ARMATEVI DI PAZIENZA A LEGGETE NE VALE LA PENA
Questi di Napoli, sono stati due giorni che ritengo molto interessanti, utili e ben organizzati; molti interventi, molta politica, ma anche questioni specifiche; anche gli interventi delle segreterie e di Epifani hanno, a mio parere, centrato la filosofia dell’assemblea.
Un’assemblea, va ricordato e apprezzato, nata solo e soltanto sull’onda dei tanti no all’ipotesi di accordo sul CCNL e dietro la spinta (legittima e corretta) delle regioni in cui l’ipotesi ha avuto maggiori difficoltà; una scelta difficile da parte delle segreterie nazionali, che mi pare si siano messe in discussione di fronte a tutte le RSU del settore, evitando così le scorciatoie difficili e sempre soggette a critiche delle “delegazioni rappresentative”: avere allargato a tutte le RSU l’invito a partecipare ha evitato qualunque tipo di polemica e reso la discussione più aperta e forse definitiva.
Quindi un’assemblea con al centro i luoghi di lavoro e non gli studiosi, i dirigenti aziendali e/o sindacali.
Purtroppo le vicende Telecom (e in parte la recente finanziaria) hanno monopolizzato gli interventi, riducendo l’importanza di alcuni temi che forse potevano essere maggiormente approfonditi.
Penso alla questione Vodafone, fortemente sentita su alcuni temi al momento della discussione sull’ipotesi di accordo del CCNL, in particolar modo sul lavoro part time; penso alla vicenda di Atesia; penso alla precarietà presente nel settore. Temi discussi e approfonditi, ma la centralità e la contingenza del problema Telecom, li ha posti in secondo piano.
Ha aperto l’assemblea Rosario Strazzullo, che abbiamo saputo uscire dalla segreteria nazionale (quindi dal settore TLC) per andare in confederazione con la Nicoletta Rocchi,
Il settore presenta fatti nuovi: sul piano finanziario, pur in presenza di utili molto alti, i tassi di redditività si riducono in percentuale rispetto al passato a fronte di flussi di investimenti sempre più necessari; sul piano tecnologico l’innovazione comporta politiche ed alleanze strategiche; infine, le ultime vicende confermano il problema della qualità dell’imprenditoria nazionale. Su tutto non si può tacere lo scandalo delle intercettazioni, che pongono all’attenzione di tutti anche la questione etica, la distinzione tra sfera pubblica e privata, la delicatezza di temi che riguardano la democrazia nel nostro paese.
Questo scenario è quello che si prospetta nel nostro futuro sindacale e nel quale dovremo cercare di svolgere il nostro ruolo: quindi – come dice rosario – non lavorare sul tutto o sul niente, ma valorizzare anche il poco che si raggiunge, consci della vera forza che abbiamo, cioè i lavoratori/trici e il fondamentale rapporto con loro e i loro problemi.
Quali sono i capitoli principali su cui centrare il nostro lavoro sindacale? Relazioni sindacali da rendere più efficaci per migliorare la situazione attuale caratterizzata da una “legittimazione forte senza poteri reali” e regole certe, oggi ancor più importanti dato lo sviluppo di nuove forme di comunicazione che svicolano e “scappano” dalle vecchie regole; regole certe perché non va dimenticato che si tratta di un settore di forte rilevanza sociale, economica e di sviluppo del sistema paese.
Le sfide concrete che abbiamo sono sulle politiche industriali (di cui Telecom è l’esempio più attuale) della qualità del lavoro (i part time in Vodafone), della sicurezza del lavoro (i contratti a termine alla RAI) e il grosso problema dei lavoratori in out-sourcing (con il rischio, più volte evocato, della delocalizzazione delle attività). La circolare Damiano (14/6/2006) ci aiuta pur non risolvendo i problemi sul terreno della precarietà, ma ci dovrebbe responsabilizzare nella ricerca di soluzioni che riescano a dare risposte concrete.
Molta attenzione va posta sul tema della professionalità nel nostro settore. Infatti qui (ma aggiungerei che oramai è una prassi costante e comune) il lavoratore è importante per le aziende solo e soltanto fino a che serve; l’esperienza concreta ci dimostra l’utilizzo fatto dalle aziende delle professionalità di ognuno e la necessità di tentare di ricomporle nelle politiche contrattuali; è quello che abbiamo fatto in Telecom con l’accordo sull’inquadramento; è quello che dovremo riuscire a fare nel settore, scalzando le logiche meritocratiche a favore del riconoscimento delle professionalità.
Oltre alla professionalità occorre mettere all’ordine del giorno il tema della sicurezza dei lavoratori, a partire dai call center.
