ABBIAMO DECISO DI APRIRE QUESTO SPAZIO PER POTER DISCUTERE DEI PROBLEMI E DELL'ORGANIZZAZIONE DEI TECNICI TELECOM CHE OPERANO IN OPEN ACCESS, QUESTO VUOLE ESSERE UN LUOGO DI DISCUSSIONE E CONDIVISIONE DELLA NOSTRA ATTIVITA'.
"Avere un problema e cercare di risolverlo da soli è avarizia, accorgersi che il mio problema è anche di altri e cercare di risolverlo insieme, questo è politica" DON MILANI
30 novembre, 2011
26 novembre, 2011
Nuove pensioni di anzianità la riforma secondo la Fornero
Via al sistema contributivo per tutti, così si riducono le disparità padri-figli, e uscita dal lavoro solo dopo i 63 anni, con incentivi: "Finora si sono scaricati gli oneri degli aggiustamenti sulle nuove generazioni, proteggendo invece i meno giovani. Le nuove regole devono rispettare la sostenibilità finanziaria ma anche l'equità e l'attenzione ai più deboli". Ecco la proposta del neo ministro per il Welfare
Sulle basi "oggettive" appena illustrate, riteniamo che una proposta di riforma coerente possa pertanto essere la seguente. Si tratterebbe di applicare, a partire dal 2012, il metodo contributivo pro-rata per tutti i lavoratori, rendendo subito effettive un'età minima di pensionamento pari a sessantatré anni (con il requisito dei vent'anni di anzianità oggi richiesto per le pensioni di vecchiaia) e una "fascia di flessibilità" che incoraggi il lavoratore a ritardare l'uscita fino ai sessantotto (settanta) anni, con un incremento di pensione che - secondo calcoli matematici, e non in base ad arbitrari criteri politici - tenga conto dei maggiori contributi versati e della maggiore età. I requisiti minimi e massimi sarebbero successivamente indicizzati alla longevità, così come già previsto dalla normativa vigente. Dovrebbero inoltre scomparire le "finestre", cioè quei periodi (un anno per i lavoratori dipendenti e un anno e mezzo per i lavoratori autonomi) che si sommano oggi ai requisiti minimi di età/anzianità, senza peraltro aggiungere incrementi di pensione.
Mentre l'estensione dell'età minima di accesso al pensionamento e l'abolizione della pensione di anzianità, riguardando tutti i lavoratori, avrebbero come effetto principale quello di determinare risparmi di spesa consistenti nel breve e medio periodo, permettendo, come auspicato, di allentare gli stringenti vincoli di bilancio; l'estensione pro-rata del contributivo avrebbe come effetto principale quello di avvicinare i trattamenti tra le categorie (cosa che fa anche l'innalzamento del requisito di età, ma in maniera meno rilevante), promuovendo una maggiore equità del sistema.
I lavoratori coinvolti nell'estensione del prorata non sarebbero molti. Infatti il provvedimento riguarderebbe unicamente i "salvati" oggi ancora attivi nel mercato del lavoro, ossia i lavoratori nati tra il 1950 e il 1962. A titolo esemplificativo, la Tabella 2 illustra il caso di un dipendente privato della categoria dei "salvati" nato nel 1958. Per ipotesi, egli aveva vent'anni di anzianità nel 1996, una dinamica retributiva del 2,5% l'anno e nel 2010 è arrivato a percepire una retribuzione di 30.000 euro. Supponendo che maturi quarant'anni di anzianità nel 2018, con le regole attuali potrebbe andare in pensione a sessantuno anni (inclusa la finestra).
La sua pensione ammonterebbe a 26.776 euro, con un "regalo" atteso nell'arco dell'intera vita pari al 43% dei contributi versati (162.000 euro). Applicando la nostra proposta, il pensionamento sarebbe posticipato al 2021, con una pensione superiore, pari a 28.999 euro, ma un "regalo" inferiore (il 33% dei contributi versati, ossia 146.000 euro), per effetto della più elevata età di pensionamento e del calcolo contributivo sugli ultimi anni.
Rispetto al mero innalzamento del requisito di età con regola retributiva invariata, la pensione erogata è solo lievemente più bassa: 28.999 euro verso i 29.523 euro. Gli anni in cui si applica il prorata, nell'esempio, sono infatti solo due. Si noti che, se venisse applicato il metodo contributivo all'intera vita lavorativa del soggetto - una misura davvero drastica, che peraltro nessuno propone - la sua pensione ammonterebbe a 21.869 euro e il "regalo" si annullerebbe.
CONTINUA A LEGGERE L'ARTICOLO INTEGRALE SU REPUBLICA ONLINE
Sulle basi "oggettive" appena illustrate, riteniamo che una proposta di riforma coerente possa pertanto essere la seguente. Si tratterebbe di applicare, a partire dal 2012, il metodo contributivo pro-rata per tutti i lavoratori, rendendo subito effettive un'età minima di pensionamento pari a sessantatré anni (con il requisito dei vent'anni di anzianità oggi richiesto per le pensioni di vecchiaia) e una "fascia di flessibilità" che incoraggi il lavoratore a ritardare l'uscita fino ai sessantotto (settanta) anni, con un incremento di pensione che - secondo calcoli matematici, e non in base ad arbitrari criteri politici - tenga conto dei maggiori contributi versati e della maggiore età. I requisiti minimi e massimi sarebbero successivamente indicizzati alla longevità, così come già previsto dalla normativa vigente. Dovrebbero inoltre scomparire le "finestre", cioè quei periodi (un anno per i lavoratori dipendenti e un anno e mezzo per i lavoratori autonomi) che si sommano oggi ai requisiti minimi di età/anzianità, senza peraltro aggiungere incrementi di pensione.
Mentre l'estensione dell'età minima di accesso al pensionamento e l'abolizione della pensione di anzianità, riguardando tutti i lavoratori, avrebbero come effetto principale quello di determinare risparmi di spesa consistenti nel breve e medio periodo, permettendo, come auspicato, di allentare gli stringenti vincoli di bilancio; l'estensione pro-rata del contributivo avrebbe come effetto principale quello di avvicinare i trattamenti tra le categorie (cosa che fa anche l'innalzamento del requisito di età, ma in maniera meno rilevante), promuovendo una maggiore equità del sistema.
I lavoratori coinvolti nell'estensione del prorata non sarebbero molti. Infatti il provvedimento riguarderebbe unicamente i "salvati" oggi ancora attivi nel mercato del lavoro, ossia i lavoratori nati tra il 1950 e il 1962. A titolo esemplificativo, la Tabella 2 illustra il caso di un dipendente privato della categoria dei "salvati" nato nel 1958. Per ipotesi, egli aveva vent'anni di anzianità nel 1996, una dinamica retributiva del 2,5% l'anno e nel 2010 è arrivato a percepire una retribuzione di 30.000 euro. Supponendo che maturi quarant'anni di anzianità nel 2018, con le regole attuali potrebbe andare in pensione a sessantuno anni (inclusa la finestra).
La sua pensione ammonterebbe a 26.776 euro, con un "regalo" atteso nell'arco dell'intera vita pari al 43% dei contributi versati (162.000 euro). Applicando la nostra proposta, il pensionamento sarebbe posticipato al 2021, con una pensione superiore, pari a 28.999 euro, ma un "regalo" inferiore (il 33% dei contributi versati, ossia 146.000 euro), per effetto della più elevata età di pensionamento e del calcolo contributivo sugli ultimi anni.
