gli operatori, a partire da Telecom, e le istituzioni, in particolare l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni». Dopo tante polemiche il Pdl offre una soluzione concreta allo sviluppo della banda larga lungo la Penisola.

RAGION POLITICA .it

23 gennaio, 2010

ASSEDIO A TELECOM IL GOVERNO LANCIA L’A S S A L T O FINALE ALL’AD FRANCO BERNABÈ


di Stefano Feltri
L’ultimatum del governo a Franco Bernabé, l’amministratore delegato di Telecom, adesso ha anche
una data di scadenza:“Dopo le regionali serviranno soluzioni forti su questi temi”, dice Mario Valducci, Pdl, presidente della Commissione trasporti della camera e tra i più attivi della maggioranza su Telecom Italia. I “temi” sono quelli che vedono il governo e Bernabé su due posizioni opposte e inconciliabili: uno vuole subito una nuova e costosa infrastruttura, la rete di banda larga, l’altro dice che è inutile (e che comunque non vuole essere lui a pagarla). La divergenza era nota da tempo, ma ieri si è tenuto a Roma un convegno promosso dai piccoli azionisti Telecom e dalla fondazione Rel che fa capo a Fabrizio Cicchitto – che si inserisce in un contesto dove la velocità del cambiamento sta accelerando.

IL CONVEGNO. Il governo non poteva essere più esplicito. In una sala affollata da tutti i dirigenti del settore, da Fastweb a Vodafone, ha fatto capire cosa si aspetta da Telecom. Il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, dice che la rete in fibra ottica costa 8-10 miliardi di euro (le stime di Bernabé sono sempre state superiori), che ci sarà un “incentivo statale” di cui si sta discutendo per favorire l’accesso a Internet e creare quindi le condizioni di domanda che giustifica l’investimento, che al Paese serve una sola rete “di nuova generazione” che dovrà essere costruita da Telecom insieme ad altri soggetti (tra cui Mediaset, molto interessata a evitare che la tivù via web insidi il nuovo equilibrio che la vede in una posizione di forza nel mercato digitale). “Telecom dovrà cedere quote della propria rete”, dice Cicchitto, anche alla Cassa depositi e prestiti, emanazione del ministero del Tesoro.
Il rientro dall’investimento si otterrà “in otto-dieci anni”. Se Bernabé non ci sta, sembra essere il sottinteso, può andarsene.
Anche il ministro allo Sviluppo, Claudio Scajola, spiega che si arriverà a “una società ad hoc per la rete in fibra ”, in cui Telecom avrà un ruolo ma non sarà più la sola ad avere il controllo dell’infrastruttura. Scajola dice che dovrà essere coinvolta anche l’Agcom, l’autorità garante per le telecomunicazioni, che però non è stata invitata al convegno (manca anche l’Antitrust).

LA DIFESA. Bernabé replica che lui risponde soltanto agli azionisti: “Noi andiamo avanti con il nostro piano industriale”. Secondo l’amministratore delegato, in Italia non c’è bisogno di una rete in fibra ottica costruita ex novo – “le regioni che l’hanno costruita ora non sanno bene che farsene” ma di una combinazione tra potenziamento di quella attuale in rame con innesti, dove serve, di fibra ottica.
Il senso della sua opposizione al progetto del governo è questo: la banda larga (o ultralarga, come si dice ora), serve quasi soltanto per scericare in fretta i file video. E visto che la grande maggioranza l’amministratore delegato, in Italia non c’è bisogno di una rete in fibra ottica costruita ex novo – “le regioni che l’hanno costruita ora non sanno bene che farsene” – ma di una combinazione tra potenziamento di quella attuale in rame con innesti, dove serve, di fibra ottica.

Il senso della sua opposizione al progetto del governo è questo: la banda larga (o ultralarga, come si dice ora), serve quasi soltanto per scaricare in fretta i file video. E visto che la grande maggioranza dei video viene scaricata in modo illegale, senza ritorni economici per chi offre la connessione, non c’è alcuna ragione commerciale per costruire la nuova infrastruttura.
Anche perché Cicchitto ha messo in chiaro che la banda larga non sarà sviluppata con soldi pubblici – il governo si limiterà a incentivi mirati e occasionali – ma con quelli di Telecom e dei suoi concorrenti o produttori di contenuti, come Mediaset (che infatti era presente al convegno). Chi segue da vicino questi dossier, poi, non manca di notare come l’attacco governativo a Bernabé arriva proprio nel momento in cui Mediaset inizia a blindare i contenuti che ha on-line, mentre la direttiva europea “Televisione senza frontiere ” è stata recepita nel modo più restrittivo per Internet (dirette via web sottoposte ad autorizzazione ministeriale, obbligo di rettifica per quello che viene detto da web tv e web tg).

