LINK Articolo Caravita da Quinta's Blog
L'Aquila, marzo 1996. Nella sala di conferenze della Scuola di telecomunicazioni Reiss-Romoli è in corso una delle tante sue conferenze tecniche. Una platea di ingegneri, rigorosamente in giacca e cravatta, ascolta in silenzio le relazioni, coordinate dall'allora responsabile tecnologico della Sip, Umberto de Julio. I vertici tecnici dell'intero gruppo Stet, e dei loro fornitori, sono al gran completo. Al di là del carattere dimesso del convegno, l'occasione è notevole. Per la prima volta in Italia verranno messe a confronto tra loro due tecnologie emergenti. I primi supermodem Adsl, presentati dall'Italtel, contro le Pon, le reti in fibra ottica passiva, asso della Sirti.
Internet, in Italia, era allora ai primi passi. Quasi tutta sulla rete telefonica, a banda stretta. Eppure, a l'Aquila, si analizzava già il dopo: la larga banda già possibile. E nei corridoi del seminario si intrecciavano discussioni sulle sue conseguenze. Costruire una rete ottica nazionale (che da lì a poco sarebbe divenuta per la Stet un progetto operativo, il Socrate) avrebbe di fatto determinato una sorta di nuovo monopolio naturale, in collisione diretta con le prime normative europee di liberalizzazione delle telecomunicazioni (in primis l'Open Network Provision, il principio, statuito nel 1994, che imponeva ai gestori dominanti di dare accesso sulle proprie reti, a condizioni eque, ai concorrenti nei servizi).
Come risolvere questa apparente contraddizione tra grande infrastruttura unica a larga banda e pluralismo e competizione? E alcuni, nei corridoi della ReissRomoli, cominciarono a discutere di una tesi già apparsa in alcuni studi dell'Oftel e dell'Fcc (i regolatori inglese e Usa): l'idea di una rete scorporata, autonoma, capace di vendere a tutti gli operatori in concorrenza accessi e servizi di rete, e in modo imparziale.
«In realtà - ricorda De Julio - questa era solo una delle due scuole di pensiero nate in quei tempi. A chi scommetteva su un futuro di rete unica multimediale, e di concorrenza sui servizi si contrapponeva chi, invece, prevedeva un futuro di tante reti in competizione. A dieci anni di distanza chi ha avuto ragione? Forse il caso Fastweb dovrebbe farci riflettere. Un'azienda di prim'ordine, ma che ha dovuto investire risorse ingentissime per la sua rete a larga banda, senza però riuscire a ricavarne, in dieci anni, un ritorno netto sufficiente a proseguire negli investimenti strutturali. Non a caso oggi è parte di un grande gestore europeo, la Swisscom. Quel dibattito di allora, forse, oggi è giunto a una sua conclusione».
Il progetto Socrate della Stet abortì. Nacque Telecom Italia. Dal 1998 in piena competizione con altri operatori integrati, reti e servizi assieme. Soltanto una voce, in quegli anni, avanzò un'ipotesi diversa. Francesco Chirichigno, examministratore delegato della Sip, vecchia guardia degli ingegneri tlc, che propose la rete separata dai servizi, in due aziende. E la prima aperta a un pluralità di operatori "immateriali". Fu presto bollato come "spezzatino telematico", e l'idea eretica di Chirichigno messa in dimenticatoio.
Eppure la grande infrastruttura nazionale, la rete fissa capillare (di fatto impossibile da replicare in tempi brevi) restava un problema. Sia per l'Agcom, il regolatore, che già nel 1998 impose a Telecom italia la separazione contabile dei suoi servizi internet dopo l'acquisto di Video On line di Grauso. Sia per gli operatori alternativi, che facevano fatica a crescere. L'Adsl, si sostenne sarebbe stata la soluzione. Un supermodem semplice, che dava larga banda sul vecchio doppino telefonico. Bastava che gli incumbent affittassero le linee ai concorrenti a prezzi e condizioni regolate, secondo la formula dell'unbundling.
In realtà non fu affatto semplice. Gli incumbent manifestarono naturalmente, in tutta Europa, notevoli riluttanze a applicare rigorosamente l'accesso aperto Adsl a tutti. Al punto che la più potente autorità regolatoria Tlc europea, l'Ofcom inglese, minacciò seriamente di spaccare in due British Telecom. E nel 2005 fu trovato un compromesso: Bt avrebbe formato Open Reach, una divisione indipendente sotto controllo di un board nominato da Ofcom, per fornire accessi uguali a tutti. Fu la prima separazione funzionale nella storia delle tlc europee. Un modello che oggi la Commissaria Ue alla società dell'Informazione Viviane Reding vorrebbe estendere all'intera Europa.
Eppure molti oggi vogliono andare anche oltre la separazione funzionale. Per una ragione tecnologica, non molto lontana da quel primo dibattitto del 96. La rete di nuova generazione (Ngn), che dovrà sostituire gli Adsl (ormai a saturazione) si annuncia infrastruttura decisamente non replicabile, costosa per decine di miliardi di euro, ma anche estremamente versatile, capace di gestire il web, televisione e video in media e alta definizione, telefonia fissa e persino mobile (tramite Wi-Max connesso), automazione diffusa, videocomunicazione di ogni tipo. Una Ngn nazionale potrebbe vendere servizi di rete a migliaia di operatori differenziati. Oggi lo slogan di moda si chiama "One Network", una sola rete pubblica aperta, basata su fibre ottiche E-Pon, partecipata negli investimenti da più gestori di servizi. Persino conveniente, se fatta imprenditorialmente, per Telecom Italia, sostengono alcuni.
E, in parallelo, aleggia un certo scetticismo sulla separazione funzionale. «I muri regolatori possono anche funzionare in Gran Bretagna - osserva per esempio De Julio - ma l'Italia è diversa. Subito dopo la separazione funzionale riprenderebbe, e alla grande, l'interminabile sequela di ricorsi al Tar, proteste di operatori, cause». Un dibattito complesso, come si vede (e non solo italiano), che ha più di dieci anni. Che è ripreso a piena voce, in questi giorni, a Bruxelles. Un dibattito, però, che è sempre più urgente risolvere.
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