12 aprile, 2007

RICEVIAMO DA UN GRUPPO DI LAVORATORI E PUBBLICHIAMO

Telecom Italia appartiene ai suoi dipendenti

Telecom Italia appartiene ai suoi dipendenti, uomini e donne, che – unici – hanno lavorato e sono stati sacrificati per pagare i debiti del Gruppo.
La privatizzazione di Telecom Italia, partorita dal Governo D’Alema e dai “Capitani Coraggiosi”, ha inciso in maniera preoccupante sulla tenuta democratica del nostro Paese ed ha contribuito a frenare la sua crescita economica e tecnologica, ignorando che le telecomunicazioni sono un bene comune e un patrimonio da difendere; del resto solo in uno scenario simile poteva nascere lo scandalo delle intercettazioni.
I lavoratori e le lavoratrici, al momento della privatizzazione, erano circa 110.000, e oggi sono rimasti circa 80.000. Molti di quelli che mancano all’appello sono stati ceduti e/o esternalizzati e, nella maggior parte dei casi, successivamente licenziati dai nuovi padroni che li hanno “acquistati” come dei moderni compratori di schiavi (cercateli nel sito www.esternalizzati.it); chi è rimasto ha visto dimezzare il valore dei propri stipendi e ha subìto brutti rinnovi di contratti di lavoro in cui sono diminuite regole certe ed è stata introdotta la precarietà; la democrazia sindacale da noi è solo un lontano ricordo; qui la concertazione ha collezionato tutte le sue degenerazioni.
Di contro i manager aziendali hanno guadagnato cifre da capogiro, nonostante le perdite dell’Azienda. Ed ai nostri Dirigenti non si chiedono sacrifici, forse si chiede loro solo di essere fedeli ed affidabili ad un capitalismo straccione, che ha consentito a Tronchetti Provera di comprare Telecom Italia con soldi prestati dalle Banche, anche estere, magari le stesse che ora vorrebbero ricomprare quel 18% sufficiente a controllare il Gruppo grazie al noto sistema di scatole cinesi, metodo moralmente indegno, ma guarda caso non perseguibile per legge. Ma se le Banche non sono aziende competenti in telecomunicazioni, allora forse (forse?) vorrebbero solo recuperare un debito che Telecom Italia rischia di non poter coprire; e quindi è reale il rischio che forse (forse?) continueranno a pagarlo i lavoratori con altri esuberi. E ancora, vogliamo negare l’acquisto ad At&t ed America Movil solo perché “non italiani”? O non sarebbe più giusta una riflessione adeguata e almeno un po’ intelligente sul fatto che in un periodo storico come questo, tra guerre e terrorismo, il controllo delle telecomunicazioni si lascerebbe ai Nordamericani ed ai Messicani piuttosto che al Governo Italiano?
Ecco, appunto, siamo arrivati al dunque: chiediamo subito, come bene ha già chiesto il PRC, un dibattito in Parlamento sul futuro del settore e dell’Azienda più importante del nostro paese, ieri avanguardia e vanto tecnologico, oggi salvadanaio per i potentati finanziari, che preveda: 1) controllo pubblico dello Stato Repubblicano sulla rete e su tutto il settore; 2) eliminazione delle leggi sulle cessioni/esternalizzazioni, veri licenziamenti mascherati; 3) salvaguardia occupazionale di tutti i lavoratori e reintegro di quelli ceduti, in primis dei Radiomarittimi, esperienza esemplare di resistenza per la difesa del posto di lavoro, sulla quale il Ministro Gentiloni dovrebbe dire qualcosa. E soprattutto noi chiediamo, convinti di rappresentare così la volontà di un popolo onesto, la requisizione di tutti i beni alla classe dirigente che non ha saputo sostenere l’Azienda, restituendoli ed investendoli per la sua difesa ed il suo sviluppo, applicando per loro la legislazione antimafia: si restituirebbe così all’Italia anche lo spazio per una nuova classe dirigente degna di tale nome.

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