ABBIAMO DECISO DI APRIRE QUESTO SPAZIO PER POTER DISCUTERE DEI PROBLEMI E DELL'ORGANIZZAZIONE DEI TECNICI TELECOM CHE OPERANO IN OPEN ACCESS, QUESTO VUOLE ESSERE UN LUOGO DI DISCUSSIONE E CONDIVISIONE DELLA NOSTRA ATTIVITA'.
"Avere un problema e cercare di risolverlo da soli è avarizia, accorgersi che il mio problema è anche di altri e cercare di risolverlo insieme, questo è politica" DON MILANI
30 giugno, 2011
RAI: MICELI (SLC CGIL), NECESSARIA RIGENERAZIONE AZIENDA E MANAGEMENT
Dopo Santoro e Saviano, le decisioni di Lucia Annunziata e di Simona Ventura di lasciare l’azienda, danno il senso di una “grande fuga” dalla Rai. È evidente che tutto questo indebolisce l’azienda sul mercato. Ogni giorno sugli organi di stampa leggiamo del sistema di relazioni anomale di cui una parte del management si è reso responsabile e non c’è nessuno, in questo momento, che abbia la sensibilità di provare a fermare questa deriva.
In una tale situazione compito dell’azionista sarebbe quello di sospendere quanti risultano, dagli atti dei giudici, compromessi, anche per affermare il principio di sovranità e libertà dell’azienda.
Si tratta di porre mano a veri e propri atti di rigenerazione dell’azienda con la fermezza necessaria per evitare che la crisi diventi strutturale.
Ci sembrano queste alcune misure straordinarie ma urgenti, indispensabili per dare un segnale positivo al Paese.
26 giugno, 2011
25 giugno, 2011
24 giugno, 2011
Manovra: Tremonti incontra parti sociali, Cgil esclusa
Rassegna.it
23 giugno, 2011
Pensioni: Cgil, basta manovre sulla previdenza
"Oltre agli effetti generali, ci sarebbe poi una cattiveria particolare nei confronti delle donne, perché si decide solo l'aumento dell'età pensionabile senza considerare le attuali remunerazioni del lavoro che continuano ad essere molto diverse rispetto a quelle degli uomini e non si considerano i carichi e le responsabilità famigliari che le donne si accollano. Dai primi calcoli, si è capito che donne cinquantenni oggi al lavoro dovranno ritardare la loro pensione in media di 7 anni".
E anche l'ipotesi dell'aumento dell'aliquota contributiva per i parasubordinati al 33%, se non fosse accompagnata dall'introduzione di ammortizzatori sociali per questa fascia di lavoratori e di una garanzia sicura per le loro pensioni, si trasformerebbe solo nel fatto che i committenti scaricheranno sugli stessi lavoratori parasubordinati l'aumento della contribuzione previdenziale". In generale, conclude Vera Lamonica, "per le pensioni in essere non è previsto nessun meccanismo che rivaluti le prestazioni previdenziali che come sanno anche i sassi hanno visto crollare il loro potere di acquisto".
RASSEGNA.IT
PAGA SEMPRE IL PIU' DEBOLE
PROIEZIONE dei nuovi ipotetici requisiti per la PENSIONE.
sicuramente Stan Lauren & Oliver Hardy
si SPELLERANNO le mani
PENSIONI TRUFFA
21 giugno, 2011
19 giugno, 2011
I dannati DELL’IRPEF
Tre aliquote sul reddito. E cinque imposte. Tremonti vuole semplificare. Ma dopo anni di pressione crescente sui lavoratori dipendenti cambiare non è facile. E costa
Alla bistecca di manzo preferite la fettina di pollo? Avete venduto lo scooter per muovervi in tram? Vi piace dormire in campeggio?
Per raccontare dove rischia di spezzarsi il sogno di riforma fiscale del ministro Giulio Tremonti bisogna partire da qui, dallÕideale di vita morigerata che i tavoli tecnici predisposti dal ministero dell’Economia per studiare la riforma hanno finito per delineare.
Prendete un lavoratore tipo: reddito lordo che va dai 20 ai 28 mila euro l’anno.
