04 ottobre, 2007

Tlc al bivio


Il settore di fronte all’alternativa se rilanciarsi con nuovi investimenti
o scaricare la minor crescita sui lavoratori. Verso la mobilitazione generale

di Alessandro Genovesi
Segretario nazionale Slc Cgil

Il 5 ottobre scioperano i lavoratori di Vodafone. Scioperano contro un progetto di esternalizzazione di circa mille giovani colleghi, impiegati nei “customer care”. La vertenza Vodafone assume però oggi un’importanza straordinaria, perché – con la proposta del secondo grande operatore di Tlc di esternalizzare attività “core” come il servizio clienti – è forse iniziata una nuova fase di riorganizzazione del settore, con possibili effetti dirompenti sull’intera filiera (dalle imprese che operano in appalto sulla rete fino ai tanti call center in outsourcing). Se nel merito della vertenza in sé non sfugge come Vodafone stia scommettendo su una nuova strategia d’impresa basata sulla riduzione del proprio perimetro aziendale, la riflessione che abbiamo di fronte deve, per gli scenari entro cui si inserisce, allargarsi all’intero settore delle Tlc e dovrà vedere coinvolte le confederazioni e il governo.

Il settore è oggi attraversato, infatti, da più processi tutti potenzialmente dirompenti se non governati: pesano la struttura dei debiti per alcuni (Telecom e Wind) e le difficoltà di remunerare gli investimenti per altri (H3G); si va verso una saturazione dei profitti legati esclusivamente alla voce (fissa e mobile); si assiste (anche per effetto delle stesse stabilizzazioni) al tentativo di diverse imprese di outsourcing di specializzarsi sull’intera filiera del customer care, mentre grandi nomi legati agli apparati (da Dmt a Ericsson) si propongono come gestori integrati delle piattaforme e delle infrastrutture di rete (quelle di Wind e H3G per prime); diverse sono le incognite legate al futuro della rete Telecom (oltre che degli assetti proprietari). Ci sono cioè tutti gli ingredienti per una profonda riorganizzazione del comparto e le imprese del settore (e i suoi lavoratori) si trovano di fronte a un bivio: rilanciarsi riattivando un percorso virtuoso fatto di investimenti legati alla convergenza (triple o quadruple play), ai servizi a valore aggiunto e alla banda larga (fissa e mobile attraverso l’Umts), con una forte personalizzazione dell’offerta, oppure scaricare la minore crescita (ed è la strada scelta oggi da principali operatori, a partire da Vodafone, la società economicamente meglio strutturata e con più redditività) esclusivamente sul costo del lavoro e su un modello di partnership orizzontali dove, all’interno delle “case madri”, potrebbe rimanere il marchio e poco più.

Uno scenario rischioso per i lavoratori del settore (una buona metà con meno di 40 anni), ma anche per lo stesso paese. Perché con un quadro fatto da aziende concentrate solo sulla valorizzazione del marchio, con forti alleanze commerciali con i produttori di contenuti, in un mercato saturo, non assisteremo alla lunga solo all’impoverimento di asset strategici come rete, It e customer, ma a una parcellizzazione della filiera, a maggiori difficoltà per adattare tecnologie e procedure verso il cliente e verso le specifiche caratteristiche del mercato italiano; a una riduzione degli investimenti sulle infrastrutture fisse (e già la rete in Italia ha perso in qualità trasmissiva rispetto agli ultimi anni) e su quelle mobili.

Oggi la sfida potrebbe essere quindi tra due modelli di impresa per le Tlc: un modello che riesce a sviluppare competenze, tecnologie e prodotti a forte personalizzazione, mantenendo un’integrazione verticale omogenea e comunque con una filiera produttiva compatta, ben perimetrata e dove non sia il costo del lavoro o la riduzione delle tutele la discriminante nelle scelte industriali; e un altro dove le imprese sono virtuali e – fidelizzato il mercato – concertano in un’ottica oligopolista i nuovi servizi e il rapporto con il cliente. Per tutte queste ragioni dovremmo già nelle prossime settimane iniziare un percorso che non potrà che sfociare in una generale mobilitazione del settore. Una mobilitazione che chiami tutti, a partire dalle imprese e dal governo, a un intervento diverso e più a lungo respiro. Lo stesso contratto nazionale di lavoro dovrà essere probabilmente ripensato, facendosi sempre più garante di una ricomposizione della filiera produttiva che spinga verso l’alto diritti, tutele e salario – anche attraverso nuove clausole sociale e nuovi modelli relazionali – affinché di fronte alle nuove sfide del settore, non sia la compressione dei diritti e delle tutele l’unica strada praticabile.


(www.rassegna.it, 4 ottobre 2007)

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