Il dibattito ha toccato diversi temi:
PRECARIATO:Su questo punto il dibattito è andato oltre ai soliti temi sulla legge 30; è stato sottolineato, come il precariato non si risolve con una pseudostabilizzazione tipo Part-Time a 4 ore, soluzione che costringe il lavoratore a trovare un doppio lavoro.
Anche il contratto TLC prevede una percentuale troppo alta di lavoro precario, soprattutto viste le attività sempre più spesso coinvolte, quali i call center (cosa c’è di professionalizzante nel lavoro nei Call Center?); un atteggiamento anche poco coerente con le tesi congressuali.
Il precariato va gestito, regolamentato, utilizzando più strumenti, tipo la volontarietà, non deve più rappresentare la condizione essenziale per trovare un impiego.
Altro fenomeno riguarda il lavoro in out-sourcing e gli appalti: le aziende, distribuiscono commesse ad elastico, e questo rende precario lo sviluppo dell’azienda, sia sui livelli occupazionali che sulla sicurezza (vediappalti di rete) che sulla formazione.
Nel nostro settore, Vodafone sta attuando una politica diversa: dà lavoro ad aziende dove i lavoratori a progetto sono realtà minime e garantendo un flusso stabile di commesse; Telecom non fa altrettanto: porta avanti una gestione ad intermittenza distribuendo lavoro in percentuali variabili tra 187 e Call Center – esemplare il caso di Atesia.
E’ importante che le aziende di TLC tornino ad essere aziende industrializzate, che includono cioè tutto il processo produttivo, dalla nascita delle idee alla produzione, mentre oggi la tendenza è quella di esternalizzare settori, spezzettare il processo. L’esempio della FIAT è stato più volte citato, proprio come contrapposizione tra politiche industriali dettate da logiche finanziarie e politiche invece solo industriali: le prime destinate a “consumare” liquidità per appagare gli azionisti e le seconde che investono sulla qualità, sull’innovazione di prodotto e di sistema, non nel brevissimo, ma nel medio-lungo periodo. Ovvio il riferimento alle ultime vicende in casa Telecom.
Molti sono stati i riferimenti su Atesia, a cominciare dalle ispezioni e dalla circolare Damiano, che rappresenta la risposta ministeriale ad una situazione oramai diventata ingestibile.
Miceli ha ribadito con forza che SLC non è disposta a trattare l’esito delle ispezioni e non ci sarà nessuna apertura preventiva di tavoli negoziali. E’ necessario prima vedere l’esito (la questione è tra azienda e Ministero) poi portare avanti eventuali trattative.
DEMOCRATICITA’ INTERNA ALL’ORGANIZZAZIONE SINDACALE
Da più parti è stata sollevata la questione della democraticità interna, criticità emersa in fase di negoziazione contrattuale, in particolare, in qualche intervento, si è avvertita una certa distanza tra la base ed i vertici sindacali, soprattutto per ciò che riguarda:
-la non emendabilità della Piattaforma Contrattuale,
-il Mandato ai Delegati
-i Metodi di consultazione in assemblea.
Miceli nel suo intervento ha replicato, sostenendo che nella nostra organizzazione si può certamente fare di più, ma siamo avanti rispetto ad altri e rispetto allo Statuto della CGIL, che prevede la consultazione degli iscritti; infatti in alcune realtà è stato possibile anche fare il referendum e comunque la consultazione a voto segreto in assemblea è stata la mediazione – certamente avanzata – raggiunta dalle segreterie unitariamente. Su questo tema, anch’io ho portato l’esperienza della Toscana, dove i percorsi democratici sono stati fatti sia negli organismi che tra i lavoratori, con discussioni anche accese, ma con una finale condivisione di fondo dell’impianto dell’ipotesi di accordo; volendo anche significare che la democrazia sindacale non la può garantire la segreteria nazionale, ma chi sta sul territorio, chi organizza le assemblee, chi fa girare i documenti, chi permette a tutti di esprimersi, chi accetta le critiche e, soprattutto, chi riconosce i propri errori sulla base dei suoi ragionamenti e non su quelli fatti da altri.
Certamente bisogna andare avanti in tale direzione: Miceli ha promesso un processo di maggiore democraticità nella creazione delle piattaforme contrattuali , sentendo preventivamente anche un coordinamento di donne e giovani.
CONTRATTOGli aspetti sui quali sono state sollevate le criticità sono l’aumento salariale e i permessi studio (dato che allo stato attuale le paure manifestate sul tema della durata dell’orario di lavoro settimanale medio è risultato un non-problema, mentre è stato centrato il tema delle 11 ore tra un turno e un altro per la effettiva riduzione della flessibilità oraria). Il contratto ha indubbiamente anche dei punti di forza, vedi Orario (ASSTEL ha perso su tale questione), Armonizzazione del settore, ha la capacità di ricucire, armonizzare realtà diverse, non ci dimentichiamo che Vodafone prima del contratto non aveva potere negoziale sull’orario!!!