Era lui l’obiettivo del governo, l’uomo sul quale puntare per disegnare la svolta, la riscossa elettorale.
Per lui è stato studiato uno dei tagli delle aliquote più azzardati che siano mai stati ipotizzati in questi ultimi anni, la riduzione dal 23 al 20 della trattenuta prevista per la prima parte del suo reddito personale, quella fino a 15 mila euro.
Provate a fare i calcoli e vedrete che cosa ne viene: al lavoratore modello come ad altri 24 milioni di italiani, il mega taglio dell’Irpef garantirebbe 450 euro di tasse in meno da pagare. All’anno, sia bene inteso.
Può sembrare poca cosa per una riforma che Tremonti dice di meditare da almeno un anno e che ora, dopo infiniti cambi di direzione, viene annunciata come prossima, con la riduzione delle aliquote Irpef da quattro a tre, e la concentrazione di una serie di tributi in cinque non meglio definite grandi imposte. Eppure, anche un cambiamento minimo come quello che comporterebbe la riduzione di 450 euro per lo stipendio tipo, dal punto di vista del governo, ha effetti profondi. Quando questo piccolo regalo viene spalmato su tutti i contribuenti, infatti, ne viene un salasso per le casse dello Stato stimabile in circa 13 miliardi.
L’idea iniziale era riempire il buco con l’aumento dell’Iva, la tassa sui consumi, secondo lo slogan tremontiano che la tassazione andrebbe spostata dalle persone allecose.
Ma le conseguenze di una mossa simile rischiano di essere pesanti, a fronte del dubbio beneficio di alleggerire il peso del fisco solo per chi pu˜òrisparmiare sulla spesa quotidiana. La prima controindicazione, quasi un certezza visto il presupposto di garantire la parità delle risorse che finiscono allo Stato, è che l’intero sgravio venga in realtà mangiato dall’aumento dei prezzi.
La seconda è che la riforma si trasformi in una vera beffa per i poveri: tantissimi anziani che vivono con la pensione minima, e che non pagano l’Irpef, rischierebbero ad esempio di beccarsi solo gli effetti negativi, ovvero l’aumento del costo della vita. Il terzo rischio è che molti negozianti invece di versarla all’erario l’Iva maggiorata se la intaschino, aprendo una falla nei conti pubblici.
Ci vuole un colpo di frusta, ha detto nei giorni della sconfitta referendaria il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, invitando il governo e il collega Tremonti a lanciare nuovi coraggiosi programmi per riconquistaregli elettori. Il problema è che il sistema tributario italiano si sta rivelando sempre più una trappola. Sia per quei contribuenti onesti che lo subiscono, con la pressione fiscale al record storico, sia per quei governi che promettono di cambiarlo, finora senza successo.
Uno dei motivi di questa impasse lo illustra il grafico pubblicato qui a fianco. Dice che negli ultimi quindici anni sono stati lavoratori dipendenti e pensionati a sopportare sulle loro spalle gran parte dell’abnorme peso del fisco. Se nel 1995 le trattenute Irpef su stipendi e pensioni valevano 65,7 miliardi di euro, nel 2009 il loro ammontare è salito a 125,7 miliardi. Vale la pena notare che, nello stesso periodo, anche il gettito Irpef che arriva dai lavoratori autonomi è aumentato in maniera rilevante, passando da 13,4 a 30,1 miliardi. In percentuale, anzi, il suo peso sul flusso totale dell’imposta è cresciuto, passando dal 16,2 per cento del ‘95 al 18,1 del 2009. Prima di brindare al successo delle politiche antievasione, tuttavia, vanno considerati due fattori. Il primo è che i redditi sottratti al fisco restano elevatissimi, come dicono tutte le analisi. Il secondo che il ribilanciamento sui lavoratori autonomi è limitato a due momenti precisi: il triennio 1998-2000 e il biennio 2006-2007. Quando Tremonti era ministro, invece, i picchi raggiunti su questo fronte dai governi di centro-sinistra non sono stati avvicinati.
