06 febbraio, 2007

Telecom al bivio delle nuove reti


STEFANO CARLI
DA AFFARI E FINANZA LA REPUBBLICA

Il futuro è una visione rosea, quando si parla di reti di tlc. Ingegneri ed esperti di mercato sono concordi: basta sostituire i vecchi cavi di rame con la modernissima fibra ottica e tutto si trasforma. La rete diventa tutta Ip, standard Internet; gli apparati di rete costeranno meno della metà di quelli attuali; la manutenzione costerà una frazione infinitesimale perché tutto si farà via software. In più tutti gli utenti avranno a disposizione una quantità enorme di banda. Ma la strada per arrivare a tutto questo è molto lunga e tutta in salita. Intanto però si è aperta una partita che sta rimettendo in discussione gli assetti di un intero mercato.
Tutto nasce prima dell’uscita di Tronchetti Provera dal vertice di Telecom Italia, con la sua idea di trasformare il gruppo in una ‘media company’. Lo scopo non era solo quello di avere parametri di valutazione più favorevoli nelle classificazioni degli analisti finanziari, ma anche di uscire da un settore iperregolamentato come le tlc per approdare a quello più ‘liberale’ dei media. Poi è successo quel che è successo, Tronchetti esce, al vertice arriva Guido Rossi, le inchieste, lo spionaggio e tutto cambia prospettiva.
Quello che resta è l’impegno a procedere verso lo scorporo della rete di Telecom dal resto delle attività commerciali. All’origine doveva essere una merce di scambio, come l’aveva spiegata l’amministratore delegato Riccardo Ruggiero subito dopo l’estate: Telecom apre alla separazione della vecchia rete ma chiede mano libera nella parte nuova in fibra ottica. E’ un’ipotesi che preoccupa tutti i concorrenti di Telecom. Ma Ruggiero parla comunque di soluzioni concordate con l’Autorità di Corrado Calabrò e la tensione cala.
In quelle settimane però sembra tutto possibile. Negli Usa le grandi telecom, come At&t e Verizon, chiedono di poter violare il principio della neutralità della Rete. Vuol dire, in pratica, chiedere soldi ai portali e a chi vende contenuti su Internet per passare sulla nuova rete superveloce. A chi non paga resta la ‘vecchia’ rete, con tutte le sue lentezze. Significa creare una Internet dei poveri e una dei ricchi. E’ una posizione che trova riscontro nella maggioranza repubblicana del Congresso Usa. In Germania Deutsche Telekom chiede e ottiene dal governo di riconoscere le nuove reti in fibra ottica come un ‘nuovo mercato’ e di non assoggettarle così alle normali regole: in pratica un ritorno al monopolio.
Poi il vento cambia. In Usa la maggioranza al Congresso diventa democratica e favorevole a mantenere e difendere la Net Neutrality. La Germania incassa un primo stop da Bruxelles.
E intanto, mentre i bilanci di molte telecom, tra le quali proprio Verizon e Dt, evidenziano problemi di utili in calo attorno alle nuove reti, si fa più pressante il tema dei costi: chi paga tutto questo?
Insomma, tutti sono d’accordo sul fatto che il futuro è la fibra ottica e le reti a larghissima banda. Ma come arrivarci, a questo futuro, e anche in che tempi, è tutto da decidere. E allora, per adesso, si parla.
Lo scorso luglio il presidente dell’Agcom, Calabrò, aveva annunciato l’apertura di un tavolo di trattative sulle reti di nuova generazione e lo scorporo della rete di accesso di Telecom Italia. Non succede quasi nulla fino all’inverno, tanto che in ottobre tutti i concorrenti di Telecom inviano una lettera all’Authority per sollecitare il coinvolgimento. Ora le cose sembrano essersi messe in moto e dieci giorni fa tutti, da Wind a Bt Italia, da Tiscali a Fastweb, da Tele2 a Vodafone, sono stati convocati per spiegare che da Telecom qualcosa era nel frattempo arrivato. Non proprio un progetto, ma un documento pare che contiene a grandi linee una prima serie di considerazioni di scenario. Mancherebbero i dettagli più importanti, perché questi sono anche una parte fondamentale del piano industriale 2007/2009 che Telecom Italia presenterà a fine febbraio e fino ad allora saranno oggetto di verifiche, revisioni e aggiustamenti. Solo allora si vedrà se il gruppo inizierà davvero a mettere in pratica quanto annunciato parlando di investimenti per 810 miliardi di euro nei prossimi cinque anni.
Dopo i soldi i tempi. Queste Ngn, ‘new generation neteworks’, come vengono definite le reti a larghissima banda, non sono dietro l’angolo. Per più di una ragione. Intanto le regole. All’Agcom servirà almeno un anno, più probabilmente diciotto mesi, solo per arrivare a stabilire il cosa e il come. Poi ci saranno i tempi di sviluppo dell’infrastruttura. E anche qui si parla di anni.
