19 giugno, 2011

I dannati DELL’IRPEF

L’ESPRESSO 17-06 pag 134

Tre aliquote sul reddito. E cinque imposte. Tremonti vuole semplificare. Ma dopo anni di pressione crescente sui lavoratori dipendenti cambiare non è facile. E costa

Alla bistecca di manzo preferite la fettina di pollo? Avete venduto lo scooter per muovervi in tram? Vi piace dormire in campeggio?
Per raccontare dove rischia di spezzarsi il sogno di riforma fiscale del ministro Giulio Tremonti bisogna partire da qui, dallÕideale di vita morigerata che i tavoli tecnici predisposti dal ministero dell’Economia per studiare la riforma hanno finito per delineare.
Prendete un lavoratore tipo: reddito lordo che va dai 20 ai 28 mila euro l’anno.
Era lui l’obiettivo del governo, l’uomo sul quale puntare per disegnare la svolta, la riscossa elettorale.
Per lui è stato studiato uno dei tagli delle aliquote più azzardati che siano mai stati ipotizzati in questi ultimi anni, la riduzione dal 23 al 20 della trattenuta prevista per la prima parte del suo reddito personale, quella fino a 15 mila euro.
Provate a fare i calcoli e vedrete che cosa ne viene: al lavoratore modello come ad altri 24 milioni di italiani, il mega taglio dell’Irpef garantirebbe 450 euro di tasse in meno da pagare. All’anno, sia bene inteso.
Può sembrare poca cosa per una riforma che Tremonti dice di meditare da almeno un anno e che ora, dopo infiniti cambi di direzione, viene annunciata come prossima, con la riduzione delle aliquote Irpef da quattro a tre, e la concentrazione di una serie di tributi in cinque non meglio definite grandi imposte. Eppure, anche un cambiamento minimo come quello che comporterebbe la riduzione di 450 euro per lo stipendio tipo, dal punto di vista del governo, ha effetti profondi. Quando questo piccolo regalo viene spalmato su tutti i contribuenti, infatti, ne viene un salasso per le casse dello Stato stimabile in circa 13 miliardi.
L’idea iniziale era riempire il buco con l’aumento dell’Iva, la tassa sui consumi, secondo lo slogan tremontiano che la tassazione andrebbe spostata dalle persone allecose.
Ma le conseguenze di una mossa simile rischiano di essere pesanti, a fronte del dubbio beneficio di alleggerire il peso del fisco solo per chi pu˜òrisparmiare sulla spesa quotidiana. La prima controindicazione, quasi un certezza visto il presupposto di garantire la parità delle risorse che finiscono allo Stato, è che l’intero sgravio venga in realtà mangiato dall’aumento dei prezzi.
La seconda è che la riforma si trasformi in una vera beffa per i poveri: tantissimi anziani che vivono con la pensione minima, e che non pagano l’Irpef, rischierebbero ad esempio di beccarsi solo gli effetti negativi, ovvero l’aumento del costo della vita. Il terzo rischio è che molti negozianti invece di versarla all’erario l’Iva maggiorata se la intaschino, aprendo una falla nei conti pubblici.
Ci vuole un colpo di frusta, ha detto nei giorni della sconfitta referendaria il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, invitando il governo e il collega Tremonti a lanciare nuovi coraggiosi programmi per riconquistaregli elettori. Il problema è che il sistema tributario italiano si sta rivelando sempre più una trappola. Sia per quei contribuenti onesti che lo subiscono, con la pressione fiscale al record storico, sia per quei governi che promettono di cambiarlo, finora senza successo.
Uno dei motivi di questa impasse lo illustra il grafico pubblicato qui a fianco. Dice che negli ultimi quindici anni sono stati lavoratori dipendenti e pensionati a sopportare sulle loro spalle gran parte dell’abnorme peso del fisco. Se nel 1995 le trattenute Irpef su stipendi e pensioni valevano 65,7 miliardi di euro, nel 2009 il loro ammontare è salito a 125,7 miliardi. Vale la pena notare che, nello stesso periodo, anche il gettito Irpef che arriva dai lavoratori autonomi è aumentato in maniera rilevante, passando da 13,4 a 30,1 miliardi. In percentuale, anzi, il suo peso sul flusso totale dell’imposta è cresciuto, passando dal 16,2 per cento del ‘95 al 18,1 del 2009. Prima di brindare al successo delle politiche antievasione, tuttavia, vanno considerati due fattori. Il primo è che i redditi sottratti al fisco restano elevatissimi, come dicono tutte le analisi. Il secondo che il ribilanciamento sui lavoratori autonomi è limitato a due momenti precisi: il triennio 1998-2000 e il biennio 2006-2007. Quando Tremonti era ministro, invece, i picchi raggiunti su questo fronte dai governi di centro-sinistra non sono stati avvicinati.
La musica non cambia anche se si restringe l’analisi al 2003-2009, quando erano superati lo sforzo per l’ingresso nell’euro e gli effetti della crisi del 2001. In questi sette anni, infatti, lavoratori dipendenti e pensionati hanno visto l’Irpef versata aumentare di ben 25,2 miliardi, pari al 25 per cento in più. Un aumento non giustificabile con la crescita del numero di contribuenti, limitata al 5 per cento, con l’aumento dei loro redditi reali, come mostra il grafico qui sotto, elaborato dal Dipartimento Politiche Economiche della Cgil. Un’ultima annotazione, ricavata dai lavori dell’Associazione Articolo 53, che si batte per la difesa della progressività fiscale: fino all’inizio degli anni Novanta, quando le aliquote Irpef erano più numerose, la pressione fiscale sui redditi bassi era ridotta, a danno di chi guadagnava di più, come prevede la Costituzione.
Oggi è il contrario.