La musica non cambia anche se si restringe l’analisi al 2003-2009, quando erano superati lo sforzo per l’ingresso nell’euro e gli effetti della crisi del 2001. In questi sette anni, infatti, lavoratori dipendenti e pensionati hanno visto l’Irpef versata aumentare di ben 25,2 miliardi, pari al 25 per cento in più. Un aumento non giustificabile con la crescita del numero di contribuenti, limitata al 5 per cento, con l’aumento dei loro redditi reali, come mostra il grafico qui sotto, elaborato dal Dipartimento Politiche Economiche della Cgil. Un’ultima annotazione, ricavata dai lavori dell’Associazione Articolo 53, che si batte per la difesa della progressività fiscale: fino all’inizio degli anni Novanta, quando le aliquote Irpef erano più numerose, la pressione fiscale sui redditi bassi era ridotta, a danno di chi guadagnava di più, come prevede la Costituzione.
Oggi è il contrario.
Aver scaricato sulle spalle di lavoratori e pensionati il grosso della pressione fiscale, tuttavia, per il governo si sta rivelando un problema. Invertire la tendenza, infatti, è ormai arduo. Bastano ritocchi minimi per aprire voragini nei conti pubblici, più che mai da evitare alla luce del rischio di fallimento della Grecia e dei tagli al bilancio che Tremonti ha promesso all’Europa per ridurre il deficit pubblico (ma che ora ha rinviato al 2013). La soluzione di aumentare l’Iva è stata vagliata a fondo dai tecnici del ministero.
L’esempio arriva dalla Francia, dove l’evasione dell’imposta sui consumi è molto più bassa che in Italia, il che permette al governo di avere due aliquote Irpef sui primi scaglioni di reddito limitate al 5,5 e al 14 per cento (rispetto alle nostre 23 e 27 per cento), oltrechè uno speciale beneficio per le famiglie numerose (il cosiddetto quoziente familiare), allo studio anche in Italia.
Il modello francese è, dunque, più spinto rispetto a quello ipotizzato da Tremonti. E in Francia, come osserva Roberto Convenevole, per dieci anni capo ufficio studi dell’Agenzia delle Entrate, il gettito dell’Iva vale il doppio di quello dell’Irpef, esattamente l’opposto di quanto avviene in Italia.
Paradossalmente, però, Parigi ottiene questi risultati con un’aliquota Iva media uguale a quella italiana (il 15 per cento). In pratica, se facesse scendere l’evasione al livello francese, Tremonti si ritroverebbe un tesoretto di diverse decine di miliardi, oggi regalato ai contribuenti disonesti.
Il problema, dunque, è l’enorme evasione che continua a ridurre i margini di manovra dei governi.
Convenevole, che sul tema si è tolto lo sfizio di pubblicare un libro (disponibile sul sito www.ilmiolibro.it, s’intitola La materia oscura dell’Iva), sottolinea che di recente qualche successo è stato raggiunto. Ma aggiunge che affinché la riforma ipotizzata da Tremonti abbia successo è indispensabile far prima funzionare meglio l’imposta sui consumi, partendo dal riordino amministrativo e investendo sul personale per avere una cultura dell’Iva che sia diffusa all’interno dell’amministrazione.
Per evitare raggiri, però, sarebbero essenziali una serie di provvedimenti, come il ritorno delle dichiarazioni trimestrali dell’Iva, oggi abolite, o l’obbligo di presentare la dichiarazione annuale entro il 28 febbraio a tutti coloro che terminano l’anno con un credito Iva.
Quanto Tremonti vorrà proseguire su questa strada, si vedrà, visti i mal di pancia che rischia nell’elettorato. Lo certifica l’esempio delle 330 mila imprese del settore “pubblici esercizi” che, stando alle ultime rilevazioni Istat, è incredibilmente capace di produrre un’Iva negativa: quella a credito supera quella a debito. é come se alberghi, ristoranti, pizzerie, gelaterie e bar fossero nel complesso gestiti in perdita.
