di Alfredo Faieta
Il prossimo 5 agosto suonerà nuovamente la campana per gli investitori finanziari che hanno in portafoglio azioni Telecom Italia. Per quel giorno sono in calendario, infatti, i risultati del secondo trimestre del 2010, che sommati a quelli del primo quarto dell’anno daranno la visuale sui conti del gruppo al giro di boa di questo esercizio. Due giorni prima è invece previsto un nuovo tavolo al ministero dello Sviluppo economico – il quinto dall’annuncio dei 3700 esuberi – alla presenza del viceministro Paolo Romani che proprio il giorno seguente, stando a voci di Palazzo, dovrebbe essere nominato ministro del dicastero lasciato vuoto dopo le dimissioni di Claudio Scajola.
Tavolo sindacale e risultatidi bilancio sono due eventi non solo temporalmente legati, ma anche intrinsecamente concatenati in questa calda estate dell’ex monopolista delle telecomunicazioni. Sì, perchè l’accusa che i vertici di Telecom Italia vogliano migliorare i risultati di gruppo solo grazie a drastici tagli dei costi, per poi distribuirli agli azionisti sotto forma di corpose cedole, è un refolo che si è fatto via via vento e potrebbe gonfiarsi in tempesta, se i tagli dovessero essere confermati tout court senza sicurezza sui gli investimenti, su altre forme di ammortizzatori sociali e senza, soprattutto, investimenti in riqualificazione del personale come chiedono a gran voce i sindacati.
Il ritornello è antico, e lo stesso Beppe Grillo durante l’ultima assemblea dei soci ha usato toni forti: “Se nonostante le cessioni operate in tutti questi anni il debito che è rimato è 34 miliardi, la domanda da ragioniere che vi pongo è: dove sono finiti i soldi? Sono finiti in stock options, in dividendi agli azionisti del salotto buono, che hanno spolpato viva la Telecom” ha gridato con la sua carica Grillo. Ma l’invettiva è più da riferirsi alle passate gestioni che non all’ultima, targata Gabriele Galateri di Genola – Franco Bernabè, rispettivamente presidente e amministratore delegato. Durante la quale le cedole si sono abbassate anche drasticamente: se relativamente al bilancio 2007 Telecom ha pagato un dividendo di 8 centesimi di euro per le azioni ordinarie e 9,1 centesimi per i titoli di categoria “risparmio”, con un payout dell’86 per cento (ovvero l’86 per cento dell’utile netto è stato distribuito ai soci) nel 2008 gli azionisti hanno percepito rispettivamente 5 e 6,1 centesimi per quota, con un payout del 70 per cento. Misura poi ripetuta in relazione al bilancio 2009, che ha pagato proprio a maggio di quest’anno, con payout del 74 per cento. Il monte dividendi totale è stato nei tre anni rispettivamente pari a 1,61 miliari di euro circa nel 2007, e 1,03 miliardi nel 2008 e 2009.
Un calo che si riflette in quello degli utili, ma anche nella volontà di cercare di abbassare i debiti, come ha affermato lo stesso Bernabè durante la revisione del piano industriale dello scorso 13 aprile, al fine di tornare a pagare cedole più alte in futuro: “L’efficace gestione del capitale di esercizio e degli oneri finanziari e l’andamento dei flussi di cassa” ha detto Bernabè in quell’occasione” consentirà di ridurre il debito di 5 miliardi, che al 2012 sarà inferiore a 28 miliardi. Sarà l'andamento del debito a dare flessibilità a Telecom che così riuscirà a proporre un dividendo in aumento a partire da 2011”, aggiungendo che “i dividendi aumenteranno nel lungo termine” e che “si sarebbe potuto innalzare le cedole già questo anno, ma abbiamo avuto il problema di Sparkle e così abbiamo deciso di non aumentarle per sicurezza”.
La volontà di aumentare le cedole in futuro è dunque chiara, ed espressamente legata alla riduzione del debito, voglia o meno il primo azionista della società, quella Telco dove siedono oltre a Telefonica anche Mediobanca, Generali e IntesaSanpaolo, che ha il 22,5 per cento delle quote e che ha incassato nel 2007 circa 230 milioni di euro, quota scesa a 150 milioni nei due anni seguenti. I soci mugugnano e chiedono di più, viste le perdite in conto capitale accumulate per il calo del prezzo dei titoli (Telco ha investito a 2,6 euro per azione mentre ora il prezzo è sotto l’euro). Bernabè, pur consapevole che non sarà facile estrarre ulteriori utili senza una gestione efficiente, dovrà cercare di accontentarli in futuro, se vuole restare ancora in sella alla società.
La tentazione di agire sugli esuberi potrebbe diventare forte, così come quella di diminuire gli investimenti sulla rete per monetizzare tutti i risparmi: la speranza è che il governo si faccia carico di accompagnare la società in un percorso virtuoso dove si trovi un equilibrio tra soci e dipendenti. Il 5 agosto si saprà se i numeri stanno dando una mano.
IL FATTOQUOTIDIANO 31/07 PAG.10
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