Rispetto al mero innalzamento del requisito di età con regola retributiva invariata, la pensione erogata è solo lievemente più bassa: 28.999 euro verso i 29.523 euro. Gli anni in cui si applica il prorata, nell'esempio, sono infatti solo due. Si noti che, se venisse applicato il metodo contributivo all'intera vita lavorativa del soggetto - una misura davvero drastica, che peraltro nessuno propone - la sua pensione ammonterebbe a 21.869 euro e il "regalo" si annullerebbe.
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21 novembre, 2011
Interessante fondo di Travaglio
Checché se ne dica, in questo Parlamento Monti ha più nemici che amici. Anche nei partiti che ora gli sorridono e lo incensano. Perchè il Parlamento è lo stesso che fino a due settimane fa votava la fiducia al governo B. E addirittura approvava a gran maggioranza (614 deputati e 151 senatori) il via libera al conflitto di attribuzioni contro il Tribunale di Milano che pretende di processare B. per il caso Ruby, con la credibilissima motivazione che B. telefonò in questura perché credeva Ruby la nipote di Mubarak. È a questa maggioranza che Monti e i suoi ministri dovranno chiedere il voto per le loro misure “lacrime e sangue”. E, a ogni giorno che passa di qui alle elezioni, siano esse anticipate nel 2012 o regolari nel 2013, quel voto si farà più difficile e improbabile.
Del resto non si vede perchè B. (senza il quale il governo Monti non sarebbe mai nato) dovrebbe mettere la faccia e il voto su riforme che, giuste o sbagliate che siano, non ha mai varato in 17 anni di carriera politica, per giunta in piena campagna elettorale. Basta leggere i suoi house organ e le sue tv, che non vanno neppure a far pipì senza il suo avallo, per capire che lui finge di sostenere il governo Monti (per salvare le sue aziende precipitate in Borsa e per non apparire lo sfasciacarrozze che è sempre stato), ma in realtà è già stabilmente e ferocemente all’opposizione. Attende solo l’occasione del primo provvedimento impopolare per scatenare la piazza, anche per non regalare milioni di scontenti alla Lega.
Dall’altra c’è un Pd sempre più diviso, che oggi magnifica il governo di larga Intesa, ma domani dovrà fare i conti con la Cgil, la Fiom e i milioni di lavoratori da esse rappresentati, davvero poco inclini a pagare il conto di una crisi che non hanno provocato, ma solo subìto. Di Pietro, con la sua fiducia condizionata, e Vendola, che ha la fortuna di star fuori dal Parlamento, sono pronti ad approfittarne. E poi c’è l’aspetto mediatico, fondamentale in un Paese in cui i media sono quelli che sono. Se la grande stampa, per ora, scioglie inni e ditirambi al governissimo che fa benissimo, le tv sono sotto il controllo pieno e incondizionato di B. Che, grazie alle sue tv, ai suoi Vespa, Minzolingua e Ferrara, farà di tutto per ascriversi gli eventuali meriti del governo tecnico e per scaricare le misure impopolari sulle solite sinistre affamatrici e vampiresche. Per questo B. è maestro nel fare lo gnorri, nell’atteggiarsi a vittima e nel rigirare frittate: riesce a fingersi all’opposizione anche quando governa (la guerra in Libia l’ha approvata la sua maggioranza, ma agli occhi della gente è parsa una robaccia della sinistra cattiva e dell’Europa cattivissima).
ARTICOLO INTEGRALE SUL FattoQuotidiano online
Del resto non si vede perchè B. (senza il quale il governo Monti non sarebbe mai nato) dovrebbe mettere la faccia e il voto su riforme che, giuste o sbagliate che siano, non ha mai varato in 17 anni di carriera politica, per giunta in piena campagna elettorale. Basta leggere i suoi house organ e le sue tv, che non vanno neppure a far pipì senza il suo avallo, per capire che lui finge di sostenere il governo Monti (per salvare le sue aziende precipitate in Borsa e per non apparire lo sfasciacarrozze che è sempre stato), ma in realtà è già stabilmente e ferocemente all’opposizione. Attende solo l’occasione del primo provvedimento impopolare per scatenare la piazza, anche per non regalare milioni di scontenti alla Lega.
Dall’altra c’è un Pd sempre più diviso, che oggi magnifica il governo di larga Intesa, ma domani dovrà fare i conti con la Cgil, la Fiom e i milioni di lavoratori da esse rappresentati, davvero poco inclini a pagare il conto di una crisi che non hanno provocato, ma solo subìto. Di Pietro, con la sua fiducia condizionata, e Vendola, che ha la fortuna di star fuori dal Parlamento, sono pronti ad approfittarne. E poi c’è l’aspetto mediatico, fondamentale in un Paese in cui i media sono quelli che sono. Se la grande stampa, per ora, scioglie inni e ditirambi al governissimo che fa benissimo, le tv sono sotto il controllo pieno e incondizionato di B. Che, grazie alle sue tv, ai suoi Vespa, Minzolingua e Ferrara, farà di tutto per ascriversi gli eventuali meriti del governo tecnico e per scaricare le misure impopolari sulle solite sinistre affamatrici e vampiresche. Per questo B. è maestro nel fare lo gnorri, nell’atteggiarsi a vittima e nel rigirare frittate: riesce a fingersi all’opposizione anche quando governa (la guerra in Libia l’ha approvata la sua maggioranza, ma agli occhi della gente è parsa una robaccia della sinistra cattiva e dell’Europa cattivissima).
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Battere il lavoro nero
In Italia il 17% della ricchezza prodotta evade il fisco, i contributi, i diritti: stiamo parlando di centinaia di miliardi l'anno e di più di tre milioni di lavoratori costretti ad avere salari da fame e condizioni di lavoro spesso terribili, come confermano da ultimo le tragedie di Nardò e di Barletta. .
Eppure c'è chi dipinge l'ampiezza del sommerso come simbolo di ricchezza non dichiarata o come ammortizzatore sociale. E c'è chi, peggio ancora, sottovaluta il problema o si arrende a considerarlo fisiologico.
Occorre rovesciare l'impostazione fin qui seguita, in cui invece che potenziarli i controlli e la sicurezza sono stati ridotti e occorre sancire che mettersi in regola è un obbligo e un vincolo di coesione sociale.
Non si tratta di casi isolati, ma di intere aree del paese e per recuperare risorse e diritti è necessario predisporre una mobilitazione contro il sommerso fondata su tre filoni:
1) Repressione mirata e finalizzata:
A) investendo e non tagliando le attività ispettive, per questo occorrono risorse e cancellare le norme che le hanno indebolite;
B) unificando le banche dati dei Ministeri, dell'Inps, dell'Inail, delle Agenzie delle Entrate e del territorio;
C) introducendo gli indici di congruità, ossia la misurazione dell'adeguatezza dell'occupazione impiegata a fronte del fatturato o del prodotto;
D) eliminando il ricorso al contante per transazioni a partire da €500, e obbligare l'erogazione delle retribuzioni esclusivamente con accredito bancario (a costo zero per i lavoratori);
E) offrendo agli immigrati irregolari la possibilità di regolarizzare la posizione indicando il caporale o il datore di lavoro che delinque, sanando le situazioni esistenti.
2) La Pubblica Amministrazione come garante di legalità:
A) concessioni in appalto solo ad imprese che siano in regola con il Durc, con l'applicazione dei contratti collettivi, le leggi sul lavoro, e che siano responsabili per l'intera catena del subappalto;
B) cancellazione dall'albo fornitori per ogni infrazione del punto precedente con recupero di ogni eventuale agevolazione concessa;
3) Sostegno alle regolarizzazioni: reprimere è decisivo ma non basta, serve anche una prospettiva di emersione. Per questo proponiamo piani territoriali di emersione che sostengano le imprese che volessero emergere:
A) sostegno nei rapporti con gli istituti di credito;
B) formazione ai datori di lavoro e ai lavoratori;
C) sostegni per le misure sulla sicurezza del lavoro e l'inclusione dei lavoratori immigrati;
D) consulenza per la commercializzazione dei prodotti e rapporti con i committenti;
E) agevolazioni sull'Irap e accesso immediato alle tutele per i lavoratori.