Forse per evitare le difficoltà di un aumento tout court dell’Iva o di una più incisive lotta all’evasione, il ministro ha così escogitato un’alternativa. Ha affidato a un gruppo di lavoro presieduto da un dirigente della Banca d’Italia, Vieri Ceriani, una ricognizione delle agevolazioni che permettono di attenuare le imposte.
Al termine dei lavori, ne sono state censite 474, che causano una perdita di gettito di 160 miliardi.
“Agevolazioni e benefici vanno tolti a quelli che hanno il gippone”, ha detto Tremonti per spiegare dove intende colpire. Un’analisi attenta dei dati, tuttavia, fa moderare gli entusiasmi. “C’è un gigantesco fraintendimento. Quelle che vengono chiamate agevolazioni sono, per il 70 per cento, strumenti che il fisco utilizza per attuare gli obiettivi che gli sono propri. Il trattamento dei carichi familiari, la detraibilità delle spese di produzione del reddito, la discriminazione qualitativa tra redditi da lavoro dipendente e da lavoro autonomo, che hanno meccanismi di dichiarazione e possibilità di evasione intrinsecamente diversi”, dice Alessandro Santoro, economista dell’Università di Milano Bicocca. Che avverte: “Abolire o limitare significativamente questi interventi significherebbe aggravare pesantemente il carico fiscale per le famiglie numerose, specie dei lavoratori dipendenti”.
Con il rischio che, ancora una volta, i contribuenti siano costretti a rivedere il film che negli ultimi vent’anni si sono sempre sorbiti.
Con i deboli che pagano. Mentre i furbi festeggiano
Ecco a quanto ammontano (nel 2009, secondo l’Istat) le principali imposte statali su lavoro e consumi. Sono esclusele tasse su società e affari
Irpef 166,2 MILIARDI
Iva 124,9 MILIARDI
Imposta benzina 20,8 MILIARDI
Ritenute sui redditi da capitale 13,9MILIARDI
Lotto e lotterie 10,1 MILIARDI
Tabacchi 9,5 MILIARDI
Imposta sul metano 4,0 MILIARDI
Tasse universitarie 1,6 MILIARDI
Canone Rai 1,5 MILIARDI
Imposta sull’energia elettrica 1,3 MILIARDI
Imposta sugli alcolici 1,0 MILIARDI
Tasse automobilistiche 0,6 MILIARDI
Ora si ribellano al governo perfino Cisl e Uil
ULTIMATUM DEI DUE SINDACATI: “RIFORMA FISCALE SUBITO OPPURE SCIOPERO GENERALE”
Stan Laurel and Oliver Hardy
Chiuso in casa a Pavia, il ministro del Tesoro si prepara a una domenica di passione. Questa mattina, sul pratone di Pontida, c'è il raduno della Lega, che dovrà decidere le sorti del governo. Maroni e Calderoli alzano i toni, e coprono le pretese di Cisl e Uil, palesemente velleitarie perché colpevolmente tardive. Dopo aver ingoiato senza fiatare ogni tipo di rospo, in tre anni in cui i salari reali del privato sono crollati e gli stipendi del pubblico impiego sono stati congelati, Bonanni e Angeletti si ricordano che famiglie e lavoratori, precari e disoccupati, meritano adesso una "ricompensa" fiscale. Minacciano addirittura uno sciopero, dopo aver boicottato ogni genere di protesta organizzata dalla Cgil. I due ministri leghisti si accodano. Bossi tace. Parlerà solo lui, oggi, al popolo padano.
INTERO ARTICOLO SU REPUBBLICA ONLINE
Il bacio della morte di B. a Marchionne
Ogni dissoluzione comincia con una assoluzione. E' successo con Silvio Berlusconi, rischia di accadere anche all’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne, che invoca i una legge “ad aziendam”, per difendersi dai tribunali.
Ovvero: il berlusconismo del “nessuno mi può giudicare” fa scuola anche nelle relazioni sindacali e nei comportamenti delle imprese nei confronti della giustizia. Se ci pensate è curioso.
La Fiat e il suo amministratore delegato dopo aver detto che nulla volevano dal governo in Italia, tutto pretendevano dai lavoratori. Invece tanto hanno avuto, fatto e restituito in America.