Aver scaricato sulle spalle di lavoratori e pensionati il grosso della pressione fiscale, tuttavia, per il governo si sta rivelando un problema. Invertire la tendenza, infatti, è ormai arduo. Bastano ritocchi minimi per aprire voragini nei conti pubblici, più che mai da evitare alla luce del rischio di fallimento della Grecia e dei tagli al bilancio che Tremonti ha promesso all’Europa per ridurre il deficit pubblico (ma che ora ha rinviato al 2013). La soluzione di aumentare l’Iva è stata vagliata a fondo dai tecnici del ministero.
L’esempio arriva dalla Francia, dove l’evasione dell’imposta sui consumi è molto più bassa che in Italia, il che permette al governo di avere due aliquote Irpef sui primi scaglioni di reddito limitate al 5,5 e al 14 per cento (rispetto alle nostre 23 e 27 per cento), oltrechè uno speciale beneficio per le famiglie numerose (il cosiddetto quoziente familiare), allo studio anche in Italia.
Il modello francese è, dunque, più spinto rispetto a quello ipotizzato da Tremonti. E in Francia, come osserva Roberto Convenevole, per dieci anni capo ufficio studi dell’Agenzia delle Entrate, il gettito dell’Iva vale il doppio di quello dell’Irpef, esattamente l’opposto di quanto avviene in Italia.
Paradossalmente, però, Parigi ottiene questi risultati con un’aliquota Iva media uguale a quella italiana (il 15 per cento). In pratica, se facesse scendere l’evasione al livello francese, Tremonti si ritroverebbe un tesoretto di diverse decine di miliardi, oggi regalato ai contribuenti disonesti.
Il problema, dunque, è l’enorme evasione che continua a ridurre i margini di manovra dei governi.
Convenevole, che sul tema si è tolto lo sfizio di pubblicare un libro (disponibile sul sito www.ilmiolibro.it, s’intitola La materia oscura dell’Iva), sottolinea che di recente qualche successo è stato raggiunto. Ma aggiunge che affinché la riforma ipotizzata da Tremonti abbia successo è indispensabile far prima funzionare meglio l’imposta sui consumi, partendo dal riordino amministrativo e investendo sul personale per avere una cultura dell’Iva che sia diffusa all’interno dell’amministrazione.
Per evitare raggiri, però, sarebbero essenziali una serie di provvedimenti, come il ritorno delle dichiarazioni trimestrali dell’Iva, oggi abolite, o l’obbligo di presentare la dichiarazione annuale entro il 28 febbraio a tutti coloro che terminano l’anno con un credito Iva.
Quanto Tremonti vorrà proseguire su questa strada, si vedrà, visti i mal di pancia che rischia nell’elettorato. Lo certifica l’esempio delle 330 mila imprese del settore “pubblici esercizi” che, stando alle ultime rilevazioni Istat, è incredibilmente capace di produrre un’Iva negativa: quella a credito supera quella a debito. é come se alberghi, ristoranti, pizzerie, gelaterie e bar fossero nel complesso gestiti in perdita.
Forse per evitare le difficoltà di un aumento tout court dell’Iva o di una più incisive lotta all’evasione, il ministro ha così escogitato un’alternativa. Ha affidato a un gruppo di lavoro presieduto da un dirigente della Banca d’Italia, Vieri Ceriani, una ricognizione delle agevolazioni che permettono di attenuare le imposte.
Al termine dei lavori, ne sono state censite 474, che causano una perdita di gettito di 160 miliardi.
“Agevolazioni e benefici vanno tolti a quelli che hanno il gippone”, ha detto Tremonti per spiegare dove intende colpire. Un’analisi attenta dei dati, tuttavia, fa moderare gli entusiasmi. “C’è un gigantesco fraintendimento. Quelle che vengono chiamate agevolazioni sono, per il 70 per cento, strumenti che il fisco utilizza per attuare gli obiettivi che gli sono propri. Il trattamento dei carichi familiari, la detraibilità delle spese di produzione del reddito, la discriminazione qualitativa tra redditi da lavoro dipendente e da lavoro autonomo, che hanno meccanismi di dichiarazione e possibilità di evasione intrinsecamente diversi”, dice Alessandro Santoro, economista dell’Università di Milano Bicocca. Che avverte: “Abolire o limitare significativamente questi interventi significherebbe aggravare pesantemente il carico fiscale per le famiglie numerose, specie dei lavoratori dipendenti”.
Con il rischio che, ancora una volta, i contribuenti siano costretti a rivedere il film che negli ultimi vent’anni si sono sempre sorbiti.
Con i deboli che pagano. Mentre i furbi festeggiano


Ecco a quanto ammontano (nel 2009, secondo l’Istat) le principali imposte statali su lavoro e consumi. Sono esclusele tasse su società e affari

Irpef 166,2 MILIARDI
Iva 124,9 MILIARDI
Imposta benzina 20,8 MILIARDI
Ritenute sui redditi da capitale 13,9MILIARDI
Lotto e lotterie 10,1 MILIARDI
Tabacchi 9,5 MILIARDI
Imposta sul metano 4,0 MILIARDI
Tasse universitarie 1,6 MILIARDI
Canone Rai 1,5 MILIARDI
Imposta sull’energia elettrica 1,3 MILIARDI
Imposta sugli alcolici 1,0 MILIARDI
Tasse automobilistiche 0,6 MILIARDI

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