22 luglio, 2012

Tim Brasil: ricorso e crollo delle azioni Telecom Italia

 

subisce un brutto colpo sui mercati finanziari a causa del blocco delle attivazione di nuovi contratti in Brasile, mentre l’azienda prepara il ricorso contro la decisione dell’autorità di garanzia.
L’autorità brasiliana di vigilanza sulle telecomunicazioni (Anatel) ha vietato, infatti, a tre dei maggiori operatori del paese la vendita di nuovi contratti di telefonia mobile, in risposta alle crescenti lamentele dei consumatori sulla qualità del servizio e della copertura. è stata la società maggiormente colpita dal provvedimento, con il divieto di vendita di SIM in 19 stati.
La società starebbe preparando un ricorso contro il provvedimento, giudicato “estremo”, “sproporzionato” e “anticonpetitivo“, da presentare già la settimana prossima. Contemporaneamente ha effettuato dei cambiamenti, quanto legati alla vicenda non è chiaro, ai vertici della sussidiaria brasiliana. Andrea Mangoni, direttore finanziario di Telecom, assumerà un ruolo ancora più centrale nella gestione delle attività nel paese. Già amministratore delegato di Tim Brasile (ad interim dopo le dimissioni di Luca Luciani), è stato nominato anche CEO di Tim Celular (società a sua volta controllata da Tim Brasile).
Le azioni Telcom Italia hanno subito fortemente gli effetti del provvedimento brasiliano. Ieri dopo essere crollate del 6% e del 7% più volte, il titolo è stato sospeso per eccesso di ribasso, in controtendenza rispetto all’andamento della Borsa di Milano. Oggi (13:25) perde l’1.95%.
L’Asati, associazione dei piccoli azionisti di Telecom, si dice preoccupata per l’andamento del titolo ed è molto dura verso l’azienda sulla vicenda brasiliana. “La decisione, presa dall’Autorità del Brasile, ci giunge di fatto del tutto inattesa perché’ eravamo stati informati che la qualità offerta dalla rete mobile di Tim Brasil fino a due anni fa, era considerata nel Paese la migliore sia dagli Enti ufficiali di regolamentazione e controllo sia, indirettamente, dalla crescita tumultuosa del numero dei clienti che aderivano alle offerte di Tim Brasil.” L’associazione chiede quindi chiarimenti ed interventi rapidi ed efficaci.

08 luglio, 2012

Una fibra per due



Bernabè e Gamberale si contendono la nuova rete veloce.
Ecco le pretese dell’uno e I progetti dell’altro