Ora chiedono una legge per evitare, influenzare o annullare un eventuale giudizio sfavorevole sulla causa promossa dalla Fiom-Ccgil a Torino, la cui prima udienza si è tenuta ieri (e il tribunale ha respinto la richiesta di Fiat di spostare il processo altrove). Una causa che ha uno scopo: accertare se la Newco di Pomigliano sia un trasferimento di ramo d'impresa. Se fosse così non potrebbe essere utilizzata per cambiare contratti, condizioni di lavoro, diritti e libertà individuali e collettive o per scegliersi i sindacati più aderenti o disponibili alle intenzioni dell'impresa.
Si usa la crisi per dire che non ci possiamo permettere, se vogliamo il lavoro in Italia, I diritti e le libertà che abbiamo fino ad oggi esercitato. Si chiede per le imprese un extraterritorialità giudiziaria: una bella differenza di diritto rispetto ai cittadini che quando lavorano devono perdere la loro soggettività e cittadinanza e diventare merci tra le merci.
Colpisce che la tanto esaltata innovazione, la volontà di scongelare e far muovere il paese, partita con la “coraggiosa” aggressione da Pomigliano alla Bertone a chi guadagna 1200 al mese (facendo i turni e paga tutte le tasse), finisca nel chiedere un “favore ” al berlusconismo decadente e ai suoi ministri che perseguono nostalgie tardo-craxiane di costruzioni di sindacati riformisti.
In fondo, oggi, sarebbe sufficiente un sindacato integralmente democratico e autonomo che faccia decidere i suoi rappresentati e che lasci alle lavoratrici e ai lavoratori eleggere i propri rappresentanti (nelle newco Fiat non si eleggono i delegati, nominati dai sindacati firmatari).
Chissà se nell’entourage di Marchionne è stato valutato attentamente il rischio di un accostamento tra la Fiat e questa maggioranza al crepuscolo. C'è una strana assonanza tra chi parla di "toghe rosse" e chi teme le "toghe in tuta blu", con le equivalenti contestazioni di legittimità nel merito e nelle sedi delle cause. E allora forse c'è da chiedersi se lo scontro vale i rischi e i prezzi che stanno ad oggi pagando soprattutto i lavoratori e le lavoratrici con tanta cassa integrazione. E che rischia di pagare l'intero paese non avendo certezza sul futuro dell'auto in Italia. Forse la Fiat avrebbe fatto meglio a dire tutto subito concordando un piano anche con il pese e il governo, piuttosto che negare la crisi.
Avrebbe potuto oggi avere una restituzione di prestiti in cambio di impegni come ha fatto Barack Obama.
Questa sì che sarebbe stata una riforma liberale: imprese che restituiscono prestiti pubblici senza subire l' umiliazione di quel “Paid ” (pagato) appuntato sulle giacche dei manager.
La Fiat, invece che alimentare lo scontro uscendo dai contratti nazionali e da Confindustria (trattando i lavoratori da ostaggi), si dovrebbe assumere la responsabilità di un cambio di linea. Nel rispetto dei diritti del lavoro e di questo Paese, riconosca il contributo degli italiani nell’azienda.
Meglio un buon patto sociale che il bacio della morte “ad aziendam” del Cavaliere.
*membro della segreteria nazionale della
Fiom-Cgil, responsabile settore Auto
IL FATTO QUOTIDIANO 19-06- 2011 pag 14
18 giugno, 2011
17 giugno, 2011
16 giugno, 2011
Call center condannato per condotta antisindacale
Per l'avvocato Pierluigi Panici, legale della parte ricorrente, il pronunciamento del Tribunale è doppiamente importante: "Da un lato, sanziona il comportamento datoriale finalizzato a privare i lavoratori iscritti alla Cgil del contratto collettivo nazionale; dall'altro, la delegittimazione da parte dell'azienda del ruolo del sindacato come agente contrattuale. L'azienda - conclude il legale - ha trattato con un sindacato inesistente escludendo l'unico, la Filcams Cgil, di fatto presente". Soddisfazione viene espressa anche dalla Filcams nazionale.
