06 giugno, 2011

Acqua privata, il caso Toscana La Regione: "Azionariato popolare"



La Toscana, accade spesso, è uno spartiacque per comprendere se l'acqua che beviamo (la sua depurazione, i lavori sugli invasi, la gestione delle fogne) deve essere pubblica, privata, in mano a consorzi misti. Prima del 1994, quando fu varata la legge Galli che consentì alle società per azioni di entrare nella gestione del servizio idrico (lo Stato e i Comuni non avevano abbastanza soldi per la manutenzione e lo sviluppo delle rete), in Toscana c'erano oltre duecento gestori, perlopiù comuni. Dopo il '94, i gestori sono diventati sette per sei ambiti territoriali: sono entrati Acea, Monte dei Paschi, Lyoneaise des Eaux, Amga e poi Publiacqua, L'acquedotto del Fiore, la Geal. I nuovi consorzi hanno tutti la maggioranza pubblica e una forte partecipazione (tra il 40 e il 48%) privata. La Cgil, oggi, fa il sommario di 17 anni di privatizzazione: "La Toscana è stata la prima regione in Italia per costo delle bollette, con l'arrivo dei privati i servizi non sono migliorati, le tariffe sono aumentate, gli investimenti non ci sono stati. Il cittadino ci ha rimesso". Bisogna aggiungere che la perdita della rete è scesa dal 40 per cento al 28 è che oggi sette toscani su dieci (mezzo milione in più) bevono l'acqua che scende dal rubinetto.

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