11 luglio, 2010

“Telecom non usi i lavoratori come ostaggi” Camusso (Cgil): “Vedo segni d’imbarbarimento”





di Giorgio Meletti

Non so se la Telecom voglia far pesare la procedura per i 3.700 licenziamenti su qualche tavolo di trattativa con il governo per chissà quale partita. Voglio solo augurarmi che qualcuno non abbia pensato di usare i lavoratori come ostaggi”.
Susanna Camusso, numero due della Cgil, affronta la più seria grana sindacale dell’estate, i licenziamenti di Telecom Italia. Una vicenda che promette di infiammarsi,mentre cresce il sospetto che da parte dell’azienda si sia scelta la strada della drammatizzazione per ottenere contropartite da un governo preoccupato per la tenuta sociale, come dimostra il nervosismo del ministro del Lavoro Maurizio Sacconi.

Le era mai capitato, come stavolta, l’annuncio di licenziamenti massicci proprio nel giorno dello sciopero nazionale di una grande azienda come Telecom Italia?

Mai. E non fa un bell’effetto. Mi sembra un nuovo, ulteriore elemento di imbarbarimento nei rapporti. E su questo devo dire che il governo ha delle precise responsabilità.
Il continuo disprezzo del dialogo con le parti sociali è un modello che questo governo ha imposto.

Nel caso specifico però il ministro del Lavoro Sacconi sembra più dalla parte vostra che dell’azienda.

Non ho difficoltà a dichiararmi completamente d’accordo con Sacconi quando dice che prima di licenziare un’azienda dovrebbe mettere a punto i suoi piani industriali e gli investimenti sul futuro. Detto questo c’è però un punto forte di dissenso con l’esecutivo ”.

Quale?

Di fronte alla gravità della crisi economica, che ci chiama ad analisi e a scelte importanti per il futuro del Paese, siamo da tre mesi senza ministro dello Sviluppo Economico.
Questo dato è sufficiente a descrivere l’attenzione con cui il governo Berlusconi affronta i temi della crisi.

A due anni dall’inizio della crisi, mentre molti scrutano primi segni di ripresa, arriva il colpo più duro all’occupazione, il primo licenziamento collettivo che riguarda migliaia di persone tutte insieme. Non c’è anche una responsabilità degli industriali?

Certo, in questo caso parliamo di un’azienda che licenzia migliaia di persone avendo chiuso l’ultimo bilancio con un miliardo e mezzo di euro di utile netto. E che insegue strenuamente il miglioramento delle sue performance finanziarie anziché darsi una qualità vera di piano industriale. La verità è che questa classe dirigente non sembra neppure conoscere bene il Paese, e quali trasformazioni sta subendo il tessuto produttivo. E soprattutto non ha un’idea di dove portarlo.

C’è chi sostiene che i lavoratori di Telecom, con i loro scioperi, stanno difendendo
un passato ormai sfumato.


Alla gente che lavora in Telecom qualcuno dovrebbe spiegare quale innovazione ha fatto in questi anni il vertice aziendale, quali interventi sulla tanto celebrata competitività, quali investimenti sulla banda larga. Un’azienda non si rilamcia senza un’idea industriale.

E’ il problema specifico di Telecom Italia?

No, è il problema che ci si presenta sistematicamente in tutti i casi di crisi aziendale.
Abbiamo un classe dirigente che non fa scelte. Basta fare il confronto con ciò che è stato fatto in Francia, o in Germania. Da questo punto di vista Confindustria e governo appaiono in grande sintonia. Il governo, dopo due anni di sfrenato ottimismo, adesso appare spiazzato.
E la Confindustria è sempre più legata alle politiche di Berlusconi e Tremonti, e sta applaudendo alla politica economica depressiva della manovra finanziaria che sta passando in Parlamento.

Che cosa cercherete di fare adesso?

Stiamo chiedendo da un anno e mezzo un luogo di discussione sulla natura della crisi e sulle possibili soluzioni. Magari potessimo un giorno fare una discussione seria sulle nostre proposte, non so, magari sull’idea di tassare le rendite finanziarie...

Stavolta su Telecom Italia scende in campo tutto il sindacato? Sarà una battaglia simbolo?

Non può che essere una grande vertenza nazionale, e non solo per il numero impressionante dei posti di lavoro in gioco, ma anche e soprattutto per il tipo di azienda che è. Lo so, è una parola ormai trita, però stavolta ci vuole: Telecom Italia è strategica, con il suo destino il Paese intero si gioca un pezzo del suo futuro.