Di ALESSANDRO LONGO
E PAOLA PiLATi
Uno, pacato e duttile. L’altro, irruento e legnoso. Entrambi ossi duri. Il presidente di Telecom Italia Franco Bernabè e l’amministratore delegato del fondo F2i Vito Gamberale si sfidano sul fronte dell’unico grande progetto infrastrutturale pensato per il paese: la banda ultra larga in fibra ottica. Domani però potrebbero andare a braccetto. In mezzo c’è una
trattativa che vede loro come protagonisti, ma molti player interessati, dagli operatori telefonici come Vodafone e Wind, ai fornitori di materiali come la cinese Huawei o la Alcatel-Lucent. L’obiettivo finale dei contendenti è infatti quello di trovare un accordo su un progetto unico di sviluppo della nuova rete: la presenza di Telecom con il suo bacino
di clienti cambierebbe radicalmente le prospettive di un investimento in una fibra nuova di zecca. Gli darebbe cioè una superiori. Senza, i guadagni ci sarebbero, ma sarebbero inferiori. È per questo che il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera ha pregato i due giocatori di trovare “una sinergia”, perché una concorrenza tra loro sarebbe uno spreco per tutti. Ed è per questo che Franco Bassanini, presidente della Cassa Depositi e Prestiti, che si è detta pronta a sostenere economicamente il progetto di Gamberale, azzarda una previsione: «Sono sicuro che si troverà un accordo». Eppure allo stato attuale le posizioni si presentano piuttosto divergenti. È diverso il territorio nel mirino ed è diverso l’investimento: Telecom Italia intende portare la fibra in 99 città entro il 2014 (a 7 milioni di famiglie), con un investimento di 3 miliardi in tre anni. F2i vuole andare in sole 30 città entro il 2015, con 4,5 miliardi di euro di investimento (facendo leva su Metroweb, che già ha gran parte della fibra milanese). Diversa, soprattutto, è la tecnologia: F2i spenderà di più (800-1.000 euro per famiglia coperta) perché utilizzerà una tecnologia più veloce: fibra ottica fino alle case. Telecom invece arriverà fino alle strade con la fibra ma manterrà il rame nell’ultimo tratto (spesa: 180 euro a famiglia). Diversa, infine, è la velocità promessa. Fino a 100 megabit quella prevista dal progetto di Bernabè e dell’amministratore delegato Marco Patuano, mille mega quelli possibili con la fibra (attraverso cui passa la luce, non l’elettricità) che intende posare Metroweb. Un salto notevole, in entrambi i casi, visto che oggi l’Adsl ha come limite
i 20 mega: si va da 5 a 50 volte di più. «È assurdo investire in due modi diversi nelle stesse città: non c’è mercato sufficiente per entrambi. È un grosso spreco di risorse che l’Italia non si può permettere», dice Francesco Sacco, dell’università Bocconi e tra i principali esperti di banda larga in Italia. «L’idea di fare due investimenti nella stessa zona e zero in altre non è un’idea brillante. Né noi né loro lo vogliamo», ha confermato Patuano.
Le distanze non sono dovute soltanto a diverse strategie negoziali. Per Telecom un progetto stand alone deve essere necessariamente prudente, visto il carico del debito che si porta dietro (troppo alto in rapporto all’ebitda, cioè il margine operativo lordo: 2,7 volte nel primo
trimestre 2012). E poiché la società intende tagliare il debito di 5 miliardi, tra il 2011 e il 2013, non può certo permettersi spese pazze. Ma gli uomini di Bernabè tirano in ballo anche convenienze di mercato. Oggi l’Adsl a 20 mega sarebbe disponibile per 14 milioni di loro
clienti, ma gli abbonati non superano i 400 mila, e altrettanti ne ha racimolati
l’unico operatore in fibra che è Fastweb.
Insomma, si fa fatica a trovare chi paghi il servizio. Quanti potrebbero apprezzare l’arrivo di Internet a cinque o addirittura 50 volte tanto, anche se in grado di offire i mirabolanti futuri servizi della tv on demand?
Per la Cdp che si è schierata al fianco di F2i stanziando 500 milioni di euro per il suo progetto, la fibra nelle case farà fare un salto di qualità all’intera nostra economia con una visione di lungo termine. Con la nuova rete il sistema Italia avrebbe un aumento del Pil del 3 per cento annuo fino al 2030 e un beneficio dai 4 ai 25 miliardi di euro dal 2012 al 2030, secondo il rapporto“I costi del non fare” (presiedutoda Andrea Gilardoni, della Bocconi).
Vanno poi sommati 838 miliardi fatturati in Italia per i servizi evoluti che sfrutteranno la nuova rete. Parte di questo si tradurrà in denaro per chi realizza la rete, parte per chi venderà i servizi evoluti agli utenti, parte agli stessi utenti, che avranno i vantaggi della concorrenza che si aprirà sulla fibra.
Eccoci a uno dei punti dolenti, la concorrenza. Il progetto Telecom Italia, che costa meno perché passa per il riammodernamento della sua rete in rame secondo una tecnologia chiamata “vectoring”, secondo gli altri operatori taglia fuori la concorrenza. In che cosa consiste il vectoring?
Così lo spiega il vicepresidente per l’Europa occidentale del gigante cinese Huawei, Roberto Loiola: «Il vectoring aumenta in maniera rapida la velocità: porta la fibra fino al cabinet, cioè all’armadio di Telecom che sta sul marciapiede, all’interno del quale si installano nuove
