Saranno Luigi Marconi e Sergio Cusani ad illustrare il lavoro di analisi economico finanziaria del gruppo Telecom dal 1999 al 2006.
A me spetta solo fare qualche considerazione che, ovviamente, l’analisi fatta autorizza. Considerazione innanzitutto sul contesto, per avanzare poi qualche proposta e dare il contributo del Sindacato per il rilancio di una delle più grandi imprese italiane. Ormai una delle poche.
Il contesto è quello di una azienda che si trova contemporaneamente ad affrontare tre emergenze .
La prima mi viene di definirla l’emergenza democratica.
E’ la storia degli arresti di uomini Telecom, dei servizi e di intermediari che sono diventati ricchi svolgendo una dubbia attività di dossieraggio. Vecchi arnesi che di solito fanno quello che le leggi vietano con padroni diversi e magari obbedendo a più padroni contemporaneamente.
Una centrale spionistica impiantata dentro Telecom che lavorava su tutto: intercettava imprenditori e lavoratori, calciatori ed arbitri, giornalisti e dirigenti della stessa Telecom, è il caso della intrusione informatica in RCS, di cui è stato vittima lo stesso Massimo Mucchetti, o lo stesso ex Segretario generale di Telecom, Vittorio Nola, in seguito sollevato dall’incarico con motivazioni che sembrano ancora oggi non chiarite.
Ho parlato di emergenza democratica perché se dentro la pancia dell’ex monopolista di TLC si affermano pratiche extra-legali, e questo succede in un rapporto stretto con i vertici dei Servizi, è il paese ad avere un problema di sicurezza.
Sicurezza intesa come affidabilità di chi, attraverso le linee telefoniche, è custode della vita relazionale dei cittadini, ma anche di quella del mondo economico ed istituzionale.
Noi andremo fino in fondo, ovviamente è nostro dovere, sul dossieraggio dei dipendenti perché vogliamo sapere se Tavaroli era mandante o esecutore, e vogliamo sapere perché i dipendenti venivano dossierati.
Per proteggersi dal terrorismo, come sostenuto da Tavaroli? Noi non siamo esperti, ma nella lotta al terrorismo è lecito aspettarsi controlli mirati e non uno screening di massa; ammesso che una azienda abbia il potere di controllare la vita delle persone.
Oppure attraverso il dossieraggio dei dipendenti si voleva far velo su una attività ben più intensa che aveva ben altri obiettivi, così come va emergendo dalle indagini della Magistratura?
Noi stiamo ovviamente ai fatti e attendiamo i risultati delle indagini e le conclusioni cui perverrà la Magistratura. Abbiamo chiesto a Giuliano Pisapia di rappresentare noi e tutti i lavoratori che ritenessero di far valere i propri diritti violati.
Ovviamente dispiace che Telecom non abbia provveduto a rimuovere tutte le persone coinvolte, ma che sia stata ancora una volta la Magistratura a scandire, attraverso l’avanzamento dell’inchiesta, il processo di rinnovamento e bonifica. Non è un bel segnale!
La seconda emergenza è quella finanziaria, che è l’oggetto dello studio di questa iniziativa.
Telecom è una grande azienda ed è una azienda sana: ha alti ricavi, produce utili assolutamente proporzionati, così come alti sono gli indici di produttività e redditività.
E dispone di un patrimonio umano e professionale qualificatissimo.
30 miliardi di ricavi, stabili.
Tra 12 e 14 miliardi di margine operativo lordo.
Più 66% di produttività dal 1999 al 2005.
E tanti sacrifici: da 122.000 a 85.000 dipendenti dal 1999 al 2006 nel mondo, - 30%; nello stesso periodo in Italia da 117.000 a 70.000, - 40%.
E 45 miliardi di debito!
E’ questa in sintesi la storia degli ultimi 8 anni.
E’ una storia nota.
Analizzata e raccontata in ogni suo più piccolo aspetto.
E’ la storia di 2 acquisizioni a debito: la prima ad opera di Roberto Colaninno e la seconda di Marco Tronchetti Provera.
L’azienda, questa è la storia, è stata appesantita da un debito che non ha generato e che gli è cascato addosso. Lo ha solo subito.
E per di più non è nemmeno messa nelle condizioni di sopportarlo.
Perché Telecom è in grado di onorare quel debito che non le appartiene.
Insomma, ha le forze ed i margini per farlo.