Combattere il nero si può, si tratta di volontà politica. Legalmente significa recuperare risorse e estendere i diritti: ne vale la pena
Eppure c'è chi dipinge l'ampiezza del sommerso come simbolo di ricchezza non dichiarata o come ammortizzatore sociale. E c'è chi, peggio ancora, sottovaluta il problema o si arrende a considerarlo fisiologico.
Occorre rovesciare l'impostazione fin qui seguita, in cui invece che potenziarli i controlli e la sicurezza sono stati ridotti e occorre sancire che mettersi in regola è un obbligo e un vincolo di coesione sociale.
Non si tratta di casi isolati, ma di intere aree del paese e per recuperare risorse e diritti è necessario predisporre una mobilitazione contro il sommerso fondata su tre filoni:
1) Repressione mirata e finalizzata:
A) investendo e non tagliando le attività ispettive, per questo occorrono risorse e cancellare le norme che le hanno indebolite;
B) unificando le banche dati dei Ministeri, dell'Inps, dell'Inail, delle Agenzie delle Entrate e del territorio;
C) introducendo gli indici di congruità, ossia la misurazione dell'adeguatezza dell'occupazione impiegata a fronte del fatturato o del prodotto;
D) eliminando il ricorso al contante per transazioni a partire da €500, e obbligare l'erogazione delle retribuzioni esclusivamente con accredito bancario (a costo zero per i lavoratori);
E) offrendo agli immigrati irregolari la possibilità di regolarizzare la posizione indicando il caporale o il datore di lavoro che delinque, sanando le situazioni esistenti.
2) La Pubblica Amministrazione come garante di legalità:
A) concessioni in appalto solo ad imprese che siano in regola con il Durc, con l'applicazione dei contratti collettivi, le leggi sul lavoro, e che siano responsabili per l'intera catena del subappalto;
B) cancellazione dall'albo fornitori per ogni infrazione del punto precedente con recupero di ogni eventuale agevolazione concessa;
3) Sostegno alle regolarizzazioni: reprimere è decisivo ma non basta, serve anche una prospettiva di emersione. Per questo proponiamo piani territoriali di emersione che sostengano le imprese che volessero emergere:
A) sostegno nei rapporti con gli istituti di credito;
B) formazione ai datori di lavoro e ai lavoratori;
C) sostegni per le misure sulla sicurezza del lavoro e l'inclusione dei lavoratori immigrati;
D) consulenza per la commercializzazione dei prodotti e rapporti con i committenti;
E) agevolazioni sull'Irap e accesso immediato alle tutele per i lavoratori.
Combattere il nero si può, si tratta di volontà politica. Legalmente significa recuperare risorse e estendere i diritti: ne vale la pena
18 novembre, 2011
I COSTI DELLA ILLEGALITÀ CHE STRANGOLANO IL PAESE
Le iniziative che fino ad ora il governo di centrodestra ha organizzato per affrontare la crisi, oltre ad essere inaccettabili per l'iniquità sociale e per il segno economicamente depressivo dei loro contenuti, non non hanno mai affrontato i nodi strutturali che strangolano il Paese: la corruzione, l'illegalità, l'economia mafiosa.
La Corte dei Conti ha comunicato che il costo della corruzione in Italia è stimabile in 60 Miliardi di euro e che nel 2010 il fenomeno è aumentato del 30% rispetto al 2009.
Sono gli appalti e i controlli fiscali i settori in cui le bustarelle e gli scambi di favori girano di più.
Questo costo oltre ad essere pagato dai cittadini sottrae di fatto risorse allo stato.
Eppure, ad oggi, il Parlamento non ha ancora ratificato le convenzioni internazionali a partire da quella di Strasburgo del 1999 che prevede l'introduzione, nel Codice penale dei singoli paesi, di delitti importanti come il traffico di influenze illecite (cioè la corruzione realizzata con favori e regali invece che con la classica mazzetta), la corruzione fra privati, l'auto-riciclaggio. È troppo spesso mancata, poi, ogni volontà legislativa di aggredire le ricchezze accumulate dai corrotti attraverso la confisca dei loro beni, come già avviene per quelli sottratti alle Mafie.
Secondo la Commissione Parlamentare Antimafia il fatturato delle Mafie italiane è stimabile in 150 miliardi di euro con 70 miliardi di utili al netto degli investimenti. Circa 180 mila posti di lavoro all'anno persi nel Mezzogiorno d'Italia a causa di questa attività criminale.
Nel documento della stessa Commissione Antimafia si legge testualmente: “La pressione delle organizzazioni mafiose frena lo sviluppo di vaste aree del Paese, comprime le prospettive di crescita dell'economia legale, alimentando una economia parallela illegale e determina assuefazione alla stessa illegalità”.
L'ultimo rapporto di SOS Impresa di Confesercenti ci dice che sono 500mila i commercianti oggetto della malavita organizzata, per un giro di affari criminale stimato in 98 miliardi di euro, di cui 37 per mano mafiosa. Di fronte a questo il governo Berlusconi, ancor prima della manovra ha approvato, su delega del Parlamento, il così detto Codice Antimafia che indebolisce perfino le norme di contrasto alla criminalità di cui disponevamo precedentemente.
Nel rapporto annuale della Guardia di Finanza si afferma che, sulla base della attività di controllo effettuata,si stima che nel nostro paese i redditi evasi ammontino a 270 miliardi di euro e che il mancato gettito sia di 120 miliardi di euro di cui 60 miliardi di IVA evasa.
L'attività di controllo effettuata da Agenzie delle Entrate, INPS, Equitalia ha recuperato 25,4 miliardi di evasione di cui 23 miliardi per redditi non dichiarati e 5,5 miliardi di IVA evasa.
Basterebbe potenziare questa attività e renderla strutturale per recuperare, visto i margini, risorse e aggredire il fenomeno. Al contrario, il governo Berlusconi ha piuttosto operato per depotenziare questa attività, per intralciarla.
Se sommiamo i dati sin qui citati emerge che ogni anno l'illegalità (mafie, corruzione, evasione fiscale, economia sommersa) sottrae agli italiani e alle imprese oneste 330 miliardi di euro.
I dati sono eloquenti. Siamo di fronte a nodi strutturali che non sono più rinviabili. Il problema non è solo affrontare il contingente e far tornare rapidamente i conti. La vera questione è che quei nodi rappresentano un intralcio,un vero e proprio cappio al collo e che la legalità è una risorsa culturale ed economica per lo sviluppo del Paese.
Il 3 dicembre è il momento per mettere in evidenza il legame stretto fra legalità e sviluppo e la necessità di affrontare, con urgenza e in modo strutturale, questi nodi, in modo da dare una prospettiva nuova al Paese.
La Corte dei Conti ha comunicato che il costo della corruzione in Italia è stimabile in 60 Miliardi di euro e che nel 2010 il fenomeno è aumentato del 30% rispetto al 2009.
Sono gli appalti e i controlli fiscali i settori in cui le bustarelle e gli scambi di favori girano di più.
Questo costo oltre ad essere pagato dai cittadini sottrae di fatto risorse allo stato.