LA PROPRIETÀ. Mentre lo scontro sulle strategie industriali cresce, la situazione dell’assetto proprietario di Telecom è sempre più confusa. La società è controllata dalla holding Telco, i cui azionisti principali sono l’azienda spagnola Telefònica e tre soci finanziari italiani, Mediobanca, le Assicurazioni Generali e Intesa Sanpaolo.
Da settimane circola l’ipotesi che Telco e Telefonica siano pronte a fondersi, con i soci italiani che uscirebbero dall’investimento (bisognerebbe però decidere prima cosa fare della rete). Ieri Cicchitto ha detto che questa opzione non è auspicabile, “perché sarebbe l’alleanza tra due ex monopolisti, Telecom e Telefònica, che avrebbero entrambi più interesse a gestire la cassa che a fare investimenti”. Due giorni fa è arrivata un’altra ipotesi: fusione tra Telco e un piccolo azionista di Telefònica, la holding Criteria. Su richiesta della Consob i soci italiani hanno smentito (e lo stesso ha fatto Telefònica). Ma in Borsa il titolo Telecom ha registrato un rialzo molto superiore alla media del mercato: +4 per cento. Anche se tutto si decide a livello di Telco – e quindi non ci sarà nessuna offerta pubblica di acquisto sulle azioni Telecom e nessuna prospettiva di vero guadagno per i piccoli azionisti – la Borsa sembra credere che qualcosa stia per succedere .

GERONZI . Non ci sarà un’altra scalata ostile, come fu quella ai tempi della privatizzazione, nel 1999, e neanche un’operazione come quella di Marco Tronchetti Provera: Telecom ha già troppi debiti (34 miliardi) per affrontare altri riassetti fatti a spese sue. Ma le cose si stanno muovendo e tutto passa dalla Mediobanca di Cesare Geronzi.
Anche se ieri il comitato esecutivo, presieduto da Geronzi, si sarebbe limitato a “operazioni di routine” è chiaro che il futuro assetto proprietario di Telecom viene discusso in questi mesi nelle stanze di Piazzetta Cuccia (e in quelle romane di Palazzo Chigi, nello specifico negli uffici di Gianni Letta). Ci sarebbe proprio Geronzi, sostengono fonti vicine alla vicenda, dietro questi piani anticipati dalla stampa e poi smentiti dalla stessa Mediobanca, da Intesa Sanpaolo e dalle Generali.
Per tastare il polso al mercato (e a Intesa che vorrebbe uscire da Telco ma senza rimetterci
troppo) in attesa che, d’accordo con il governo, si arrivi alla soluzione definitiva.

IL FATTO QUOTIDIANO 23-01-2010 PAGINA 10

TELECOM: SLC-CGIL “DIFFICILE ROMPERE UNA TRATTATIVA CHE NON C’E”

“E’ quanto mai curiosa la notizia apparsa recentemente su alcuni quotidiani per cui sarebbe in corso una trattativa su 4000 nuovi esuberi. Non vi è nessuna trattativa in corso, per cui sarebbe anche difficile romperla”. Così dichiara in una nota Alessandro Genovesi della Segreteria Nazionale di SLC-CGIL.

“Discorso diverso se, invece, si riporta la posizione di SLC-CGIL di un’assoluta contrarietà ad affrontare qualsivoglia confronto sullo sviluppo di Telecom Italia partendo esclusivamente da altri tagli al personale, eventuali nuove esternalizzazioni, delocalizzazioni, ecc. Non è una posizione nuova (e quindi non dovrebbe fare notizia), infatti, quella per cui SLC-CGIL attende di verificare prima gli obiettivi industriali (e gli investimenti) del prossimo piano e solo dopo – avendo visibilità del tutto – valutare con i lavoratori il da farsi. Sapendo che i problemi veri di Telecom sono il debito, il futuro della rete, gli investimenti, il mantenimento delle integrazioni con i servizi di customer, di vendita e di staff”.

“Ribadiamo – conclude il sindacalista – la nostra totale contrarietà ad un modello Telefonica fatto di riduzioni ulteriori di attività, di riduzione del personale e dei perimetri aziendali”.

“In merito ai 4000 esuberi annunciati a fine 2008 (forse a quelli si riferiscono i recenti articoli) li abbiamo contrastati e continueremo a farlo: chiedendo all’azienda quel senso di responsabilità che negli ultimi tempi non ha mai dimostrato di avere”.

14 gennaio, 2010

AGGIORNAMENTI DA PISTOIA

Tutta altra storia è la questione della raccolta di solidarietà con i
lavoratori/trici di phonemedia/answers di pistoia.
Oggi c'è stata l'assemblea con il segretario nazionale della
SLC/CGIL Emilio Miceli; ne ho approfittato per portare i soldi raccolti per il
mese di gennaio (non li ho raccolti a tutti quelli che hanno dato
disponibilità, sia per le festività che per impossibilità che ho avuto
per passare... ma comunque ho l'elenco, quindi piano piano passo da
tutti....).