La verità è che sono l’azionista di riferimento ed il suo patto di sindacato che impediscono all’azienda di crescere mantenendo tutti gli impegni. Basta solo un dato per spiegare questo passaggio.
Dal 1999 al 2006 il gruppo Telecom ha prodotto 13 miliardi di utili ed ha distribuito ai suoi azionisti 22 miliardi di dividendo.
E questo fatto non ha nulla a che fare con la corretta gestione di un’impresa che ha bisogno di investire per svilupparsi e competere nel mercato globale.
La semplice verità è che questa azienda convive con una proprietà che tende a devitalizzarla, a cannibalizzarla. Né più né meno. E se l’azionista, come il conte Ugolino, comincia a divorare il proprio figlio, significa che si è giunti ad un punto di non ritorno e sono necessari cambiamenti radicali.
Insomma, l’attuale azionista di riferimento, per salvare se stesso, è costretto a remunerare a condizioni sempre più alte, oltre le possibilità stesse dell’azienda, se stesso e gli azionisti che lo sorreggono.
Ovviamente questo spiega perché la rete è poco curata e sono in via di esternalizzazione attività fondamentali, ultima in ordine cronologico quella di assurance.
Anche verso aziende che vivono e lucrano sul lavoro irregolare e nero dove non si rispettano le condizioni di sicurezza.
E’ di qualche giorno fa la notizia della morte di un lavoratore di una azienda subappaltatrice. Speriamo che si faccia piena luce su una vicenda i cui contorni sono ancora tutti da chiarire.
E’ evidente che questi dati ci suggeriscono una riflessione: non si può arricchire l’azionista in modo abnorme ed impoverire l’azienda ed i lavoratori.
Non c’è equilibrio, non c’è proporzione. I lavoratori ogni giorno lottano per recuperare una produttività che si sposta sulla rendita, che non fa crescere l’azienda.
Questo è un grande tema di riflessione: Come ridistribuire le ricchezze prodotte.
Ma l’altra verità è che non si sta solo impoverendo l’azienda, la si sta anche svuotando progressivamente.
- 7 miliardi di dismissioni tra immobili, impianti e macchinari;
- 50 miliardi di beni immateriali a fronte di 17 miliardi di beni materiali.
Il rischio è che Telecom diventi solo un marchio: la rete sostanzialmente conferita ad aziende appaltatrici e gli immobili quasi tutti a Pirelli Real Estate ed al suo sistema cui vanno ingenti affitti e spese di gestione dopo aver già venduto a prezzi non particolarmente vantaggiosi.
Sono i nodi, questi, di una azienda che non viene premiata dal mercato. E si capisce. Perché, è vero, corre, ma per inerzia, perché il carburante è sempre più insufficiente.
E qui entriamo, ma in parte lo abbiamo già accennato, dentro la terza emergenza: quella proprietaria.
L’emergenza è dettata innanzitutto dalla incertezza. Incertezza sull’assetto proprietario, innanzitutto.
Telecom è in questo momento un azienda debole ed aggredibile. Com’è noto al piano di sopra, quello di Olimpia, sono in corso contatti per una cessione di quote di minoranza a Telefonica.
Com’è nello stile di Tronchetti, le operazioni su Telecom si fanno sempre di sopra, mai di sotto.
Telefonica è grande tre volte Telecom, ed è anche fortemente indebitata.
Ovviamente, e questo è il primo problema, riesce difficile produrre un piano industriale e finanziario non sapendo cosa succederà sulla plancia di comando.
Quali sinergie, quali accordi operativi si stanno discutendo, quale perimetrazione; insomma, quale sarà il coinvolgimento di Telefonica e fino a dove.
Noi abbiamo detto subito che l’operazione a cui si sta lavorando non ci va bene: siamo contrari.
Telefonica è un gruppo industriale che compete con Telecom in Brasile e non solo ed ovviamente non può che avere interesse a limitarne lo sviluppo come azienda globale. In una parola, non sarebbe né uno scambio né una partnership, ma l’avvio di una acquisizione.
L’Italia, al contrario, ha bisogno di un grande gruppo di TLC al pari di Germania, Francia, Spagna ed Inghilterra. Telecom può assolvere a questo compito; lo ha già dimostrato, può continuare a farlo.
Se posso permettermi questo è un obiettivo che dovrebbero sentire come moralmente loro l’azionista di riferimento, il management, e soprattutto il governo del paese, il cui silenzio, sarà stata colpa della crisi e me lo auguro, è ormai assordante.
