01 novembre, 2011

INTERVENTO DI QUINTARELLI ALLA "LEOPOLDA"

Breve prefazione: L'intervento di Quintarelli viene pubblicato per la sua chiarezza e sintesi sull'agenda digitale, che questo sia stato poi fatto alla " Leopolda" è un problema secondario, come tutti saprete tra il SLC CGIL Toscano ed il personaggio che ha organizzato l'evento non corre buon sangue, vedi "Maggio Fiorentino"

Stefano Quintarelli, Intervento al Big Bang, Firenze, 29 ottobre 2011
Vi ringrazio per avermi invitato a tenere quest’intervento. Parlerò di economia e digitale.
La società è plasmata dalla tecnologia.
Nel XIX secolo era la macchina a vapore che ha prodotto le fabbriche e la relativa struttura sociale
Nel XX secolo era l’energia. Radio, tv, calcolatrici, telefono e fax hanno messo in comunicazione i mercati hanno ristretto il mondo e accelerando lo sviluppo delle città.
Il XXI secolo è il secolo digitale… ed è ancora tutto da costruire.
Abbiamo 10000 di storia dalla nascita dell’economia fisica iniziata con l'agricoltura, abbiamo solo 10 anni nel mondo de materializzato. L’ipod, i primi collegamenti a banda larga sono del 2001, solo 10 anni fa..
Il nostro secolo è il secolo digitale. La politica non può e non deve ignorarlo
Pensare ad Internet solo come a Facebook è come parlare dell'elettricità e pensare alla lampadina, mentre invece entra in tutte le industrie e le costringe a ridisegnare attività e processi.
La delocalizzazione, la Cina come fabbrica del mondo, sono figlie di Internet della tecnologia.
E lo sviluppo tecnologico non lo possiamo fermare.
Questo, la politica che pensa ai dazi, non l’ha capito.
C'è una frattura sociale tra le persone che conoscono un mondo solo fisico e le persone che conviviamo col digitale.
La stampa è in crisi non per la mancanza di lettori ma perché il supporto cartaceo è sotto attacco dal digitale. Le informazioni sono tutte intorno a noi e la trasformazione è così veloce che annaspiamo a cercare nuovi modelli di business.
Ma questo, la politica che strizza l’occhio alla censura, non l’ha capito.
Ci ricordiamo quando si andava alla stazione il giorno prima a comprare i biglietti del treno. Ryanair, Easyjet, che sono le più profittevoli compagnie aeree oggi, nate a cavallo degli anni 90, esistono perché internet ha annullato i costi commerciali e consente di usare aeroporti secondari.
I loro profitti non vengono però dal trasporto aereo; gli aerei sono una piattaforma per la vendita di assicurazioni, autonoleggi e prenotazioni alberghiere.
Ma questo, la politica che “salva” l’Alitalia, non l’ha capito.
I nostri “Leader” raccontano in TV che le nostre bellezze storiche e paesaggistiche sono un patrimonio non rilocabile. E’ vero, ma il problema è che non le vendiamo noi.
Oggi, quasi tutti i turisti che vengono in Italia usano servizi di prenotazioni online che si prendono il 15% del prezzo della camera, cioè la metà del margine degli albergatori.
Noi, il Colosseo, dobbiamo spolverarlo; loro hanno solo qualche server.
I dati mostrano che una grande quantità di gente cerca su Google vacanze in Italia e poi prenota in Spagna, per mancanza di offerta online.
Ma questo, la politica che fa settimane turistiche andando in giro per il mondo a promuovere una provincia o una regione, non l’ha capito.
Internet è il fattore che ha contribuito di più alla crescita del PIL italiano negli ultimi 4 anni, creando 700.000 posti di lavoro, prevalentemente per giovani, mentre i settori maturi li perdevano.
Ma la politica che carica sui giovani tutta la flessibilità del sistema concentrata nel sostegno di settori decotti, proprio non lo capisce.
Il problema non è il PIL, ma la produttività, che cala. In 10 anni il costo del lavoro per unità di prodotto è aumentato del 24 percento in Italia mentre in Germania è diminuito.
La differenza di crescita tra l’Italia e gli altri grandi Paesi è spiegata dal diverso livello di investimento nel digitale. Se nei prossimi cinque anni gli investimenti tecnologici fossero pari a quelli del Regno Unito, si raddoppierebbe la crescita annua del PIL italiano.
Queste cose non sono io a dirle, ma il Centro Studi Confindustria.
Ma che il digitale sia IL traino dello sviluppo, la politica che abolisce i Ministeri delle Comunicazioni e dell’Innovazione, non l’ha capito.
Mentre il mondo corre nel XXI secolo, la politica attuale ha difficoltà a leggere il presente, e non sa proporre una visione per il futuro.
Il modello di sviluppo che applica è quello degli anni 60: più scavi, più metri quadri.
Ma nel secolo digitale bisogna darsi anche un’agenda diversa; un rapporto di una agenzia dell’ONU dice che al mondo 161 paesi che si sono dati una strategia digitale; l'Italia non è tra questi 161.

Concludo con due proposte molto concrete:
Prima proposta: Inversione dell’onere della prova. Per ogni provvedimento, il default è il digitale. Per fare una cosa non in digitale, bisogna dimostrare che costa meno.

Seconda proposta: Ogni anno, tutti i ministeri devono allegare alla legge finanziaria il loro piano di innovazione tecnologica, la loro agenda digitale.
Forse così potremmo avere una strategia per il secolo digitale, che non abbia necessariamente sempre l’aggettivo “terrestre”…

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