07 aprile, 2007

2007.04.06 Borsa e Finanza - Telecom Italia, a fil di rete


OGGI POTATURE, ho trovato il seguente articolo in rete e merita di essere letto.

Yankee go home! Anzi no, viva gli americani e (in questo caso) anche i messicani. La mossa di At&T e American Moviles su Telecom Italia ha dato il via, oltre che al duro scontro tra i soci di Olimpia, anche alle polemiche tra due eserciti. Da una parte compatti, i pasdaran (spesso solo a parole e non nei fatti) del mercato che festeggiano al possibile arrivo dell’ex «Baby bell»; dall’altro, gli ultrà del nazionalismo d’impresa, della telefonia che-non-deve-cadere-in-mani-straniere. A ben vedere, però, la disputa è fuorviante e non coglie il cuore del problema. Che non è, o almeno non completamente, quello della nazionalità sugli asset proprietari della compagnia telefonica e, soprattutto, della sua rete. Bensì, quello della separazione del network dalla società che offre i servizi di telefonia. «Spesso - sottolinea Stefano Quintarelli, uno dei fondatori di I.Net e pioniere del web italiano - si è parlato di questa divisione senza, tuttavia, coglierne le motivazioni profonde». In che senso? «La domanda che dobbiamo porci è una sola: è strategico per il nostro Paese avere una nuova rete ultraveloce che arrivi nelle case degli italiani? La risposta può anche essere no e, in questo caso, il discorso si esaurisce subito. Se invece, come io credo, lo sviluppo del network è fondamentale; se si pensa alla rete come un "ambiente" essenziale per la crescita di un’economia allora il discorso cambia. E, visto che un’azienda privata (che ha obiettivi di breve-medio periodo e deve soddisfare esigenze immediate dei suoi clienti, ndr) non potrà mai remunerare gli investimenti della Next generation network, la soluzione non può che essere la separazione della rete». Insomma, non è una questione (o non solamente) di identikit del gestore del network ma di modelli di business. Anche perché il network è uno solo, e la sua evoluzione non può prescindere dalle migliaia di kilometri di rame già presenti in Italia. Di questo se ne ha una riprova guardando, per esempio, al fatturato di Fastweb, il secondo carrier di telefonia fissa in Italia. Ebbene, qui si dimentica che gran parte dei ricavi non arrivano dalla rete proprietaria in fibra, bensì dalla banda larga (total access in unbundling) che si appoggia alla struttura di Telecom. Se così stanno le cose, è chiaro che il peso dell’ammodernamento è tutto sulle spalle del’ex incumbent. Il quale, al di là dal fatto che dal 1999 al 2006 su 12,3 miliardi di utili realizzati ne ha distribuiti ben 15,6 in dividendi, non ha «oggettiva» convenienza ad investire miliardi di euro per un progetto di lungo periodo. In tal senso non deve stupire che, a fronte di investimenti «promessi» attorno 6,5 miliardi, nella recente presentazione alla comunità finanziaria Riccardo Ruggero abbia indicato (per la Ngn2 wireless e wireline) un Capex di 20 milioni nel 2007, di 175 nel 2008 e 305 milioni per il 2009. Come dire, insomma che la realtà (dei numeri) spesso è diversa da quella dei desiderata. La via, quindi, è la separazione. Già, ma secondo quale criterio: semplice divisione funzionale, oppure separazione societaria? Com’è noto, la soluzione che sembra prendere piede è quella della separazione funzionale: cioè, la creazione di un soggetto giuridico diviso dalla corporate, cui sia affidata la gestione del network. Il cda di questo soggetto dovrebbe vedere la nomina, subordinata al gradimento dell’Agcom, di alcuni consiglieri indipendenti. Inoltre, dovrebbe essere previsto un meccanismo d’incentivi a favore dei manager che gestiranno le rivendita all’ingrosso del traffico (dati, voce, video), in modo che le telecom alternative non siano penalizzate nel wholesales. Senza dubbio un passo in avanti ma insufficiente. Infatti, se la proprietà resta in capo all’ex incumbent si ripropone il problema del Roi (Return on investment). «La separazione, invece, - spiega Francesco Sacco, docente di strategie aziendali alla Bocconi - da un lato creerebbe molto valore (utile allo stesso azionista di controllo di Telecom, ndr) e, dall’altro, eviterebbe dei costi di governance interni oltre che di rafforzamento dei poteri dell’Authority». Non è, ovviamente, una strada facile ma il one-network, la rete unica (magari gestita da una pubblic company), su cui i fornitori di servizi si possano fare concorrenza è l’unica seria soluzione percorribile. Al di là dei pasdaran del mercato o dei nazionalisti.

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