LA RISPOSTA A BERNABÈ:
SACCONI DÀ VOCE ALL’IRRITAZIONE DEL GOVERNO


La mossa di Telecom Italia ha irritato profondamente il governo. L’annuncio dei 3.700 licenziamenti, per i quali scatterà da lunedì la procedura prevista dalla legge 223 del 1991, contribuisce a peggiorare un clima sociale già in preoccupante peggioramento. “Il governo ha sempre invitato le imprese ad evitare azioni unilaterali”, ha protestato ieri il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, sottolineando come i licenziamenti siano “destinati ovviamente a rendere più difficile il necessario dialogo sociale”. Per Sacconi sarebbe invece importante “la ricerca del più ampio consenso possibile su percorsi che
possono giustificare razionalizzazione dei costi solo se collegati a significativi investimenti”.
Proprio Sacconi ha sempre insistito sulle imprese, fin dagli esordi della fase acuta della crisi economica, nell’autunno del 2008, per un’atteggiamento assai prudente sull’arma dei licenziamenti. Più volte si è spinto fino a chiedere, soprattutto alle grandi aziende, una sorta di moratoria nella gestione degli esuberi.
Anche per questo c’è chi attribuisce, con qualche malizia, un significato recondito alla mossa di Franco Bernabè. L’amministrator e delegato di Telecom Italia è impegnato da tempo in un sordo braccio di ferro con il governo sulla questione della rete telefonica. Da una parte i finanziamenti pubblici per lo sviluppo della larga banda, a lungo promessi nella misura di 800 milioni di euro, non sono mai arrivati. dall’altra parte il governo preme sulla Telecom perché si rassegni a costruire la costosa rete di nuova generazione in consorzio con i suoi concorrenti (come Wind, Vodafone, Fastweb e 3), rinunciando così allo storico monopolio sull’infrastruttura di base. Negli ambienti del governo più d’uno sospetta che Bernabè abbia deciso di calare, nella complessa partita, la carta del ricatto occupazionale. Un’arma fortissima, che fa paura ai governi, ma li innervosisce anche.



Domani, con l’apertura dei telegrammi che comunicano l’avvio delle procedure per 3700 licenziamenti, si capiranno meglio le intenzioni di Telecom. Per Slc Cgil il rischio è di un’escalation verso la «mobilità lunga».

MARCO VENTIMIGLIA

L’appuntamento è per domani, quando nelle sedi sindacali di mezza Italia (o forse tutta viste le dimensioni di Telecom) verranno recapitati i telegrammi aziendali con la comunicazione dell’apertura della procedura di mobilità per ben 3.700 lavoratori. Gli stessi telegrammi spediti, con provocatoria coincidenza, proprio nel venerdì dello sciopero dei dipendenti contro il piano triennale che prevede 6.800 esuberi. «A quel punto - dice Alessandro Genovesi, segretario nazionale di Slc-Cgil - si capirà meglio la strategia dell’azienda, visto che nel telegramma devono essere indicati anche i siti produttivi che dovrebbero subire i tagli. In realtà, andando con la memoria al recente passato, è prevedibile che Telecom intenda usare le forbici un po’ dappertutto. Non dimentichiamoci che quest’azienda è riuscita nell’arco di un decennio a dimezzare un organico di oltre centomila dipendenti fra esternalizzazioni, prepensionamenti e mobilità volontaria». Tagli generalizzati, facendo i conti con l’attuale struttura di Telecom, significa andare a colpire essenzialmente tre aree. C’è il grosso dei dipendenti amministratrivi che opera a Milano e soprattutto a Roma; ci sono poi gli addetti al settore customer (i numeri119 e 187) distribuiti in 8 città, Bologna, Firenze, Milano, Napoli, Padova, Palermo, Roma e Torino; ed il personale informatico presente a Roma, Napoli e Torino.

LA GEOGRAFIA DEI TAGLI

«Il fatto che di tagli ce ne sono già stati - spiega Genovesi - non significa che venga riproposto un copione noto, tutt’altro. Per quanto numerose e dolorose, le precedenti riduzioni del personale non hanno praticamente mai comportato il ricorso alla cassa integrazione, semmai con la saltuaria applicazione di contratti di solidarietà, mille dei quali tuttora in essere. Il comportamento vergognoso di venerdì, con l’invio dei telegrammi nel giorno dello sciopero, appartiene invece ad un’escalation aziendale che estremizza la trattativa. L’intento è ottenere quella che definisco una “mobilità lunga”, ovvero unire anni di cig a anni di solidarietà per arrivare poi alla fuoriuscita del dipendente.
Una logica assolutamente inaccettabile, contro la quale ci batteremo con tutti gli strumenti a nostra disposizione».
Dal segretario di Slc-Cgil giunge poi l'invito al governo «a farsi sentire e a convocare le parti sociali. Nelle prossime ore insieme agli amici e compagni di Fistel-Cisl e Uilcom-Uil decideremo come continuare la vertenza, prendendo atto di un'azienda che non modifica nulla della propria impostazione e del piano industriale, esclusivamente finalizzato alla riduzione di personale e investimenti, questo a fronte di utili per unmiliardo e mezzononché liquidità per 11». Quanto all’esecutivo, dopo l’improvvida uscita di venerdì, «Spero che dopo lo sciopero riparta il dialogo fra azienda e sindacato», il ministro del Lavoro ha cercato di riparare: «Se confermate le indiscrezioni di fonte sindacale – afferma Maurizio Sacconi -, Telecom sarebbe intenzionata a licenziamenti destinati ovviamente a rendere più difficile il necessario dialogo sociale.
Il governo ha sempre invitato le imprese ad evitare azioni unilaterali nella ricerca del più ampio consenso possibile su percorsi che possono giustificare razionalizzazione dei costi solo se collegati a significativi
investimenti».

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