Per questa seconda raccolta abbiamo raccolto 1620 euro.
Con questi soldi abbiamo deciso di fare una cosa un pò diversa dalla
prima volta.
Sulla base del principio che "chi più spende meno spende", sono
andato al mercato delle cure (che per 6 sabati ha donato una decina - una volta
una quindidicina - di casse di frutta e verdura) e ho chiesto se mi
permetteva di acquistare frutta e verdura direttamente all'ingrosso al
prezzo al quale loro comprano la frutta e verdura; ovviamente hanno
accettato e stamani sono andato all'ingrosso con uncamion 35 quintali e
un furgoncino (Kangoo) e li ho riempiti di casse di frutta e verdura.
Più di cento casse di frutta e verdura (mi ricordo di 150 chili di
patate e 30 casse di arance....) per 370 euro (e, udite!! udite!! mi
hanno fatto anche lo scontrino!!!!).

Allora abbiamo deciso di dare 1000 euro per le famiglie che ne hanno
bisogno e di utilizzare i 250 euro rimasti per un altro "viaggio"
di frutta e verdura.

Ovviamente tutta questa operazione è stata spiegata in assemblea ed è
stata molto apprezzata.

Quindi, ricapitolando, 1620 euro raccolti, 1000 euro donati, 370 euro
per pagare frutta e verdura, e 250 rimasti per un altra viaggio (credo
venerdì 22 gennaio).

Per quanto riguarda la loro situazione, ancora sono nel casino: la
vertenza va avanti, ma è legata ai tempi dei tribunali fallimentari,
mentre le bollette, la spesa, i figli, hanno necessità e tempi ben
diversi...
Come CGIL di Pistoia abbiamo fatto un'operazione che ha del miracoloso:
con la garanzia della regione toscana (dovremo fare un monumento alla
giunta regionale toscana!!!) una banca ha anticipato due mesi di
stipendio non riscossi (ottobre e novembre) dando così un minimo di
fiato a queste famiglie....

Da oggi è poi ripartita la distribuzione dei fondi della cassa di
resistenza attivata dalla CGIL, visto che ad oggi i fondi sono tali da
poter coprire un numero significativo di famiglie.

Comunque a febbraio ci saranno le udienze che dovrebbero dare una
risposta a questo problema, ma i tempi della giustizia sono sempre il
vero problema delle vertenze/cause dei lavoratori.


MA FISTEL E UILCOM ? TROPPO IMPEGNATI A PROSTRARSI DAVANTI AL PADRONE DI TURNO?

10 gennaio, 2010

PERCHÈ IL PD NON SI OPPONE ALLE MIRE DI MEDIASET SULLA RETE DI TELECOM

di Marco Lillo

Prove tecniche di inciucio telefonico.
A dare il via alle danze è stata un’intervista di Paolo Gentiloni a “Il Riformista”. L’otto gennaio scorso, l’ex ministro delle comunicazioni, rispondendo alle domande di Gianmaria Pica, ha dato un imprevisto via libera alla possibile alleanza tra Telecom Italia e Mediaset: “Pier Silvio Berlusconi”, spiega Gentiloni, “ha parlato di far crescere Mediaset fino a farla diventare un content provider, una sorta di major italiana che fornisce contenuti televisivi. Per fare questo per Mediaset sarebbe strategico il rapporto con Telecom: è il cuore del business della telecomunicazioni”.
Così, allegramente, Gentiloni suona la tromba all’avanzata del Cavaliere sull’unico territorio mediatico che gli è ancora ostile: Internet. In un paese nel quale il presidente del consiglio controlla direttamente le tre reti Mediaset e indirettamente le tre reti Rai, mentre Telecom tiene “La7” a bagnomaria e l’unico vero concorrente, Sky, viene frenato con l’Iva e i tetti pubblicitari, il politico più autorevole dell’opposizione, l’uomo che dovrebbe rappresentare la diga allo strapotere del premier-editore, applaude l’ingresso di Berlusconi sulla rete Telecom. Chi dovrebbe curare il conflitto di interessi nella tv, sembra favorire
la metastasi su Internet.