RASSEGNA.IT
15 giugno, 2011
Cgil: "E' lui l'Italia peggiore"
ATTENDIAMO CON APPRENSIONE UNA PRESA DI POSIZIONE DI CISL E UIL, TREMIAMO AL SOLO PENSIERO DI COSA POSSANO DIRE PER GIUSTIFICARE LE USCITE DI QUEL "VAGABONDO" EXTRA SMALL
13 giugno, 2011
10 giugno, 2011
09 giugno, 2011
08 giugno, 2011
07 giugno, 2011
DUE NOTIZIE DUE ATTACCHI AI LAVORATORI
Di seguito sono state inserite due notizie di stampa di questi giorni, da una parte il
segretario Generale della UIL, dall'altra quello della CISL.
La prima riguarda alla disdetta da parte della UIL dell'accordo del 1993, perchè a loro sentire con l'accordo del 2009 sottoscritto solo da CISl e UIL il precedente risulta superato, salvo poi cercando di giustificarsi parla della certificazione degli iscritti al sindacato ( e i non iscritti non avrebbero diritto di esprimersi sulle scelte sindacali?), la CGIL ha sottoposto alle due altre organizzazioni ed al governo un progetto sulla rappresentanza, ma ad oggi non ci risulta che ci sia una discussione seria di merito. Forse le altre due organizzazioni vogliono raggiungere l'ennesimo accordo con Sacconi scavalcando i lavoratori ed il maggior sindacato italiano?
La seconda riguarda Bonanni che in un intervista ad Avvenire si dice favorevole al Nucleare ed alla privatizzazione dell'acqua. Prendendo questa posizione non fa un piacere ad i suoi iscritti, sulla prima il " NUCLEARE " abbiamo visto tutti le conseguenze che comporta un incidente, cerchiamo di immaginare una centrale o più in Italia, dove la mafia controlla il ciclo del calcestruzzo, oppure le manutenzioni obbligatorie degli impianti......C'è da FIDARSI?
Per quanto riguarda poi l'acqua con la privatizzazione ed il 7% garantito si fa un piacere ai privati che avranno una remunerazione certa dell'investimento agendo sulle tariffe, tariffe che pagheranno i lavoratori, quei lavoratori ai quali si vogliono rinnovare i contratti con aumenti programmati e nei quali scontano i costi dell'energia (IPCA).
C'è da fare un unica considerzione, fino ad oggi questi signori hanno accusato la CGIL di fare politica, certo la CGIL fa ed ha fatto politica, ma del LAVORO dei DIRITTI della SICUREZZA, mentre questi signori fanno quella politica che ci accusano di fare e sono sempre proni a sottomettersi al governo di turno.
Contratti/ Angeletti: Pronti a disdetta accordo del 1993
Bonanni: ok al nucleare e ai privati per l’acqua
«Sbaglia chi parla di "spallata decisiva al governo". C’è troppa politica e troppa demagogia intorno a questa consultazione, soprattutto sul merito dei quesiti. Perché il Paese ha bisogno dell’energia nucleare, se vuole rimanere fra le nazioni più industrializzate. E abbiamo bisogno pure dei privati nella gestione degli acquedotti, che non va lasciata all’inefficienza e al clientelismo di tante piccole società pubbliche». Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl, si guarda bene dallo schierare il sindacato da una parte o dall’altra del fronte referendario. Ma non ha paura ad andare controcorrente nella valutazione dei singoli quesiti.
La Cisl finora non ha preso posizione né ha dato indicazioni di voto ai suoi iscritti. Perché?
Restiamo coerenti alla nostra linea di non dare indicazioni di voto, perché siamo fortemente contrari al continuo ricorso a questo strumento, che finisce con il privare il Parlamento della funzione che gli è propria e deresponsabilizzare ulteriormente la classe politica. Nell’ultimo trentennio se ne è abusato. Occorrerebbe alzare il numero di firme necessario per chiedere un referendum e comunque riservare la consultazione dei cittadini a questioni fondamentali o di coscienza, come storicamente sono state le votazioni sulla Repubblica, il divorzio o l’aborto. Detto questo, ogni iscritto Cisl farà le sue considerazioni, deciderà se e come andare a votare, esercitando la propria libertà.