Eppure, ad oggi, il Parlamento non ha ancora ratificato le convenzioni internazionali a partire da quella di Strasburgo del 1999 che prevede l'introduzione, nel Codice penale dei singoli paesi, di delitti importanti come il traffico di influenze illecite (cioè la corruzione realizzata con favori e regali invece che con la classica mazzetta), la corruzione fra privati, l'auto-riciclaggio. È troppo spesso mancata, poi, ogni volontà legislativa di aggredire le ricchezze accumulate dai corrotti attraverso la confisca dei loro beni, come già avviene per quelli sottratti alle Mafie.
Secondo la Commissione Parlamentare Antimafia il fatturato delle Mafie italiane è stimabile in 150 miliardi di euro con 70 miliardi di utili al netto degli investimenti. Circa 180 mila posti di lavoro all'anno persi nel Mezzogiorno d'Italia a causa di questa attività criminale.
Nel documento della stessa Commissione Antimafia si legge testualmente: “La pressione delle organizzazioni mafiose frena lo sviluppo di vaste aree del Paese, comprime le prospettive di crescita dell'economia legale, alimentando una economia parallela illegale e determina assuefazione alla stessa illegalità”.
L'ultimo rapporto di SOS Impresa di Confesercenti ci dice che sono 500mila i commercianti oggetto della malavita organizzata, per un giro di affari criminale stimato in 98 miliardi di euro, di cui 37 per mano mafiosa. Di fronte a questo il governo Berlusconi, ancor prima della manovra ha approvato, su delega del Parlamento, il così detto Codice Antimafia che indebolisce perfino le norme di contrasto alla criminalità di cui disponevamo precedentemente.
Nel rapporto annuale della Guardia di Finanza si afferma che, sulla base della attività di controllo effettuata,si stima che nel nostro paese i redditi evasi ammontino a 270 miliardi di euro e che il mancato gettito sia di 120 miliardi di euro di cui 60 miliardi di IVA evasa.
L'attività di controllo effettuata da Agenzie delle Entrate, INPS, Equitalia ha recuperato 25,4 miliardi di evasione di cui 23 miliardi per redditi non dichiarati e 5,5 miliardi di IVA evasa.
Basterebbe potenziare questa attività e renderla strutturale per recuperare, visto i margini, risorse e aggredire il fenomeno. Al contrario, il governo Berlusconi ha piuttosto operato per depotenziare questa attività, per intralciarla.
Se sommiamo i dati sin qui citati emerge che ogni anno l'illegalità (mafie, corruzione, evasione fiscale, economia sommersa) sottrae agli italiani e alle imprese oneste 330 miliardi di euro.
I dati sono eloquenti. Siamo di fronte a nodi strutturali che non sono più rinviabili. Il problema non è solo affrontare il contingente e far tornare rapidamente i conti. La vera questione è che quei nodi rappresentano un intralcio,un vero e proprio cappio al collo e che la legalità è una risorsa culturale ed economica per lo sviluppo del Paese.
Il 3 dicembre è il momento per mettere in evidenza il legame stretto fra legalità e sviluppo e la necessità di affrontare, con urgenza e in modo strutturale, questi nodi, in modo da dare una prospettiva nuova al Paese.
Pensioni: chi paga più contributi?
Operai al 33%, deputati all'8%
La lotta alla disparità nel sistema previdenziale annunciata dal presidente del Consiglio Mario Monti nel suo discorso programmatico, potrebbe partire, secondo alcuni osservatori, dalle aliquote contributive. Al momento, queste, sono variabili tra il 33% del reddito dei lavoratori dipendenti e l'8,6% di deputati e senatori. Ecco una scheda sulle principali percentuali di imposta:
- Lavoratori dipendenti 33%
- Deputati 8,6%
- Senatori 8,6%
- Artigiani 20-21%
- Commercianti 20,09%-21,09%
- Avvocati 13% (+3% eventuale)
- Architetti 12,5% (piu' 3% eventuale)
- Psicologi 10%
- Consiglieri reg. Lazio 27%
- Giornalisti 31,83%
- Cooperative agricole 32,30%
- Fondo dazio 32,65%
- Fondo esattoriali 32,50%
- Dirigenti enti pub. cred.32,71%
- Dirigenti partiti pol. 32,71%.
La lotta alla disparità nel sistema previdenziale annunciata dal presidente del Consiglio Mario Monti nel suo discorso programmatico, potrebbe partire, secondo alcuni osservatori, dalle aliquote contributive. Al momento, queste, sono variabili tra il 33% del reddito dei lavoratori dipendenti e l'8,6% di deputati e senatori. Ecco una scheda sulle principali percentuali di imposta:
- Lavoratori dipendenti 33%
- Deputati 8,6%
- Senatori 8,6%
- Artigiani 20-21%
- Commercianti 20,09%-21,09%
- Avvocati 13% (+3% eventuale)
- Architetti 12,5% (piu' 3% eventuale)
- Psicologi 10%
- Consiglieri reg. Lazio 27%
- Giornalisti 31,83%
- Cooperative agricole 32,30%
- Fondo dazio 32,65%
- Fondo esattoriali 32,50%
- Dirigenti enti pub. cred.32,71%
- Dirigenti partiti pol. 32,71%.
17 novembre, 2011
15 novembre, 2011
Aggiornamenti sulla Vertenza TELE TIRRENO
Mentre le Istituzioni tutte e la pubblica opinione si stringono in maniera solidale intorno ai dipendenti di TeleTirreno a cui sono stati intimati i licenziamenti, mentre Sindaco di Grosseto e Presidente della Provincia invitano la proprietà di TeleTirreno a riconsiderare la vicenda e ad aprire un confronto con la CGIL che ha impugnato i licenziamenti, almeno per provare ad attivare ammortizzatori sociali, mentre la Regione Toscana, tramite l'Assessore al Lavoro e la Presidenza della Giunta, si stanno impegnando per attivare una tavolo di confronto, il gruppo proprietario di TeleTirreno e di altre emittenti in Toscana SBATTE la porta in faccia alle Istituzioni, al Sindacato e ai lavoratori.
Infatti, dopo numerosi tentativi da parte dei funzionari della Regione per contattare i rappresentanti della proprietà, l'Assessorato al Lavoro era riuscita a convocare i vertici aziendali per un incontro stamattina alle ore 10.
Ma, nella serata inoltrata di ieri, dimostrando tutta la propria riluttanza, l'azienda ha inviato un fax alla Regione informando che non si sarebbe presentato nessuno all'incontro, in quanto superfluo poiché la proprietà considera i licenziamenti, già intimati, non discutibili.
Più che comprensibile lo sconcerto e l'indignazione dell'Assessore e di tutti noi.
Anche se ormai siamo quasi abituati all'arroganza di alcuni padroncini, dobbiamo dire che questa assenza di sensibilità, di educazione e di civiltà ci colpisce e offende, in quanto non solo diretta alla massima Istituzione della Regione, oltre che a quelle locali, quelle Istituzioni a cui anche nel recente passato venivano proposte convenzioni contrattuali, non solo diretta al nostro Sindacato, o alla pubblica opinione, ma sopratutto poiché è diretta a colpire la dignità di tutte/i le/i dipendenti che, ancora, con stile completamente diverso, pur nel periodo del preavvisato licenziamento, stanno onestamente e attivamente lavorando come sempre.
Anche per questo, con se possibile ancor maggior determinazione, cercheremo di tutelare in ogni modo quei lavoratori che, mentre la nave affonda e il capitano, anziché preoccuparsi del proprio equipaggio cerca la propria singola scialuppa di salvataggio, stanno dimostrando correttezza verso quel lavoro per cui in questi anni si sono sempre sacrificati.
