14 febbraio, 2011

Internet e la "banda stretta" il solito bluff targato Romani

la polemica

STEFANO CARLI

E’ tornato il piano Romani sulla banda larga: il governo aveva bisogno di dare un segnale di vitalità e ha deciso di rispolverare i 100 milioni che serviranno a portare il 100% della popolazione italiana nell’èra di Internet. Ma come regolarmente accade da un anno e mezzo a questa parte, ossia da quando il piano per la banda larga venne lanciato, nel giugno del 2009, è probabile che neanche stavolta i soldi arriveranno, o comunque non tutti: un buon terzo sarebbe infatti già ipotecato per accelerare il passaggio della tv al digitale.
Vale la pena di ripercorrerne un po’ la storia. Questi 100 milioni sono ciò che resta di quello che era l’originario piano lanciato da Paolo Romani nel giugno del 2009 con lo stesso obiettivo di oggi, ossia eliminare il divario digitale, ma con ben altre ambizioni. Allora i milioni erano 1.471. Non arrivarono mai e il piano ritornò rapidamente nei cassetti dell’allora viceministro alle Comunicazioni, respinto ripetutamente dai niet di Giulio Tremonti. Tanto che già nella scorsa primavera Romani giurava che no, il piano non era cancellato ma solo rinviato a tempi migliori per le casse pubbliche ma che forse, comunque, probabilmente, un centinaio di milioni si sarebbero riusciti a sbloccare abbastanza rapidamente. E casualmente sono proprio 100 milioni quelli che riappaiono oggi.
Ma oggi c’è forse una novità: forse stavolta Tremonti davvero potrebbe dare il via libera almeno a queste briciole. Briciole, ovviamente, rispetto agli 1,4 miliardi originari e anche rispetto agli oltre 8 miliardi che servirebbero per dotare l’Italia di una infrastruttura degna di un paese industriale del terzo millennio. Ma quella della fibra ottica è tutt’altra partita.
Dunque, Tremonti stavolta potrebbe aprire davvero i cordoni della borsa. Purtroppo per la banda larga, se così davvero sarà, i soldi sarebbero già parecchi di meno. Perché stando a ipotesi che circolano a mezza bocca in queste ore almeno 30 milioni serviranno a coprire i costi necessari ad accelerare il processo di passaggio della tv al digitale. Il cosiddetto switch off, lo spegnimento del vecchio segnale analogico, doveva concludersi a fine 2012 ma adesso anche Tremonti ha fretta: completare lo switch off significa liberare frequenze. E in special modo al ministro dell’Economia questo serve per poter raggiungere l’obiettivo di svolgere entro quest’anno l’asta per assegnare le frequenze liberate agli operatori di telefonia mobile. Un’asta da cui Tremonti spera di ottenere 2,4 miliardi di euro che ha già contato tra le risorse del piano di stabilità appena varato.
Gli operatori mobili, che sono quelli che mettono i soldi (e qui si parla di soldi veri, non di impegni di spesa e stanziamenti a futura memoria), hanno per una volta fatto fronte comune, forti di questo discreto vantaggio e hanno fatto sapere a Tremonti che non sono neanche disposti a sedersi al tavolo se al momento della gara non avranno la certezza che le frequenze sono libere. Temono di dover intanto pagare e poi assistere al balletto di ritardi, ricorsi, contenziosi con le tv locali che manderebbe all’aria i loro conti.
Di qui la necessità di riuscire a far passare al digitale terrestre tutte le regioni mancanti: tutte le regioni adriatiche a sud dell’Emilia, poi l’Umbria, la Toscana, la Sicilia, la Basilicata e la Calabria.
Tutto rinviato, dunque, per la banda larga e l’azzeramento del divario digitale? Forse no. Forse il governo tra la fine di quest’anno e i primi mesi del 2012 potrebbe comunque presentarsi con un risultato positivo in carniere. Peccato che non sarà stato merito suo ma della Regioni. Che soprattutto al nord non sono certo state ad aspettare i fondi Cipe, i fondi Fas e il federalismo. Sono loro che hanno continuato a lavorare per chiudere il divario digitale, sfruttando quel po’ di fondi rimasti nelle casse di Infratel, ma più ancora fondi «raschiati» dai loro stessi bilanci.
Nell’originario piano Romani, oltre agli ormai mitici 800 milioni che dovevano essere stanziati dal Cipe e che sono stati i primi a sparire e che possono ormai essere dichiarati definitivamente dispersi, e a qualche altro «spicciolo» c’erano due poste particolari: 260 milioni di fondi Infratel e 188 milioni di fondi Fas, ossia i fondi cofinanziati con l’Ue per le zone di sottosviluppo. E quindi più che probabile che i 100 milioni riesumati in fretta e furia da Romani per sua stessa affermazione dai fondi Fas siano una parte di quei vecchi 188.
