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di Franco Carlini
26/07/2007
Quel che accade a Telecom Italia: Ruggiero e Buora sono prodighi in dichiarazioni. Ma non rispondono a due quesiti fondamentali: quale pezzo della rete fissa scorporare? E che ne sarà delle Next generation network? Le soluzioni sono ancora lontane.
Slitta, eccome se slitta, il passaggio del controllo di Telecom Italia da Olimpia alla nuova telco fatta da banche e Telefònica spagnola. Se ne parlerà forse a fine agosto. Il che continua a tenere congelata nel freezer la più grande impresa italiana di telecomunicazioni. Particolarmente dannosi sono i rumors che danno per certo il cambiamento totale dei tre uomini oggi al vertice: il presidente Pasquale Pistorio, il vicepresidente esecutivo Carlo Buora, l'amministratore delegato Riccardo Ruggiero.
In questa situazione non è casuale che Buora e Ruggiero, in due giorni consecutivi, abbiano voluto prendere la parola in pubblico, il primo con un'intervista al Sole 24 ore di mercoledì 25, il secondo nel corso di un incontro telefonico con gli analisti. Con questi due interventi i due dicono "ci siamo, lavoriamo tranquilli per il bene dell'azienda". Peccato però che sulla questione delle questioni, ovvero sulla regolazione della rete fissa esprimano punti di vista dissonanti – non necessariamente antagonisti, ma certo con sfumature diverse.
La questione è quella della rete fissa di TI e della sua apertura alla concorrenza. Tema su cui tutti i soggetti interessati sono stati chiamati a esprimere la loro opinione nella consultazione pubblica realizzata dall'Autorità per le Comunicazioni, la quale farà conoscere, nei mesi a venire, le sue decisioni. In concreto sono possibili tre opzioni: lo scorporo funzionale, lo scorporo societario, oppure lasciare tutto così com'è.
Nel primo caso, che si ispira, magari con varianti, al modello inglese OpenReach, la rete fissa resta di proprietà dell'ex monopolista, ma viene gestita da una divisione completamente separata, la quale fattura i servizi sia a TI che a tutti gli altri che vogliano usare quella infrastruttura. Nel secondo caso c'è un passaggio di proprietà di tali assets a una società nuova (di cui TI potrebbe essere socia, insieme ad altri soggetti privati, ma eventualmente anche pubblici). In entrambi i casi TI chiede di avere a quel punto le mani libere nelle sue offerte ai consumatori; sarebbe infatti un soggetto di mercato come gli altri, e sullo stesso piano degli altri e dunque chiede di non dover sottoporre all'Autorità le sue proposte commerciali per un'autorizzazione preventiva; oggi invece deve farlo, dimostrando che quanto essa offre sia replicabile anche dai concorrenti.
Buora sembra incline alla prima opzione, mentre Ruggiero si è spinto più oltre, dicendo di "non avere mai escluso a priori anche una separazione strutturale e magari la cessione di una quota minoritaria" (della rete). Ha anche esplicitamente quantificato ciò che da tempo i manager di TI vanno dicendo: il valore del pezzo finale della rete – il cosiddetto "ultimo miglio" – è attorno ai 15-18 miliardi di euro.
Va detto che restano non affrontati, né dal governo, né dall'Autorità, né dai molti commentatori due problemi. Il primo è quale pezzo della rete fissa sia utile scorporare (per l'economia, la concorrenza e i consumatori). Solo il tratto finale o risalire anche a monte, fino alle centrali di smistamento? E se si tratta solo dell'ultimo pezzo, non resterebbero allora nel pieno controllo da "incumbent" di TI degli elementi strategici e non replicabili? La risposta non è chiara, ma il tema dovrebbe essere affrontato più esplicitamente da tutte le parti in causa.
Il secondo problema, al primo collegato, ha a che fare con gli investimenti futuri. Di solito vanno sotto il nome di Ngn, Next generation network e si riferiscono alla completa trasformazione della rete in digitale con la fibra ottica. La quale fibra arriverà solo agli armadi di strada (e poi via con il cavo di rame), fino ai palazzi (Fttb, fiber to the building) o fino agli appartamenti (Ftth, fiber to the home). Le prestazioni variano sensibilmente e con esse anche i costi.
E qui c'è il vero problema irrisolto, che probabilmente sta sotto alle due diverse sfumature di Buora e Ruggiero: quella nuova rete chiede investimenti aggiuntivi, che TI non potrà fare da sola. Il ministro Bersani ha già accennato alla possibilità di accedere a fondi europei per il digital divide, e in ogni caso questi investimenti – sembra suggerire Ruggiero – sarebbero più facilmente sostenibili da una società nuova, cui TI si candida a partecipare portando in dote una quota.
Come che sia, la soluzione di tutti questi problemi è lontana, roba di molti mesi, accumulando l'Italia un grande ritardo. E tra le due formule – funzionale o strutturale – potrebbe riemergere la terza soluzione, tutto come prima con ritocchi. Anche i concorrenti infatti mentre alzano fuochi di sbarramento contro TI non sembrano davvero molto interessati allo scorporo, specialmente se esso trascinasse per loro nuovi impegni di investimento. Alcuni di loro sembrano semmai agitarlo come pretesto grazie al quale strappare all'Agcom e a TI condizioni per loro più favorevoli all'interno delle regole attuali.