Ci sono quindi tutte le condizioni perché questa partita, nata come un fatto puramente regolamentare, diventi un tavolo di discussione molto più ampio su come il paese dovrà dotarsi di una moderna infrastruttura di telecomunicazione.
Perché fare una Ngn non è uno scherzo.
Valerio Zingarelli, che di reti di tlc se ne intende, visto che ha costruito tutta quella mobile di Vodafone (e non solo) e che ora si occupa di convergenza, fa un rapido calcolo: «La Ngn funziona, in sintesi, così. C’è una cosiddetta ‘core network’ con le grandi dorsali e i centri di gestione, che scende per vari livelli fino agli utenti. Si passa attraverso un livello denominato Sgt, formato da circa 150 nodi in tutta Italia (ogni nodo è una ‘stazione’ dotata di giganteschi router); di qui si passa agli Sgu, che sono circa 800. Di qui si ‘scende’ alle centrali di ultimo livello, quello dove adesso i concorrenti di Telecom stanno mettendo i loro Dslam, i router a cui vanno collegati i cavi dei singoli utenti: queste centrali sono 78 mila. Oggi la fibra ottica collega la ‘core network’ agli Sgt e questi agli Sgu. Ce n’è molta anche dagli Sgu alle centrali dei Dslam, ma non ovunque. Il vero problema sarà però collegare queste 78 mila centrali ai circa 150 mila armadi di strada».
Si tratta di fare chilometri e chilometri di scavi e posare la fibra fino agli armadi. Di lì, la tecnologia Vdsl riuscirà a portare tra i 50 e i 100 mega a casa degli utenti utilizzando il vecchio filo di rame. A patto che questo non debba coprire una distanza superiore ai 200 metri al massimo.
Una simile architettura di rete, visti i costi e i tempi è replicabile? Oppure ogni paese ne può avere solo una? Ci sono molte ragioni a sostegno di questa seconda conclusione. «La portata della fibra è praticamente infinita spiega Zingarelli e per il paese avere due o tre o quattro diverse ‘capacità infinite’ non ha senso». Ma c’è di più. Con la ‘fibra all’armadio’ ogni operatore dovrebbe mettere dei Dslam nell’armadio stesso. Sono più piccoli di quelli che vanno oggi nelle centrali, costano anche di meno, ma se ogni operatore dovesse avere la sua rete, dovrebbe avere anche il suo armadio e le nostre strade sarebbero un fiorire di armadi telefonici: scenario poco prevedibile per i costi e anche per le conflittualità ambientali e amministrative che questo richiederebbe. Insomma: non solo il cavo ottico non è moltiplicabile, ma neanche gli armadi. Infatti perfino gli inglesi, per anni paladini della concorrenza tra le reti a tutti i livelli sono arrivati a questa conclusione, al punto che Bt ha accettato di scorporare la sua rete di accesso.
Altro problema: oggi i concorrenti di Telecom stanno investendo per mettere i loro Dslam nelle 78 mila centrali. Quando la Ngn sarà attiva, quelle macchine dovranno essere sostituite. C’è quindi da calibrare gli interventi in modo da non penalizzare gli investimenti di oggi. Tanto più che c’è già un impegno esplicito dell’Autorità in tal senso e fare le cose diversamente riporterebbe la concorrenza in questo settore all’anno zero.
Infine l’ultimo nodo. Come si rientra da un investimento da 10 miliardi? Che cosa si deve far passare nelle nuove reti per produrre dei ricavi? «In attesa di veder nascere i nuovi servizi che arriveranno un po’ alla volta e anche in funzione del numero di utenti collegati, il modo più rapido per iniziare a riempirla di contenuti afferma Zingarelli sarebbe di farci passare i canali tv. Non è un caso che di Ngn si parli molto in Germania, Gran Bretagna e negli Usa, dove c’è molta tv via cavo: si tratta di spostare i canali dai vecchi ai nuovi cavi. Ma in Italia la tv va via etere. Ci sono società che hanno investito e stanno investendo nelle nuove reti digitali terrestri e senza strategie chiare si rischia di bloccare tutti. E poi mettendo i canali tv sostanzialmente in Internet si abbatterebbe la divisione di oggi tra pubblicità locale e nazionale. Tutte le tv sarebbero visibili dappertutto e la torta dei ricavi pubblicitari si assottiglierebbe per tutti».
Insomma, le Ngn all’inizio servirebbero quasi solo per la tv in diretta e per l’alta definizione: la cosa potrebbe però funzionare solo se le nuove reti arrivassero a tutti. Portare la larghissima banda solo nelle grandi città significherebbe da una parte chiudersi al mercato di massa, dall’altro riaprire un nuovo digital divide. E quello ‘vecchio’ è tutt’altro che superato.

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