Quanto ai 260 milioni della dotazione Infratel, quelli in effetti sarebbero stati spesi. O meglio: impegnati. Infratel è una società pubblica. E’ controllata al 100 da Invitalia, l’agenzia per l’attrazione degli investimenti in Italia che fa capo a sua volta al ministero dell’Economia. La missione di Infratel è di «eliminare il digital divide nelle aree sottoutilizzate del Paese, per soddisfare le esigenze di servizio delle pubbliche amministrazioni e per sostenere lo sviluppo delle aree industriali», come recita il suo sito web. Nei fatti si limita a portare la fibra ottica in tutte quelle centrali di Telecom Italia in cui il gruppo di Bernabè non ha mai ritenuto di doverlo fare per manifesta irrecuperablità dell’investimento. Ed erano circa 2900 a giugno 2009.
Ora sono molte di meno perché Infratel, il cui lavoro consiste nei fatti nell’individuare zone di intervento e nel bandire gare, avrebbe nel frattempo impegnato circa 240 milioni della sua dotazione. Che è dunque quasi esaurita. Ma non sarebbero tuttavia per questo esaurite le centrali Telecom prive di fibra. Secondo una stima che circola tra gli addetti ai lavori, se Infratel potesse disporre di tutti i 100 milioni promessi da Romani potrebbe cablare in fibra circa 5600 centrali. E a quel punto, per finire l’opera, ne resterebbero ancora altre 7800.
Comunque sia, anche portando la fibra in tutte le centrali Telecom il divario digitale non si elimina perché in molte di queste gli utenti sono collegati con doppini di rame più lunghi di 2 chilometri e l’Adsl non funziona più. Oppure la distanza sarebbe accettabile ma il rame è così mal ridotto dopo anni di tagli dai bilanci di Telecom dei budget per la manutenzione da essere comunque inadatti.
Ed è qui che intervengono le Regioni.
Si è parlato molto del piano della Lombardia per la fibra ottica, ma la Regione ha in effetti un piano in due parti: quello per portare una prima banda larga di almeno 2 mega a tutti è già partito. La Regione ci mette 41 milioni e ha messo a gara la realizzazione e la gestione dell’infrastruttura: la gara l’ha vinta Telecom Italia offrendo altri 41 milioni di impegno (battendo l’offerta della cordata FastwebVodafoneWind). Infine concorreranno anche qui una ventina di milioni di Infratel. Insomma, con 100 milioni si elimina il divario digitale della sola Lombardia. E questo avverrà tra due anni. Indipendentemente da Romani. L’assegnazione verrà ufficializzata a breve, manca un passaggio poco più che formale a Bruxelles, e poi partiranno i lavori.
Della scorsa settimana è invece l’accordo tra Telecom Italia e la Provincia Autonoma di Trento. Anche qui l’attenzione è stata quasi esclusivamente catturata dalla fibra ottica, che Telecom si impegna a portare nel 60% del territorio e in oltre 150 mila abitazioni grazie alla costituzione di Trentino Ngn, una società a capitale misto aperta anche all’ingresso di altri operatori. Ma il piano della Provincia è più ampio e punta ad eliminare il divario digitale con una rete mista, in cui ai 700 chilometri di fibra si affiancherà una rete in ponti radio fatta di 750 centrali radio e 1.600 punti di accesso su tutto il territorio.
Più avanti di tutti è l’Emilia Romagna che conta di finire i lavori quest’anno. La Regione è andata avanti gradualmente in tutti questi anni attraverso la sua società di tlc, la Lepida, che gestisce già la rete ottica della regione e che si finanzia vendendo accessi a tutte le telecom che glielo chiedono (non connette direttamente utenti privati). «Nel 2010 abbiamo investito 13 milioni e quasi altrettanti ne metteremo quest’anno spiega il presidente di Lepida Gabriele Falciasecca Stiamo realizzando collegamenti wireless fino ai piedi dell’Appennino in modo di arrivare in ogni comune. Abbiamo realizzato una dorsale wireless che va da Piacenza al mare. Entro duetre mesi saremo al 94% di copertura "effettiva" della popolazione e per fine anno saremo al 100%. E già che ci siamo stiamo utilizzando i ponti radio anche per portare il digitale terrestre nei comuni in cui non arriva. O meglio: arriva solo via satellite ma gli utenti così non riescono a vedere né le tv locali né il Tg3 regionale».

AFFARI E FINANZA 14/2/2011

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