OCCASIONI PERSE. L’intervista a Gentiloni è l’atto finale del lungo harakiri della sinistra sul fronte Telecom. Per comprendere l’ultimo fotogramma di questo film dell’orrore bisogna tornare all’inizio e provare a porsi qualche quesito del tipo: cosa sarebbe successo se...? Perché, se con i se non si fa la storia, magari si comprende meglio la cronaca.
La Telecommedia inizia con la privatizzazione e la successiva opa quando Romano Prodi e Massimo D’Alema pensano di individuare in Umberto Agnelli e Roberto Colaninno due interlocutori industriali che invece si riveleranno finanzieri. Carica dei debiti di Colaninno, nel 2001 la compagnia finisce alla Pirelli. Marco Tronchetti Provera dimostra subito di non voler competere con il sistema berlusconiano.
Anzi. Dopo uno strano affare con il gruppo del premier (l’acquisto di Pagine Utili con il versamento di 55 milioni alla Fininvest) Tronchetti soffoca nella culla La7. Annulla i programmi dei big come Fabio Fazio che poteva minacciare Mediaset e paga senza battere ciglio le star per tenerle in panchina. La7 è un’inezia da sacrificare sull’altare del grande gioco telefonico. Eppure quell’apertura del mercato che non arriverà dai programmi televisivi dell’era Tronchetti poteva arrivare dalle sue strategie internazionali.

SOGNANDO MADRID. Il momento nel quale l’Italia è stata più vicina ad avere un competitor valido per Mediaset non è stato il 25 giugno del 2001 quando debuttò La7 di Fazio, Lerner e Sabina Guzzanti. Ma il 7 settembre del 2006 quando Tronchetti Provera e Rupert Murdoch si incontrano in barca al largo di Zante. I legali dei due gruppi avevano preparato una bozza di accordo per l’ingresso di Murdoch nella holding di controllo di Telecom con una quota di poco inferiore a quella di Pirelli. In quei giorni Tronchetti spiegava riservatamente ai suoi collaboratori che l’approdo finale non era Zante ma Madrid. Il sogno di Tronchetti era quello di unire questa Telecom rinforzata da Murdoch con Telefonica o un altro grande operatore per creare una conglomerata in grado di veicolare i contenuti su Internet e il satellite in tutto il mondo. La ricaduta italiana sarebbe stata la nascita di un concorrente in grado di dare filo da torcere a Mediaset e Rai su più piattaforme. Sulla carta le condizioni dell’estate 2006 erano ottimali. Al governo c’era Romano Prodi all’apice della sua forza. Il centrosinistra potrebbe benedire l’alleanza italo-australiana e invece si mette di traverso.
Un mese prima dell’incontro sul Corriere esce il piano del governo per scindere la rete dalla società telefonica, che sarebbe come sfilare il motore dal cofano della macchina il giorno prima della sua vendita a Murdoch. Il 5 settembre, prima dell’incontro greco, il consigliere di Prodi Angelo Rovati consegna a Tronchetti il piano per scindere la rete e affidarla alla Cassa depositi e prestiti. Il 19 settembre Piero Fassino alla festa di Rifondazione plaude alla separazione della rete. Il messaggio è chiaro: se Murdoch compra, si scordi la rete. Il magnate australiano lascia poco dopo denunciando l’invadenza della politica italiana. A febbraio Tronchetti ci riprova con Telefonica. Ma riparte la campagna su rete e italianità con i politici di sinistra che minacciano di mettere sotto scacco l’acquirente straniero mediante la regolazione e i controlli. Anche gli spagnoli mollano, salvo rientrare dalla finestra insieme a Benetton e alle banche quando Tronchetti vende.

EVOLUZIONI. E’ interessante riguardare le posizioni di allora alla luce dello scenario che si sta delineando oggi. La sinistra al governo, per limitare il potere dell’invasore Murdoch, predicava la separazione della rete e la sua annessione alla Cassa depositi e prestiti dello Stato. Tra quelli che sostenevano la separazione allora c’era anche un certo Franco Bernabé. Oggi il numero uno di Telecom si oppone allo scorporo (come fa tutta la sinistra)
mentre allora, nella posizione di consulente della banca Rotschild da dove lavorava insieme a Rovati al piano di scorporo. Al di là delle giravolte dovute ai cambiamenti di ruolo, però, resta la miopia strategica. Per sostenere il falso mito dell’italianità (quando era al governo e avrebbe voluto mettere la rete sotto il suo controllo) la sinistra ha perso una grande occasione. L’ingresso di Murdoch e Telefonica nella Telecom di Tronchetti avrebbe salvaguardato l’italianità e avrebbe aperto il mercato tv. Sono passati tre anni. La prima azienda di telecomunicazioni italiana ha galleggiato tagliando i costi e gli investimenti. L’unico prodotto di rilievo, il CuboVision, è per ora poco più di uno spot. Ora pare che Telefonica torni a farsi sotto.
Solo che stavolta gli spagnoli vogliono la maggioranza e, per ottenerla, sono disposti a trattare con Mediaset sulla rete e i contenuti.
La chiamano italianità.

IL FATTO QUOTIDIANO 10-01-2010