19 giugno, 2011

Il bacio della morte di B. a Marchionne

di Giorgio Airaudo*

Ogni dissoluzione comincia con una assoluzione. E' successo con Silvio Berlusconi, rischia di accadere anche all’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne, che invoca i una legge “ad aziendam”, per difendersi dai tribunali.
Ovvero: il berlusconismo del “nessuno mi può giudicare” fa scuola anche nelle relazioni sindacali e nei comportamenti delle imprese nei confronti della giustizia. Se ci pensate è curioso.
La Fiat e il suo amministratore delegato dopo aver detto che nulla volevano dal governo in Italia, tutto pretendevano dai lavoratori. Invece tanto hanno avuto, fatto e restituito in America.
Ora chiedono una legge per evitare, influenzare o annullare un eventuale giudizio sfavorevole sulla causa promossa dalla Fiom-Ccgil a Torino, la cui prima udienza si è tenuta ieri (e il tribunale ha respinto la richiesta di Fiat di spostare il processo altrove). Una causa che ha uno scopo: accertare se la Newco di Pomigliano sia un trasferimento di ramo d'impresa. Se fosse così non potrebbe essere utilizzata per cambiare contratti, condizioni di lavoro, diritti e libertà individuali e collettive o per scegliersi i sindacati più aderenti o disponibili alle intenzioni dell'impresa.
Si usa la crisi per dire che non ci possiamo permettere, se vogliamo il lavoro in Italia, I diritti e le libertà che abbiamo fino ad oggi esercitato. Si chiede per le imprese un extraterritorialità giudiziaria
: una bella differenza di diritto rispetto ai cittadini che quando lavorano devono perdere la loro soggettività e cittadinanza e diventare merci tra le merci.
Colpisce che la tanto esaltata innovazione, la volontà di scongelare e far muovere il paese, partita con la “coraggiosa” aggressione da Pomigliano alla Bertone a chi guadagna 1200 al mese (facendo i turni e paga tutte le tasse), finisca nel chiedere un “favore ” al berlusconismo decadente e ai suoi ministri che perseguono nostalgie tardo-craxiane di costruzioni di sindacati riformisti.
In fondo, oggi, sarebbe sufficiente un sindacato integralmente democratico e autonomo che faccia decidere i suoi rappresentati e che lasci alle lavoratrici e ai lavoratori eleggere i propri rappresentanti (nelle newco Fiat non si eleggono i delegati, nominati dai sindacati firmatari).
Chissà se nell’entourage di Marchionne è stato valutato attentamente il rischio di un accostamento tra la Fiat e questa maggioranza al crepuscolo. C'è una strana assonanza tra chi parla di "toghe rosse" e chi teme le "toghe in tuta blu", con le equivalenti contestazioni di legittimità nel merito e nelle sedi delle cause. E allora forse c'è da chiedersi se lo scontro vale i rischi e i prezzi che stanno ad oggi pagando soprattutto i lavoratori e le lavoratrici con tanta cassa integrazione. E che rischia di pagare l'intero paese non avendo certezza sul futuro dell'auto in Italia. Forse la Fiat avrebbe fatto meglio a dire tutto subito concordando un piano anche con il pese e il governo, piuttosto che negare la crisi.
Avrebbe potuto oggi avere una restituzione di prestiti in cambio di impegni come ha fatto Barack Obama.
Questa sì che sarebbe stata una riforma liberale: imprese che restituiscono prestiti pubblici senza subire l' umiliazione di quel “Paid ” (pagato) appuntato sulle giacche dei manager.
La Fiat, invece che alimentare lo scontro uscendo dai contratti nazionali e da Confindustria (trattando i lavoratori da ostaggi), si dovrebbe assumere la responsabilità di un cambio di linea. Nel rispetto dei diritti del lavoro e di questo Paese, riconosca il contributo degli italiani nell’azienda.
Meglio un buon patto sociale che il bacio della morte “ad aziendam” del Cavaliere.

*membro della segreteria nazionale della
Fiom-Cgil, responsabile settore Auto

IL FATTO QUOTIDIANO 19-06- 2011 pag 14

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