L’attenzione è poi caduta sui futuri rinnovi contrattuali sia di settore (Biennio economico) e aziendali (armonizzazioni varie, tra cui Telecom) – anche se non si può prescindere dalla situazione di stallo che vive oggi il settore.
E’ stato sollevato da più parti il problema dell’applicazione della legge 146 nel nostro settore, per evidenziare la scarsa efficacia delle nostre azioni di sciopero a causa della rigidità e assurdità delle norme.
L’intervento di Nicoletta Rocchi a tal proposito e’ stato chiaro: ad oggi non c’è disponibilità a cambiare la legge e la Commissione di Garanzia tende ad ampliare l’ambito di applicazione della precettazione, nell’ottica di conciliare il diritto di sciopero con il diritto dei cittadini di godere di alcuni servizi essenziali.
SITUAZIONE TELECOM ITALIA
Naturalmente tutti gli interventi hanno segnalato la situazione di Telecom Italia, la forte preoccupazione per la ricaduta del riassetto sui lavoratori e sul paese, (in quanto settore strategico per l’economia ed il futuro dell’Italia), con la conseguente svalutazione delle tecnologie e di un patrimonio collettivo.
Degno di grande rilievo l’intervento di Sergio Cusani, in qualità di Presidente della Banca della Solidarietà, organismo incaricato da CGIL di portare avanti uno studio sulla situazione finanziaria di Telecom e la conseguente elaborazione di un progetto di riassetto da portare all’attenzione del CDA dell’azienda (vedi relazione allegata).
L’intervento di Miceli, ha sottolineato il carattere finanziario della crisi di Telecom: in Italia il settore TLC perde velocità ed è fragile, avendo debiti verso le banche; Telecom non cresce più (vedi indicatori di produttività) ha una situazione finanziaria disastrosa che richiede che Tronchetti Provera lasci.
Purtroppo in Italia non ci sono investitori che hanno capitale vero per rilevare la società e per la rilevanza strategica che ricopre sarebbe auspicabile una proprietà diffusa, con una ricapitalizzazione vera, senza ricorrere alle banche. Il sindacato chiede che TIM rimanga italiana e di proprietà Telecom.
Lo sciopero, riuscitissimo, con una partecipazione dell’80% dei lavoratori, nonostante la 146, ci ha dato forza per far sentire la nostra voce. I passi successivi ci vedranno impegnati nello sciopero degli straordinari, della flessibilità, dei cambi turno, il tutto fino al CDA dei primi di Novembre. Se le nostre richieste rimarranno inascoltate proclameremo un ulteriore sciopero nazionale.
Per ciò che concerne l’aspetto illegalità è evidente che in Telecom esisteva una centrale affaristica con componenti statuali ed illegali; SLC si è già costituita parte civile a fianco dei lavoratori intercettati, e sta valutando se non sia il caso di citare l’azienda in giudizio.
Esistono inoltre quattro accordi sindacali sui controlli a distanza, l’azienda è quindi inaffidabile ed è il caso di valutare se dobbiamo disdettarli.
Di particolare interesse, ho trovato l’intervento di Luciano Bianco di Cuneo che ha sottolineato due aspetti: il primo di natura "storica" riguardante il posizionamento della Confederazione su tutto il percorso di privatizzazione della Telecom e in relazione al processo di liberalizzazione del mercato delle TLC, questo al fine di rimarcare l'inadeguatezza delle posizioni della Confederazione stessa (per altro non supportata in modo efficace dalla Categoria): in questo percorso, non aver compreso la complessità del processo in un settore di servizi a rete di pubblica utilità rappresenta un limite che deve essere superato anche in funzione degli analoghi processi in corso (vogliamo parlare per esempio di Poste?).