Lanti Giovanni
Infatti, dopo numerosi tentativi da parte dei funzionari della Regione per contattare i rappresentanti della proprietà, l'Assessorato al Lavoro era riuscita a convocare i vertici aziendali per un incontro stamattina alle ore 10.
Ma, nella serata inoltrata di ieri, dimostrando tutta la propria riluttanza, l'azienda ha inviato un fax alla Regione informando che non si sarebbe presentato nessuno all'incontro, in quanto superfluo poiché la proprietà considera i licenziamenti, già intimati, non discutibili.
Più che comprensibile lo sconcerto e l'indignazione dell'Assessore e di tutti noi.
Anche se ormai siamo quasi abituati all'arroganza di alcuni padroncini, dobbiamo dire che questa assenza di sensibilità, di educazione e di civiltà ci colpisce e offende, in quanto non solo diretta alla massima Istituzione della Regione, oltre che a quelle locali, quelle Istituzioni a cui anche nel recente passato venivano proposte convenzioni contrattuali, non solo diretta al nostro Sindacato, o alla pubblica opinione, ma sopratutto poiché è diretta a colpire la dignità di tutte/i le/i dipendenti che, ancora, con stile completamente diverso, pur nel periodo del preavvisato licenziamento, stanno onestamente e attivamente lavorando come sempre.
Anche per questo, con se possibile ancor maggior determinazione, cercheremo di tutelare in ogni modo quei lavoratori che, mentre la nave affonda e il capitano, anziché preoccuparsi del proprio equipaggio cerca la propria singola scialuppa di salvataggio, stanno dimostrando correttezza verso quel lavoro per cui in questi anni si sono sempre sacrificati.
Lanti Giovanni
Centenari Lorenzo
Segretario SLC-CGIL
Segretario CdLT GRosseto
14 novembre, 2011
Monti, quale equità?
di Paolo Serventi Longhi
Lo sappiamo, dalla crisi non siamo per nulla fuori. Occorrerà fare nuovi sacrifici, e ce ne sarà per tutti. Ma diciamo subito che il professor Mario Monti, che sta cercando in queste ore con qualche fatica di mettere insieme il suo governo, ha il difficile compito di proporre al parlamento e al paese misure di risanamento e di sviluppo che costringano davvero tutti a pagare i costi della crisi in modo equo. E questo significa che chi detiene maggiori risorse deve pagare il costo più alto perché lavoratori dipendenti e pensionati hanno già dato. Il governo Berlusconi ha infatti tagliato la spesa sociale, la previdenza, i diritti e persino la crescita, precludendo qualsiasi possibilità di ripresa. La Cgil, anche nell’incontro di martedì pomeriggio tra Monti e parti sociali, riproporrà la piattaforma che fu alla base dello sciopero generale del 6 settembre.
Innanzitutto occorrerà rilanciare gli investimenti e l’occupazione, ripristinando le risorse per gli enti locali e, quindi, per i servizi pubblici essenziali, per il welfare e l’assistenza, per le infrastrutture materiali. Ciò anche allo scopo di consentire alla spesa pubblica locale di contribuire a favorire la crescita. La Cgil chiede inoltre di eliminare i tagli alla Sanità (Fondo Sanitario Nazionale), di togliere i blocchi del turn-over, ed il taglio degli organici nelle Pubbliche amministrazioni, oltre che di riaprire la stagione della contrattazione nel lavoro pubblico.
La Cgil è contraria a procedere all’attuazione di nuove misure per il sistema previdenziale. Per favorire politiche per la crescita e lo sviluppo si può lavorare con tutte le parti istituzionali e sociali ad una proposta attraverso la quale i fondi pensione possano diventare dei veri e propri investitori (istituzionali), non subalterni alle logiche finanziarie e speculative dei gestori.
La Cgil propone che le risorse derivanti dai tagli per i singoli Ministeri siano destinate alla costituzione di un Fondo per la Crescita e l’Innovazione (FCI). L’unica esclusione dai tagli va fatta per il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, per le funzioni ispettive e di accertamento fiscale, prevedendo invece il taglio delle risorse anche per la spesa del Ministero della Difesa relativa anche alle “missioni all’estero”. Occorre, inoltre, una rimodulazione e un trasferimento di parte dei fondi per le grandi opere (es. Ponte sullo Stretto agli investimenti per l’apertura di cantieri che consentanmo lo sviluppo produttivo, sociale ed occupazionale.
La confederazione di corso d’Italia è inoltre favorevole a una diminuzione dei costi della politica con un disegno organico di riforma basato: sulla riduzione del numero dei parlamentari; su una nuova legge elettorale; sull’opportunità di affrontare, attraverso la carta delle autonomie (già in Parlamento), il tema della riforma delle Province, l’accorpamento delle funzioni amministrative e di servizio per i comuni piccoli e medi valorizzando la pratica dell’associazionismo (Consorzi comunali, Associazioni di Comuni, etc.). Allo stesso modo, vanno affrontate le misure in tema di spesa corrente, attraverso: il taglio lineare ed immediato di tutti gli emolumenti, le indennità e i “vitalizi” di politici e amministratori pubblici; una maggiore riduzione delle “auto blu”; la sospensione fino al 2014 delle “consulenze” in tutta la Pubblica Amministrazione; l’introduzione di un tetto retributivo e previdenziale per le alte cariche dello stato, ripristinando il tetto già abrogato.
Sul fronte fiscale, la Cgil propone una sovrattassa straordinaria sui capitali già sanati con lo scudo fiscale, ma non rientrati dall‟estero, con un’imposizione aggiuntiva del 15; un piano strutturale di lotta all’evasione fiscale e al sommerso, contabilizzando preventivamente in bilancio le quote di entrate da recuperare, coinvolgendo le istituzioni locali anche con speciali poteri di accertamento; un’efficace lotta all’evasione e all’elusione fiscale ripristinando le norme anti-evasione ed anti-elusione abolite nell’ultima Legislatura.
La Cgil propone inoltre un “contributo di solidarietà” su tutti i redditi (non solo ai fini IRPEF), in ragione della “capacità contributiva”, con un prelievo del 5% per la parte eccedente i 90mila euro e del 10% per la parte eccedente i 150mila euro. Il contributo deve assumere le caratteristiche della “straordinarietà” e dell’equità finalizzato agli investimenti e all’occupazione giovanile, e di introdurre un’Imposta ordinaria sulle Grandi Ricchezze (IGR), come il modello francese. Si prevede un’aliquota progressiva dallo 0,55% all‟1,8% sulle attività reali, patrimoniali e finanziarie, al netto delle passività finanziarie (mutui e altri debiti). L‟imposta verrebbe pagata solo sulla quota che eccede gli 800.000 euro.
A subire un aumento del prelievo fiscale strutturale non sarebbe il 95% delle famiglie italiane ma solo gli ultraricchi, ossia il 5% delle famiglie, considerando anche le detrazioni (es. carichi familiari) e le deduzioni (es. autofinanziamento capitale d‟impresa). Inoltre prevede l’Introduzione di un’Imposta straordinaria sui Grandi Immobili (IGI) il cui valore patrimoniale netto superi la soglia dei 800.000 euro, con aliquota fissa dell’1%, per l’anno 2012. Secondo la Cgil occorre anche un piano straordinario di lotta al lavoro sommerso, al caporalato e all’elusione contributiva.