tecnologie che eliminano i disturbi della linea e aumentano la velocità del segnale fine a 80-100 megabit». Questa nuova strada si presenta assai costosa per gli operatori: già oggi i concorrenti (Wind e Vodafone in testa) sono costretti ad affittare il rame di Telecom per raggiungere I propri clienti, pagando 10 euro al mese per cliente alle casse del proprietario
della rete. Dove Telecom ha iniziato a fare la fibra, quella cifra lievita fino a 115 euro al mese per cliente. È per questo che Wind e Vodafone hanno già deciso di far migrare i propri clienti di Milano dalla rete Telecom a quella di Metroweb, che nel capoluogo lombardo è già molto
estesa. E trattano con Gamberale per diventare suoi clienti anche in altre città, abbandonando Telecom man mano che si sviluppa il piano alternativo.
Attenzione però che anche F2i/Metroweb rischia di uscire con le ossa rotte da uno scontro frontale. E quindi anche Gamberale ha interesse a trovare un accordo:
«Gli investitori del fondo vogliono partire subito e rientrare dell’investimento. Ma sarà molto difficile se Telecom crea una rete nelle stesse città», dice Cristoforo Morandini, di Between-Osservatorio Banda Larga. Non solo: «La fibra rischia di subire la concorrenza del rame
nelle case che saranno coperte. Alcune famiglie si accontenteranno di restare con
i vecchi servizi», aggiunge.
La soluzione passa attraverso una messa in comune delle rete presente e di quella futura. «Costruire un patrimonio comune su cui poi gli operatori si potranno scannare con le offerte», sintetizza vividamente Stefano Parisse, direttore residential di Vodafone e ceo di TeleTu.
Da parte di Telecom, infatti, è ormai caduto il “preambolo” basato su: “la rete è solo nostra e decidiamo noi come svilupparla”. Ora se ne può discutere. Gamberale e Bassanini, dall’altro canto, sanno che non potranno mai coprire tutto il mercato, ma solo le città dove c’è un’alta domanda potenziale, e che una parte di rete in rame sarà sempre necessaria. Dunque il dossier su cui si lavora prevede la separazione societaria della rete di Telecom: centrali, cavidotti, cavi, da trasferire in una società a parte, in cui far confluire anche la rete di Metroweb. Alcuni investitori, tra cui Cassa e F2i, dovrebbero poi comprare quote di questa
società. E qui c’è l’ostacolo principale su cui si sta consumando il braccio di ferro Bernabè-Gamberale: il prezzo. Bernabè valuta la rete 15 miliardi di euro, chiedendo cioè 600 euro a cliente.
Come si arriva a quella cifra? La rete genera 2,5 miliardi di euro di ebitda l’anno. Come società separata, andrebbe valutata come una utility, quindi dalle cinque alle sei volte l’ebitda: 12,5-15 miliardi. Gamberale è disposto a dare la metà, 300 euro a cliente. «Quello di Bernabè sarebbe quindi in teoria un prezzo giusto», commenta Morandini, «se ci riferissimo a una società che continuerà a fare business nello stesso modo. Questa invece dovrà investire per creare una rete del tutto nuova, destinata a soppiantare la vecchia
». Il rame, da cui ora Telecom fa I soldi, avrà un valore decrescente.
Ma anche se dovessero accordarsi sul prezzo, la governance sarà un altro paio di maniche. Sul “chi comanda?” Telecom non vuole sentire ragioni: vuole la maggioranza e il potere. È difficile che Gamberale possa accettare questa condizione. E non l’accettano gli altri operatori, che sotto il tacco di Telecom non vogliono più stare. D’altro canto, se i due non
si accordano è facile prevedere quello che accadrà. Andranno avanti entrambi, separatamente: ma il raddoppio di investimenti nelle stesse zone renderà più difficile
estendere la nuova rete nelle città meno importanti. E il digital divide aumenterà
Siamo vincoli o separati?
Fare della rete Telecom una società separata, aperta a una molteplicità di investitori: sarebbe la prima volta in Europa. Ci sono però esempi che vi si avvicinano e tra tutti spicca Open Reach, società separata da Bt nel Regno Unito. È posseduta interamente da Bt, però. La rete banda larga fissa australiana è stata invece resa completamente pubblica (Nbn Co). C’è poi l’esempio della Francia, dove gli operatori collaborano per la copertura, in fibra ottica, delle zone fuori Parigi.
L’Italia è in ogni caso costretta a pensare a una soluzione di avanguardia-che passi da uno sforzo comune per traghettarsi verso il futuro delle reti telefoniche. Per vari motivi: è il solo paese evoluto a non avere una rete via cavo (alternativa a quella in rame) e l’azienda ex monopolista ha un rapporto debito/ricavi molto alto rispetto alla media degli altri operatori europei; né si può sperare in un forte contributo finanziario da parte dello Stato. Siamo anche il solo Paese ad aver creato una rete all’avanguardia (quella di Fastweb) oltre dieci anni fa per poi dormire sugli allori: la copertura di nuove case con la banda larghissima è bloccata da molto tempo. C’è anche un forte ritardo sull’uso delle nuove tecnologie (gli italiani che navigano almeno una volta a settimana sono il 50,7 per cento, contro la media europea del 67,5 per cento); la speranza è che una nuova rete, inserita all’interno di un progetto paese chiamato Agenda digitale (un pacchetto di norme a cui sta lavorando ora il governo), possa sbloccare la situazione. Il governo è tra i soggetti che collaborerà alla nuova rete: utilizzerà fondi europei per estenderla in alcune delle zone non interessate dai piani degli operatori.

Alessandro Longo

L'espresso N. 128 pag 127