Le iniziative che fino ad ora il governo di centrodestra ha organizzato per affrontare la crisi, oltre ad essere inaccettabili per l'iniquità sociale e per il segno economicamente depressivo dei loro contenuti, non non hanno mai affrontato i nodi strutturali che strangolano il Paese: la corruzione, l'illegalità, l'economia mafiosa.
La Corte dei Conti ha comunicato che il costo della corruzione in Italia è stimabile in 60 Miliardi di euro e che nel 2010 il fenomeno è aumentato del 30% rispetto al 2009.
Sono gli appalti e i controlli fiscali i settori in cui le bustarelle e gli scambi di favori girano di più.
Questo costo oltre ad essere pagato dai cittadini sottrae di fatto risorse allo stato.
Eppure, ad oggi, il Parlamento non ha ancora ratificato le convenzioni internazionali a partire da quella di Strasburgo del 1999 che prevede l'introduzione, nel Codice penale dei singoli paesi, di delitti importanti come il traffico di influenze illecite (cioè la corruzione realizzata con favori e regali invece che con la classica mazzetta), la corruzione fra privati, l'auto-riciclaggio. È troppo spesso mancata, poi, ogni volontà legislativa di aggredire le ricchezze accumulate dai corrotti attraverso la confisca dei loro beni, come già avviene per quelli sottratti alle Mafie.
Secondo la Commissione Parlamentare Antimafia il fatturato delle Mafie italiane è stimabile in 150 miliardi di euro con 70 miliardi di utili al netto degli investimenti. Circa 180 mila posti di lavoro all'anno persi nel Mezzogiorno d'Italia a causa di questa attività criminale.
Nel documento della stessa Commissione Antimafia si legge testualmente: “La pressione delle organizzazioni mafiose frena lo sviluppo di vaste aree del Paese, comprime le prospettive di crescita dell'economia legale, alimentando una economia parallela illegale e determina assuefazione alla stessa illegalità”.
L'ultimo rapporto di SOS Impresa di Confesercenti ci dice che sono 500mila i commercianti oggetto della malavita organizzata, per un giro di affari criminale stimato in 98 miliardi di euro, di cui 37 per mano mafiosa. Di fronte a questo il governo Berlusconi, ancor prima della manovra ha approvato, su delega del Parlamento, il così detto Codice Antimafia che indebolisce perfino le norme di contrasto alla criminalità di cui disponevamo precedentemente.
Nel rapporto annuale della Guardia di Finanza si afferma che, sulla base della attività di controllo effettuata,si stima che nel nostro paese i redditi evasi ammontino a 270 miliardi di euro e che il mancato gettito sia di 120 miliardi di euro di cui 60 miliardi di IVA evasa.
L'attività di controllo effettuata da Agenzie delle Entrate, INPS, Equitalia ha recuperato 25,4 miliardi di evasione di cui 23 miliardi per redditi non dichiarati e 5,5 miliardi di IVA evasa.
Basterebbe potenziare questa attività e renderla strutturale per recuperare, visto i margini, risorse e aggredire il fenomeno. Al contrario, il governo Berlusconi ha piuttosto operato per depotenziare questa attività, per intralciarla.
Se sommiamo i dati sin qui citati emerge che ogni anno l'illegalità (mafie, corruzione, evasione fiscale, economia sommersa) sottrae agli italiani e alle imprese oneste 330 miliardi di euro.
I dati sono eloquenti. Siamo di fronte a nodi strutturali che non sono più rinviabili. Il problema non è solo affrontare il contingente e far tornare rapidamente i conti. La vera questione è che quei nodi rappresentano un intralcio,un vero e proprio cappio al collo e che la legalità è una risorsa culturale ed economica per lo sviluppo del Paese.
Il 3 dicembre è il momento per mettere in evidenza il legame stretto fra legalità e sviluppo e la necessità di affrontare, con urgenza e in modo strutturale, questi nodi, in modo da dare una prospettiva nuova al Paese.
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