RASSEGNA.IT
Lo sappiamo, dalla crisi non siamo per nulla fuori. Occorrerà fare nuovi sacrifici, e ce ne sarà per tutti. Ma diciamo subito che il professor Mario Monti, che sta cercando in queste ore con qualche fatica di mettere insieme il suo governo, ha il difficile compito di proporre al parlamento e al paese misure di risanamento e di sviluppo che costringano davvero tutti a pagare i costi della crisi in modo equo. E questo significa che chi detiene maggiori risorse deve pagare il costo più alto perché lavoratori dipendenti e pensionati hanno già dato. Il governo Berlusconi ha infatti tagliato la spesa sociale, la previdenza, i diritti e persino la crescita, precludendo qualsiasi possibilità di ripresa. La Cgil, anche nell’incontro di martedì pomeriggio tra Monti e parti sociali, riproporrà la piattaforma che fu alla base dello sciopero generale del 6 settembre.
Innanzitutto occorrerà rilanciare gli investimenti e l’occupazione, ripristinando le risorse per gli enti locali e, quindi, per i servizi pubblici essenziali, per il welfare e l’assistenza, per le infrastrutture materiali. Ciò anche allo scopo di consentire alla spesa pubblica locale di contribuire a favorire la crescita. La Cgil chiede inoltre di eliminare i tagli alla Sanità (Fondo Sanitario Nazionale), di togliere i blocchi del turn-over, ed il taglio degli organici nelle Pubbliche amministrazioni, oltre che di riaprire la stagione della contrattazione nel lavoro pubblico.
La Cgil è contraria a procedere all’attuazione di nuove misure per il sistema previdenziale. Per favorire politiche per la crescita e lo sviluppo si può lavorare con tutte le parti istituzionali e sociali ad una proposta attraverso la quale i fondi pensione possano diventare dei veri e propri investitori (istituzionali), non subalterni alle logiche finanziarie e speculative dei gestori.
La Cgil propone che le risorse derivanti dai tagli per i singoli Ministeri siano destinate alla costituzione di un Fondo per la Crescita e l’Innovazione (FCI). L’unica esclusione dai tagli va fatta per il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, per le funzioni ispettive e di accertamento fiscale, prevedendo invece il taglio delle risorse anche per la spesa del Ministero della Difesa relativa anche alle “missioni all’estero”. Occorre, inoltre, una rimodulazione e un trasferimento di parte dei fondi per le grandi opere (es. Ponte sullo Stretto agli investimenti per l’apertura di cantieri che consentanmo lo sviluppo produttivo, sociale ed occupazionale.
La confederazione di corso d’Italia è inoltre favorevole a una diminuzione dei costi della politica con un disegno organico di riforma basato: sulla riduzione del numero dei parlamentari; su una nuova legge elettorale; sull’opportunità di affrontare, attraverso la carta delle autonomie (già in Parlamento), il tema della riforma delle Province, l’accorpamento delle funzioni amministrative e di servizio per i comuni piccoli e medi valorizzando la pratica dell’associazionismo (Consorzi comunali, Associazioni di Comuni, etc.). Allo stesso modo, vanno affrontate le misure in tema di spesa corrente, attraverso: il taglio lineare ed immediato di tutti gli emolumenti, le indennità e i “vitalizi” di politici e amministratori pubblici; una maggiore riduzione delle “auto blu”; la sospensione fino al 2014 delle “consulenze” in tutta la Pubblica Amministrazione; l’introduzione di un tetto retributivo e previdenziale per le alte cariche dello stato, ripristinando il tetto già abrogato.
Sul fronte fiscale, la Cgil propone una sovrattassa straordinaria sui capitali già sanati con lo scudo fiscale, ma non rientrati dall‟estero, con un’imposizione aggiuntiva del 15; un piano strutturale di lotta all’evasione fiscale e al sommerso, contabilizzando preventivamente in bilancio le quote di entrate da recuperare, coinvolgendo le istituzioni locali anche con speciali poteri di accertamento; un’efficace lotta all’evasione e all’elusione fiscale ripristinando le norme anti-evasione ed anti-elusione abolite nell’ultima Legislatura.
La Cgil propone inoltre un “contributo di solidarietà” su tutti i redditi (non solo ai fini IRPEF), in ragione della “capacità contributiva”, con un prelievo del 5% per la parte eccedente i 90mila euro e del 10% per la parte eccedente i 150mila euro. Il contributo deve assumere le caratteristiche della “straordinarietà” e dell’equità finalizzato agli investimenti e all’occupazione giovanile, e di introdurre un’Imposta ordinaria sulle Grandi Ricchezze (IGR), come il modello francese. Si prevede un’aliquota progressiva dallo 0,55% all‟1,8% sulle attività reali, patrimoniali e finanziarie, al netto delle passività finanziarie (mutui e altri debiti). L‟imposta verrebbe pagata solo sulla quota che eccede gli 800.000 euro.
A subire un aumento del prelievo fiscale strutturale non sarebbe il 95% delle famiglie italiane ma solo gli ultraricchi, ossia il 5% delle famiglie, considerando anche le detrazioni (es. carichi familiari) e le deduzioni (es. autofinanziamento capitale d‟impresa). Inoltre prevede l’Introduzione di un’Imposta straordinaria sui Grandi Immobili (IGI) il cui valore patrimoniale netto superi la soglia dei 800.000 euro, con aliquota fissa dell’1%, per l’anno 2012. Secondo la Cgil occorre anche un piano straordinario di lotta al lavoro sommerso, al caporalato e all’elusione contributiva.
RASSEGNA.IT
12 novembre, 2011
11 novembre, 2011
Cambi di casacca
Ananì tieni famillia pure te? o t'hanno fatto girare le eliche?
Non si abbandona la nave senza combattere duramente.
Non si abbandona la nave senza combattere duramente.
Governo: la posizione della CGIL
10/11/2011
La fine del governo Berlusconi, delle sue politiche di divisione sociale, di attacco al lavoro, di penalizzazione del lavoro pubblico e delle autonomie locali è uno straordinario e positivo risultato per il Paese ed è frutto non solo del giudizio di non credibilità sancito dai mercati in questo periodo ma soprattutto della lunga stagione di lotte del lavoro e sociali che hanno attraversato il Paese in questi anni di cui la CGIL è stata a pieno titolo soggetto fondamentale.
La crisi mondiale all’origine della crisi europea e nazionale dispiega ancora i suoi effetti e dimostra, in particolare in Europa, che non si può sacrificare la democrazia ed inseguire ricette finanziarie e liberiste.
I ritardi europei e l’assenza di un governo politico sono parte della drammatica crisi che il Paese vive in queste ore.
Ciò nulla toglie alla responsabilità del governo Berlusconi che ha reso oggi il nostro Paese non credibile, inadeguato, incapace di reagire e sottoposto a commissariamento e tutela.
Proprio per questo la CGIL ritiene che il corretto epilogo della crisi di governo aperta sia il ricorso alle urne.
La drammatica situazione, la pressione europea e internazionale nei confronti del Paese impongono che non sia l’attuale governo dimissionario a guidare il Paese alle elezioni.
A questo fine la CGIL pensa che sia necessario un governo di emergenza, di transizione e di garanzia del Presidente della Repubblica che possa affrontare il problema del ripristino della nostra credibilità internazionale.
In questo senso una nuova credibilità richiede che sia dato subito un segno di discontinuità attraverso equità fiscale (patrimoniale) e l’attenzione al lavoro, a partire dai giovani.
La CGIL cosciente che ancor di più in queste ore va dimostrato il senso di responsabilità del Paese mette a disposizione le sue proposte (contromanovra presentata in occasione dello sciopero generale dello scorso 6 settembre) ed intende, anche con la mobilitazione del 3 dicembre, ribadire la centralità del lavoro, condizione per delineare un futuro diverso da quello che le politiche berlusconiane hanno tracciato, determinando un pesante costo che oggi è sulle spalle dei cittadini italiani ed in particolare delle nuove generazioni.