Il secondo aspetto, strettamente conseguente al primo, riguarda la necessità, più che mai ineludibile, di procedere ad un analisi "tecnologica" della questione della rete in funzione dell'espansione della Larga Banda e dei prodotti/servizi su di essa veicolati e soprattutto veicolabili al fine di dotare culturalmente la struttura sindacale di una conoscenza indispensabile per recitare un ruolo da protagonista sulla partita che si sta giocando sul futuro dell’azienda Telecom e del settore TLC tutto. L'attenzione sulle questioni finanziarie dell'Azienda deve essere accompagnata, adesso non dopo, da un ragionamento riguardante: il problema di una regolamentazione pubblica (decisa dal parlamento della repubblica) dell'accesso paritario di tutti gli operatori alla rete fissa; la definizione di un modello di "Azienda della Rete" appropriato a gestire quanto sopra in una dimensione che preveda un controllo di tipo pubblico super partes; una riflessione seria per giungere alla definizione dell’ultimo miglio dandoci la strumentazione per non accettare supinamente le posizioni del management di Telecom; le prospettive di integrazione e di sviluppo del fisso/mobile che non possono essere impedite per mancanza di condizioni paritarie tra i soggetti (anche qui torna il problema della regolamentazione); il livello di investimenti necessari nel breve/medio periodo per dotare il Paese di una struttura di rete d'accesso adatta a veicolare i 20, 50, 100 Mega. Quando citiamo politiche industriali e d'indirizzo strategico non intendiamo tutto ciò? La difesa dei livelli occupazionali in un settore in espansione (la contrazione attuale è di natura congiunturale a fronte delle enormi possibilità di creazione di alti valori aggiunti in funzione della diffusione dell'IPTV), la tutela delle capacità/conoscenze professionali (tra cui l’esempio dei giuntisti Telecom e d'impresa rappresenta un’ottima metafora) di un personale tra l'altro non sostituibile in quanto non disponibile sull'attuale mercato del lavoro. Sono questi i temi, a mio parere, che essendo meno politici talvolta vengono lasciati colpevolmente in secondo piano, ma forse riuscire a darci anche competenze più tecniche poi ci può aiutare a dare risposte politiche più articolate.
INTERVENTO CONCLUSIVO DI GUGLIELMO EPIFANI
La conclusione dei lavori è stata a cura del Segretario Generale CGIL.
Sulla crisi in Telecom Epifani sostiene che il gioco politico che ha al centro Telecom nasconde in realtà il cuore del problema, vale a dire il futuro di un gruppo con 85000 dipendenti: siamo in presenza di un azionista che ha giocato sul futuro dell’azienda utilizzando gli utili fondamentalmente per rafforzare la proprietà.
E’ opinione comune considerare l’attuale situazione come il risultato della privatizzazione, ma a ben guardare, in giro per il mondo, esistono altre esperienze di privatizzazione riuscite e sono risultati positivi perché affrontate con regole oneste, chiare trasparenti.
Andiamo a vedere il sistema proprietario che ci sta dietro, occorre distinguere tra gli interessi dell’azienda da quelli dell’azionista, (perché Confindustria non fa mai distinguo tra le due figure?)
In Telecom ci troviamo di fronte ad un problema di affidabilità della proprietà, una proprietà che avvia un processo di integrazione con tutti i costi che ciò comporta, costi ed impegno sostenuti anche dal sindacato, per poi fare marcia indietro senza interloquire con noi, anzi sostenendo fino all’ultimo il contrario.
Per non parlare poi delle intercettazioni, quale era il vero obiettivo? Business, spionaggio e perché di fronte ad una tale situazione Confindustria non ha preso posizione?
L’obiettivo di CGIL è l’integrità dell’azienda, un no deciso allo spezzatino, sappiamo benissimo dove porta questa politica, perché vendere Tim Brasile che sta crescendo? Se vendi Tim Italia e Tim Brasile salvi l’azienda? No, salvi solo l’azionista.
Ricordiamoci che non si costruisce un paese più evoluto perdendo pezzi del nostro valore industriale.
L’obiettivo per ciò che riguarda Telecom deve essere quello di allargare la base proprietaria con un nodo finanziario di comando stabile.
E’ così che dobbiamo vedere il futuro, non si possono valutare solo prospettive a breve termine, poi è innegabile, le difficoltà ci sono, sia sul fisso che sul mobile, ma a maggior ragione è necessario un azionariato che pensa a medio e lungo termine: la logica del breve periodo ha altre conseguenze tra cui la precarietà e presuppone necessariamente un rapporto di lavoro a breve.
Su questi contenuti, sinteticamente riportati, in Toscana stiamo attivando un percorso assembleare, che però deve essere attentamente valutato, soprattutto per le ripercussioni che possono determinare tra i lavoratori sull’unità e compattezza del fronte sindacali; quindi l’idea è buona, ma occorre valutarla in tutte le sue ricadute. Stiamo aspettando gli sviluppi, che a breve dovrebbero manifestarsi più chiaramente.
Ciao
Samuele
PS: per questa sintesi ho utilizzato i contributi della compagna Marta Banchi che ha seguito il dibattito prendendo appunti e relazionando al termine sui vari temi della discussione; buona parte di questo lavoro è quindi dovuto al suo impegno e bravura. La parte di Luciano Bianco è scritta di suo pugno: io ho solo provveduto a tradurre il cuneese in italiano…….!!!
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