Il rischio è che l’Italia resti l’unico tra i grandi paesi europei a privarsi di reti e servizi di TLC.
Si apre una fase nuova, che porterà verso la rete di nuova generazione in fibra ottica, in grado di innalzare la capacità di trasferimento di immagini e dati, aiutare lo sviluppo di nuovi servizi, anche sociali, che potranno migliorare la vita di tutti noi.
E’ un’occasione per il paese, per la sua crescita, e per questo c’è bisogno di un grande operatore nazionale e sovranazionale.
E se non si farà l’errore di utilizzare le frequenze del Wimax per abbattere i costi delle imprese, ma per integrare a questo processo quelle aree del paese a ritardo tecnologico, dove nessuna impresa per nessun motivo ritiene di dover portare alcuna rete di nuova generazione, allora si apriranno orizzonti nuovi nella politica di innovazione territoriale, ed anche nuove opportunità di sviluppo per chi è in ritardo, oltre che nuovi spazi e nuovi mercati anche per gli operatori non incumbent che vogliono cimentarsi sui nuovi servizi.
Sarebbe un cambiamento sensibile quello che vedesse contemporaneamente un uso riequilibrante del WIMAX insieme ad una terzietà della rete d'accesso sul modello dell'openreach.
Questo noi crediamo sia lo "spirito pubblico" di cui c'e' bisogno: un intervento delle politiche pubbliche teso a riequilibrare il paese mettendo a disposizione frequenze che sono pubbliche. E penso che questo possa essere un grande tema di riflessione per costruire un "welfare delle comunicazioni" inclusivo.
Del resto, è un film già visto quello che quando non si sa che fare intanto si costruisce un contenitore: ieri la Società Infrastrutture e l'altro ieri la cassa per il Mezzogiorno, o Sviluppo Italia. Di esempi, ovviamente se ne potrebbero fare tanti. Attendiamo di capire cosa si vorrà fare del nuovo fondo affidato a Vito Gamberale. Noi pensiamo che possa giocare un ruolo importante, appunto, se focalizzerà la sua attenzione nella gestione delle fraquenze messe a disposizione dalle autorità militari. Sarebbe un fatto importante.
In questo clima di incertezze, che pesano non poco nella vita dell'azienda e del sistema di TLC, noi abbiamo apprezzato e apprezziamo il lavoro che con fatica sta svolgendo il Prof. Rossi per dare una strategia ad un gruppo altrimenti allo sbando. Con l'11 settembre tutto è stato avvolto dalle nebbie, nessun asset era circondato da certezze, e questo ovviamente ha avuto un peso rilevante.
Abbiamo, quindi, salutato con soddisfazione il blocco della societarizzazione della rete; lo stop alla vendita di Tim e la chiusura del dossier sulla vendita di Tim Brasile.
Sono elementi di certezza, questi, che mettono in tranquillità l’azienda, allontanano quello strano processo di liquefazione che sembrava avviato con l’11 Settembre e contro cui facemmo un riuscitissimo sciopero generale.
Chiarito che nessuna authority chiedeva la societarizzazione della rete, ma solo un consulente del Governo; che Tim Brasil è un avamposto in una zona interessante che tra l’altro produce una non secondaria quantità di soldi in un periodo che non è affatto roseo sia sulla rete fissa che sul mobile; e che Tim Italia deve continuare a convergere tecnologicamente con Telecom continuando a sostenerne la cassa in modo consistente; chiarito tutto questo, è evidente come il nocciolo duro stia nella debolezza dell’assetto proprietario.
La nostra idea è che Telecom abbia bisogno di nuovi capitali per rilanciarsi e di chiedere agli azionisti di fermarsi per un po’ congelando i dividendi.
Insomma, superare quel patto di sindacato che ormai è diventato un freno per l’azienda, per trasformarsi in una public company, e ricostituire le condizioni finanziarie per tornare a crescere dentro quel salto tecnologico ormai ineludibile per il quale saranno necessari investimenti importanti.
Forse questa è la strada maestra per apprezzare l’azienda sul mercato azionario, soddisfare gli azionisti, e ci permettiamo di ricordarlo, dare serenità ai lavoratori ed al paese. Una grande azienda di TLC non può stare costantemente in fibrillazione dal punto di vista dell’assetto proprietario, nessuna tra quelle europee lo è, perché, è utile ricordarlo, è un pezzo del sistema paese, di quella funzione pubblica di cui spesso ci si dimentica.