La fine del governo Berlusconi, delle sue politiche di divisione sociale, di attacco al lavoro, di penalizzazione del lavoro pubblico e delle autonomie locali è uno straordinario e positivo risultato per il Paese ed è frutto non solo del giudizio di non credibilità sancito dai mercati in questo periodo ma soprattutto della lunga stagione di lotte del lavoro e sociali che hanno attraversato il Paese in questi anni di cui la CGIL è stata a pieno titolo soggetto fondamentale.
La crisi mondiale all’origine della crisi europea e nazionale dispiega ancora i suoi effetti e dimostra, in particolare in Europa, che non si può sacrificare la democrazia ed inseguire ricette finanziarie e liberiste.
I ritardi europei e l’assenza di un governo politico sono parte della drammatica crisi che il Paese vive in queste ore.
Ciò nulla toglie alla responsabilità del governo Berlusconi che ha reso oggi il nostro Paese non credibile, inadeguato, incapace di reagire e sottoposto a commissariamento e tutela.
Proprio per questo la CGIL ritiene che il corretto epilogo della crisi di governo aperta sia il ricorso alle urne.
La drammatica situazione, la pressione europea e internazionale nei confronti del Paese impongono che non sia l’attuale governo dimissionario a guidare il Paese alle elezioni.
A questo fine la CGIL pensa che sia necessario un governo di emergenza, di transizione e di garanzia del Presidente della Repubblica che possa affrontare il problema del ripristino della nostra credibilità internazionale.
In questo senso una nuova credibilità richiede che sia dato subito un segno di discontinuità attraverso equità fiscale (patrimoniale) e l’attenzione al lavoro, a partire dai giovani.
La CGIL cosciente che ancor di più in queste ore va dimostrato il senso di responsabilità del Paese mette a disposizione le sue proposte (contromanovra presentata in occasione dello sciopero generale dello scorso 6 settembre) ed intende, anche con la mobilitazione del 3 dicembre, ribadire la centralità del lavoro, condizione per delineare un futuro diverso da quello che le politiche berlusconiane hanno tracciato, determinando un pesante costo che oggi è sulle spalle dei cittadini italiani ed in particolare delle nuove generazioni.
10 novembre, 2011
Circolare sui 10.000 lavoratori in mobilità e assegno straordinario derogati dall'applicazione della finestra mobile
Vi inoltro la circolare dell'INCA relativa ai 10.000 in mobilità derogati dall'applicazione della finestra mobile.
Nell'elencazione dei lavoratori esclusi da questa deroga di pag. 2 della circolare sono indicati anche i lavoratori beneficiari di mobilità in deroga. Trattamento che in Toscana è stato riconosciuto proprio a chi ha finito il periodo di erogazione dell'indennità di mobilità, ordinaria o lunga, e che non si è visto ancora riconoscere la pensione nell'attesa dell'individuazione dei 10.000 "graziati". Per evitare di dare interpretazioni improprie ho chiarito con l'estensore della circolare che si intendono esclusi dai 10.000 coloro che maturano ( o hanno maturato) il requisito di accesso alla pensione ( con la vecchia finestra , per capirci) con la mobilità in deroga.
Sono invece computati nel novero dei derogati coloro che hanno maturato i requisiti durante la mobilità ordinaria o lunga anche se, successivamente, beneficiari della mobilità in deroga.
Valter Bartolini
Coord. Dipartimento MdL
CGIL Toscana
PR11126
Allegato 2
Allegato 1 (informativa)
Allegato 3
Nell'elencazione dei lavoratori esclusi da questa deroga di pag. 2 della circolare sono indicati anche i lavoratori beneficiari di mobilità in deroga. Trattamento che in Toscana è stato riconosciuto proprio a chi ha finito il periodo di erogazione dell'indennità di mobilità, ordinaria o lunga, e che non si è visto ancora riconoscere la pensione nell'attesa dell'individuazione dei 10.000 "graziati". Per evitare di dare interpretazioni improprie ho chiarito con l'estensore della circolare che si intendono esclusi dai 10.000 coloro che maturano ( o hanno maturato) il requisito di accesso alla pensione ( con la vecchia finestra , per capirci) con la mobilità in deroga.
Sono invece computati nel novero dei derogati coloro che hanno maturato i requisiti durante la mobilità ordinaria o lunga anche se, successivamente, beneficiari della mobilità in deroga.
Valter Bartolini
Coord. Dipartimento MdL
CGIL Toscana
PR11126
Allegato 2
Allegato 1 (informativa)
Allegato 3
07 novembre, 2011
05 novembre, 2011
04 novembre, 2011
02 novembre, 2011
01 novembre, 2011
INTERVENTO DI QUINTARELLI ALLA "LEOPOLDA"
Breve prefazione: L'intervento di Quintarelli viene pubblicato per la sua chiarezza e sintesi sull'agenda digitale, che questo sia stato poi fatto alla " Leopolda" è un problema secondario, come tutti saprete tra il SLC CGIL Toscano ed il personaggio che ha organizzato l'evento non corre buon sangue, vedi "Maggio Fiorentino"
Stefano Quintarelli, Intervento al Big Bang, Firenze, 29 ottobre 2011
Vi ringrazio per avermi invitato a tenere quest’intervento. Parlerò di economia e digitale.
La società è plasmata dalla tecnologia.
Nel XIX secolo era la macchina a vapore che ha prodotto le fabbriche e la relativa struttura sociale
Nel XX secolo era l’energia. Radio, tv, calcolatrici, telefono e fax hanno messo in comunicazione i mercati hanno ristretto il mondo e accelerando lo sviluppo delle città.
Il XXI secolo è il secolo digitale… ed è ancora tutto da costruire.
Abbiamo 10000 di storia dalla nascita dell’economia fisica iniziata con l'agricoltura, abbiamo solo 10 anni nel mondo de materializzato. L’ipod, i primi collegamenti a banda larga sono del 2001, solo 10 anni fa..
Il nostro secolo è il secolo digitale. La politica non può e non deve ignorarlo
Pensare ad Internet solo come a Facebook è come parlare dell'elettricità e pensare alla lampadina, mentre invece entra in tutte le industrie e le costringe a ridisegnare attività e processi.
La delocalizzazione, la Cina come fabbrica del mondo, sono figlie di Internet della tecnologia.
E lo sviluppo tecnologico non lo possiamo fermare.
Questo, la politica che pensa ai dazi, non l’ha capito.
C'è una frattura sociale tra le persone che conoscono un mondo solo fisico e le persone che conviviamo col digitale.
La stampa è in crisi non per la mancanza di lettori ma perché il supporto cartaceo è sotto attacco dal digitale. Le informazioni sono tutte intorno a noi e la trasformazione è così veloce che annaspiamo a cercare nuovi modelli di business.
Ma questo, la politica che strizza l’occhio alla censura, non l’ha capito.
Ci ricordiamo quando si andava alla stazione il giorno prima a comprare i biglietti del treno. Ryanair, Easyjet, che sono le più profittevoli compagnie aeree oggi, nate a cavallo degli anni 90, esistono perché internet ha annullato i costi commerciali e consente di usare aeroporti secondari.
I loro profitti non vengono però dal trasporto aereo; gli aerei sono una piattaforma per la vendita di assicurazioni, autonoleggi e prenotazioni alberghiere.
Ma questo, la politica che “salva” l’Alitalia, non l’ha capito.
I nostri “Leader” raccontano in TV che le nostre bellezze storiche e paesaggistiche sono un patrimonio non rilocabile. E’ vero, ma il problema è che non le vendiamo noi.