Però un’opinione sul merito ve la sarete fatta. Sulla gestione dell’acqua ad esempio c’è chi sostiene che si privatizza l’accesso a un bene pubblico...
È incredibile come questa questione venga distorta, falsato il merito della consultazione. Sembra che qualcuno voglia vendere l’acqua come Totò la Fontana di Trevi... L’acqua è demanio pubblico e nessuno può né vuole venderla ai privati, non è in pericolo il servizio universale per i cittadini.
Insomma, la gestione da parte delle aziende private non vi spaventa?
Al contrario, sono le benvenute. In alcuni casi rappresentano l’unica garanzia per una maggiore efficienza, per un po’ di concorrenza e per avere tariffe adeguate per famiglie e imprese. Con le dovute eccezioni, le municipalizzate sono spesso preda del clientelismo politico, scontano costi di gestione molto più elevati rispetto ai benefici offerti ai cittadini e la loro trasparenza è inferiore a quella che richiederemmo a delle imprese private. Basti pensare che per avere 100 litri d’acqua disponibili al rubinetto occorre immetterne 153 nella rete idrica, perché mediamente un terzo finisce disperso a causa dei deficit della rete sulla quale non si investe, anche per mancanza di risorse. Ecco allora che servono investimenti anche privati, gestione imprenditoriale, concorrenza fra diversi soggetti ed economie di scala con imprese più grandi e visioni meno particolaristiche.
Non c’è il rischio di speculazioni da parte dei privati, di aumenti ingiustificati delle tariffe, senza che i cittadini possano dire la loro?
Il sistema rimane in concessione, quindi è sempre il pubblico a dettare le regole, a impostare le gare per le imprese. Al contrario penso che così aumenteranno i controlli. Poi noi siamo pronti a impegnarci per costruire un sistema duale, con un consiglio di sorveglianza nel quale possano stare enti locali, rappresentanti dei lavoratori, e magari dei consumatori, con funzioni di indirizzo e controllo rispetto al consiglio d’amministrazione delle società di gestione.
Sul nucleare peserà soprattutto il disastro di Fukushima...
E invece dovremmo fare una valutazione razionale. E renderci conto che un Paese industrializzato come il nostro ha assoluto bisogno, per restare competitivo, di energia elettrica a basso costo. Quella che all’estero è garantita dal nucleare. Solo da noi c’è una così forte dipendenza dagli idrocarburi. Nonostante 25 anni di fiera opposizione al nucleare, infatti, non è stato sviluppato il ricorso alle fonti alternative. Perché? Io credo che ci siano enormi interessi intorno al monopolio di gas e petrolio che l’hanno impedito. Con la "complicità" anche di quegli ambientalisti a cui non va bene nulla: né il carbone pulito di Porto Tolle, né i rigassificatori, né le pale eoliche che rovinano il paesaggio. Perché non si discute mai seriamente del piano energetico nazionale?
Però, segretario, non negherà che il nucleare spaventa, i timori sulla sicurezza non sono infondati.
Per carità, la cautela è d’obbligo. Ma quando ragioniamo di sicurezza dobbiamo farlo a tutto tondo: qual è la sicurezza che l’attuale sistema basato sul petrolio ci assicura in termini di dipendenza dall’estero, di alti costi per le aziende e i cittadini, di inquinamento durante le fasi di lavorazione e poi di consumo?
C’è infine la questione più politica del legittimo impedimento. Cosa ne pensa?
Mi limito ad osservare che in passato c’è stata probabilmente una improvvida forzatura quando si decise la cancellazione dell’immunità parlamentare. E ad ogni forzatura purtroppo ne segue una opposta e più forte. Preferirei comunque che fosse il Parlamento a esaminare con serenità tali questioni con garanzie per tutti.
Eppure la Cgil chiede un voto per «dare la spallata decisiva al governo».