Oggi, quasi tutti i turisti che vengono in Italia usano servizi di prenotazioni online che si prendono il 15% del prezzo della camera, cioè la metà del margine degli albergatori.
Noi, il Colosseo, dobbiamo spolverarlo; loro hanno solo qualche server.
I dati mostrano che una grande quantità di gente cerca su Google vacanze in Italia e poi prenota in Spagna, per mancanza di offerta online.
Ma questo, la politica che fa settimane turistiche andando in giro per il mondo a promuovere una provincia o una regione, non l’ha capito.
Internet è il fattore che ha contribuito di più alla crescita del PIL italiano negli ultimi 4 anni, creando 700.000 posti di lavoro, prevalentemente per giovani, mentre i settori maturi li perdevano.
Ma la politica che carica sui giovani tutta la flessibilità del sistema concentrata nel sostegno di settori decotti, proprio non lo capisce.
Il problema non è il PIL, ma la produttività, che cala. In 10 anni il costo del lavoro per unità di prodotto è aumentato del 24 percento in Italia mentre in Germania è diminuito.
La differenza di crescita tra l’Italia e gli altri grandi Paesi è spiegata dal diverso livello di investimento nel digitale. Se nei prossimi cinque anni gli investimenti tecnologici fossero pari a quelli del Regno Unito, si raddoppierebbe la crescita annua del PIL italiano.
Queste cose non sono io a dirle, ma il Centro Studi Confindustria.
Ma che il digitale sia IL traino dello sviluppo, la politica che abolisce i Ministeri delle Comunicazioni e dell’Innovazione, non l’ha capito.
Mentre il mondo corre nel XXI secolo, la politica attuale ha difficoltà a leggere il presente, e non sa proporre una visione per il futuro.
Il modello di sviluppo che applica è quello degli anni 60: più scavi, più metri quadri.
Ma nel secolo digitale bisogna darsi anche un’agenda diversa; un rapporto di una agenzia dell’ONU dice che al mondo 161 paesi che si sono dati una strategia digitale; l'Italia non è tra questi 161.
Concludo con due proposte molto concrete:
Prima proposta: Inversione dell’onere della prova. Per ogni provvedimento, il default è il digitale. Per fare una cosa non in digitale, bisogna dimostrare che costa meno.
Seconda proposta: Ogni anno, tutti i ministeri devono allegare alla legge finanziaria il loro piano di innovazione tecnologica, la loro agenda digitale.
Forse così potremmo avere una strategia per il secolo digitale, che non abbia necessariamente sempre l’aggettivo “terrestre”…
Stefano Quintarelli, Intervento al Big Bang, Firenze, 29 ottobre 2011
Vi ringrazio per avermi invitato a tenere quest’intervento. Parlerò di economia e digitale.
La società è plasmata dalla tecnologia.
Nel XIX secolo era la macchina a vapore che ha prodotto le fabbriche e la relativa struttura sociale
Nel XX secolo era l’energia. Radio, tv, calcolatrici, telefono e fax hanno messo in comunicazione i mercati hanno ristretto il mondo e accelerando lo sviluppo delle città.
Il XXI secolo è il secolo digitale… ed è ancora tutto da costruire.
Abbiamo 10000 di storia dalla nascita dell’economia fisica iniziata con l'agricoltura, abbiamo solo 10 anni nel mondo de materializzato. L’ipod, i primi collegamenti a banda larga sono del 2001, solo 10 anni fa..
Il nostro secolo è il secolo digitale. La politica non può e non deve ignorarlo
Pensare ad Internet solo come a Facebook è come parlare dell'elettricità e pensare alla lampadina, mentre invece entra in tutte le industrie e le costringe a ridisegnare attività e processi.
La delocalizzazione, la Cina come fabbrica del mondo, sono figlie di Internet della tecnologia.
E lo sviluppo tecnologico non lo possiamo fermare.
Questo, la politica che pensa ai dazi, non l’ha capito.
C'è una frattura sociale tra le persone che conoscono un mondo solo fisico e le persone che conviviamo col digitale.
La stampa è in crisi non per la mancanza di lettori ma perché il supporto cartaceo è sotto attacco dal digitale. Le informazioni sono tutte intorno a noi e la trasformazione è così veloce che annaspiamo a cercare nuovi modelli di business.
Ma questo, la politica che strizza l’occhio alla censura, non l’ha capito.
Ci ricordiamo quando si andava alla stazione il giorno prima a comprare i biglietti del treno. Ryanair, Easyjet, che sono le più profittevoli compagnie aeree oggi, nate a cavallo degli anni 90, esistono perché internet ha annullato i costi commerciali e consente di usare aeroporti secondari.
I loro profitti non vengono però dal trasporto aereo; gli aerei sono una piattaforma per la vendita di assicurazioni, autonoleggi e prenotazioni alberghiere.
Ma questo, la politica che “salva” l’Alitalia, non l’ha capito.
I nostri “Leader” raccontano in TV che le nostre bellezze storiche e paesaggistiche sono un patrimonio non rilocabile. E’ vero, ma il problema è che non le vendiamo noi.
Oggi, quasi tutti i turisti che vengono in Italia usano servizi di prenotazioni online che si prendono il 15% del prezzo della camera, cioè la metà del margine degli albergatori.
Noi, il Colosseo, dobbiamo spolverarlo; loro hanno solo qualche server.
I dati mostrano che una grande quantità di gente cerca su Google vacanze in Italia e poi prenota in Spagna, per mancanza di offerta online.
Ma questo, la politica che fa settimane turistiche andando in giro per il mondo a promuovere una provincia o una regione, non l’ha capito.
Internet è il fattore che ha contribuito di più alla crescita del PIL italiano negli ultimi 4 anni, creando 700.000 posti di lavoro, prevalentemente per giovani, mentre i settori maturi li perdevano.
Ma la politica che carica sui giovani tutta la flessibilità del sistema concentrata nel sostegno di settori decotti, proprio non lo capisce.
Il problema non è il PIL, ma la produttività, che cala. In 10 anni il costo del lavoro per unità di prodotto è aumentato del 24 percento in Italia mentre in Germania è diminuito.
La differenza di crescita tra l’Italia e gli altri grandi Paesi è spiegata dal diverso livello di investimento nel digitale. Se nei prossimi cinque anni gli investimenti tecnologici fossero pari a quelli del Regno Unito, si raddoppierebbe la crescita annua del PIL italiano.
Queste cose non sono io a dirle, ma il Centro Studi Confindustria.
Ma che il digitale sia IL traino dello sviluppo, la politica che abolisce i Ministeri delle Comunicazioni e dell’Innovazione, non l’ha capito.
Mentre il mondo corre nel XXI secolo, la politica attuale ha difficoltà a leggere il presente, e non sa proporre una visione per il futuro.
Il modello di sviluppo che applica è quello degli anni 60: più scavi, più metri quadri.
Ma nel secolo digitale bisogna darsi anche un’agenda diversa; un rapporto di una agenzia dell’ONU dice che al mondo 161 paesi che si sono dati una strategia digitale; l'Italia non è tra questi 161.
Concludo con due proposte molto concrete:
Prima proposta: Inversione dell’onere della prova. Per ogni provvedimento, il default è il digitale. Per fare una cosa non in digitale, bisogna dimostrare che costa meno.
Seconda proposta: Ogni anno, tutti i ministeri devono allegare alla legge finanziaria il loro piano di innovazione tecnologica, la loro agenda digitale.
Forse così potremmo avere una strategia per il secolo digitale, che non abbia necessariamente sempre l’aggettivo “terrestre”…
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