Un errore grave da parte di un sindacato. Sono assai scontento di come il governo sta agendo, ma esercito il mio ruolo di sindacalista continuando a ricercare il confronto per risolvere i problemi di lavoratori e cittadini. Non cerco spallate improprie. Sostituirsi ai partiti di opposizione o adulterare caratteri e funzioni del sindacato fa solo male alla democrazia e alla stessa rappresentanza sociale.
Ma lei pensa che, se si raggiungerà il quorum e se vinceranno i sì, il governo entrerà effettivamente in crisi?
In verità non penso che dipenda dall’esito di questi referendum. La crisi ci sarà se i partiti della maggioranza valuteranno che conviene loro concludere l’esperienza di governo. I nodi sono tutti interni alla maggioranza. Spero solo che ci vengano risparmiati i soliti teatrini. Sempre più costosi per il Paese.
Francesco Riccardi
AVVENIRE.IT
06 giugno, 2011
Acqua privata, il caso Toscana La Regione: "Azionariato popolare"
La Toscana, accade spesso, è uno spartiacque per comprendere se l'acqua che beviamo (la sua depurazione, i lavori sugli invasi, la gestione delle fogne) deve essere pubblica, privata, in mano a consorzi misti. Prima del 1994, quando fu varata la legge Galli che consentì alle società per azioni di entrare nella gestione del servizio idrico (lo Stato e i Comuni non avevano abbastanza soldi per la manutenzione e lo sviluppo delle rete), in Toscana c'erano oltre duecento gestori, perlopiù comuni. Dopo il '94, i gestori sono diventati sette per sei ambiti territoriali: sono entrati Acea, Monte dei Paschi, Lyoneaise des Eaux, Amga e poi Publiacqua, L'acquedotto del Fiore, la Geal. I nuovi consorzi hanno tutti la maggioranza pubblica e una forte partecipazione (tra il 40 e il 48%) privata. La Cgil, oggi, fa il sommario di 17 anni di privatizzazione: "La Toscana è stata la prima regione in Italia per costo delle bollette, con l'arrivo dei privati i servizi non sono migliorati, le tariffe sono aumentate, gli investimenti non ci sono stati. Il cittadino ci ha rimesso". Bisogna aggiungere che la perdita della rete è scesa dal 40 per cento al 28 è che oggi sette toscani su dieci (mezzo milione in più) bevono l'acqua che scende dal rubinetto.
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04 giugno, 2011
Pensioni, salasso per le ricongiunzioni A rischio l'accordo su esuberi Telecom
La situazione riguarda i dipendenti che hanno lavorato in aziende che fanno capo a istituti previdenziali diversi dall'Inps. L'adeguamento dei contributi arriva a costare anche 300 mila euro. Una proposta di legge bipartisan e un tavolo negoziale al ministero del Lavoro
MILANO - Versare 40 anni di contributi e dover pagare ancora decine di migliaia di euro per poter andare in pensione. E' quanto succede ai dipendenti che hanno lavorato in aziende che fanno capo a istituti diversi come l'Inpdap per i dipendenti pubblici, il Fondo elettrici o il Fondo telefonici, senza aver raggiunto in nessuno dei singoli enti gli anni necessari per il pensionamento. La manovra dello scorso luglio, infatti, ha reso oneroso il ricongiunzione dei contributi presso l'Inps, che arriva a costare anche 300 mila euro.
A riportare la questione d'attualità è una proposta di legge bipartisan che parte dai testi dei deputati Maria Luisa Gnecchi (Pd) e Giuliano Cazzola (Pdl) e il tavolo annunciato dal ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. Si supererebbe così il provvedimento nato per impedire che le dipendenti pubbliche potessero spostare gratis i loro contributi dall'Inpdap all'Inps in modo da evitare il'innalzamento dell'età pensionabile.
Tra i più colpiti dalla norma ci sono molti addetti del settore elettrico e telefonico. In assenza di modifiche, potrebbe essere a rischio l'attuazione di accordi sugli esuberi come quello di Telecom Italia, che prevede 3.900 esuberi.
REPUBBLICA.IT