17 marzo, 2011

LA GRANDE RAPINA DEL TFR: IL PARLAMENTO TACE SUI 15 MILIARDI USATI DAL TESORO

di Salvatore Cannavò

L’ indagine della Corte dei Conti con cui è stato scoperto“l’esproprio” ai danni dei Tfr dei lavoratori passa sotto silenzio in Parlamento. Le opposizioni sembrano rassegnate ai meccanismi di “finanza creativa ” del ministro dell’Econo mia Giulio Tremonti, anche se I trucchi vengono scoperti e denunciati, come ha fatto la Corte dei Conti con la sua relazionealle Camere.

PER I MAGISTRATI contabili quella effettuata dal governo è “un’operazione di natura espropriativa senza indennizzo o comunque di prelievo fiscale indiretto nei confronti di categorie interessate a versamenti finalizzati a scopi ben diversi dal sostegno alla finanza pubblica”.
Con la legge finanziaria del 2007 approvata dal governo Prodi fu deciso che le aziende sopra i 50 dipendenti, i quali avessero deciso, alla data del 30 giugno 2007, di non destinare alla previdenza complementare il proprio tfr avrebbero dovuto versare quei fondi all’Inps in un conto a disposizione del Tesoro per interventi infrastrutturali e investimenti pubblici.
La Corte dei conti ha invece scoperto che quel fondo è stato utilizzato per spese improprie: ammortamento mutui per gli enti locali, gratuità dei libri di testo, lavoratori socialmente utili nel comune diNapoli.
Fondi considerevoli: nel 2009 il tfr annuo dei lavoratori dipendenti italiani ha superato i 20 miliardi di euro di cui 5,9 versati al fondo tesoreria dell’Inps, 5,1 miliardi alla previdenza complementare mentre 12,7 miliardi sono rimasti nelle casse delle imprese (quelle sotto i 50 dipendenti non sono obbligate a versarlo all’Inps).
Finora il Tesoro ha prevelato 15,6 miliardi da un Fondo istituito solo quattro anni fa che dunque è stato quasi svuotato.

PRESENTEREMO un'interrogazione parlamentare per sapere quale fondo verrà utilizzato per restituire questi soldi ai lavoratori”, dice al Fatto Antonio Borghesi, vicepresidente del Gruppo alla Camera dell'Italia dei Valori.
Il Tesoro, rispondendo alle osservazioni della Corte dei Conti, ha affermato che non c'è “alcun nocumento” per i lavoratori perché l'afflusso costante di nuove risorse, prelevate sempre dai Tfr, garantirà il pagamento delle liquidazioni in uscita a chi andrà in pensione.
“Il ragionamento del ministero non convince – spiega Borghesi – perché il tasso di sostituzione [cioè la differenza tra quanto versato e quanto prevelato, ndr.] è negativo”.
La trattenuta del tfr, infatti, si rivaluta annualmente secondo un tasso stabilito per legge e quindi alla fine l'importo è più alto.
Più distaccata è la reazione del Pd. Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro (quando fu approvato quel provvedimento), ricorda che più che procurare risorse per la finanza pubblica il suo impegno si concentrò per far decollare la previdenza integrativa.
“Il trasferimento del tfr all'Inps non mi entusiasmò ma almeno fissammo indicazioni tassative per il suo impiego”. Se Tremonti ha potuto aggirare tranquillamente quelle regole, però, vuole dire che così tassative non erano. “Ma questo governo è un maestro di finanza creativa ” dice Damiano ricordando che, per finanziare la Cassa integrazione in deroga, sono stati utilizzati i fondi per le aree sottoutilizzate e il Fondo sociale europeo. “Oppure il fondo per I malati oncologici per finanziare le quote latte”. Però il Pd non chiede conto al governo dell’ “esproprio” nonostante la Corte dei Conti avverta che allo scadere dei 10 anni dall'introduzione del nuovo meccanismo, il prelievo improprio “arriverà a 30 miliardi”.

IL PARADOSSO è che “l'e sproprio” è avvenuto carpendo la fiducia dei lavoratori e la diffidenza nei verso i fondi pensioni integrativi. I lavoratori nel 2007 si sono fidati dell’azienda chiedendo che il loro tfr restasse a portata di mano. Oggi vedono i loro soldi utilizzati soprattutto per interventi tampone.
Senza sapere se e come torneranno indietro.

Il Fattoquotidianoi 17 marzo pag.17

LA RIFORMA un mezzo flop i fondi integrativi

La Finanziaria 2007 (governo Prodi), aveva imposto alle aziende con più di 50 dipendenti di trasferire il Trattamento di fine rapporto (Tfr) dei lavoratori “inoptato”, cioè non destinato alla previdenza integrativa, presso l'Inps a sua volta incaricato di girarlo al Tesoro per spese infrastrutturali.
Nelle imprese più piccole, invece, questi fondi restavano in azienda. Valeva la regola del “ silenzio-assenso”: chi non avesse espresso la volontà di mantenere il fondo in azienda lo avrebbero visto versato nel fondo complementare eventualmente istituito dai contratti nazionali. Ci fu una campagna massiccia per convincere i lavoratori a dare libero corso alla previdenza complementare, benedetta dai principali sindacati.
Nel luglio del 2007, però, un sondaggio Eurisko rivelò che le pressioni sui lavoratori erano servite a poco. Solo un lavoratore su quattro, a sei mesi dall'approvazione del provvedimento, aveva optato per un fondo pensione. Anche contando le adesioni ottenute con il silenzio-assenso, non si arrivò alla metà delle sottoscrizioni. Nelle aziende con meno di 50 dipendenti – la stragrande maggioranza – il 75 per cento dei lavoratori scelse di lasciare il Tfr in azienda.
In quelle con più di 50 dipendenti il 47,7 per cento lasciò il Tfr in azienda (che quindi lo girò al conto tesoreria presso l'Inps) mentre il 10 per cento lo destinò a un Fondo pensione. Circa il 40 per cento non operò nessuna scelta e, quindi, per effetto del silenzio-assenso vide la propria liquidazione andare in un fondo pensione. Secondo la Cgia di Mestre circa 16,5 milioni di lavoratori (76,6 per cento) hanno scelto di mantenere il Tfr in azienda. Scelta saggia visto che, per le rivalutazioni automatiche, questi capitali hanno avuto negli ultimi due anni un rendimento del 4,7 per cento mentre i fondi pensione negoziali solo dell'1,7(mentre telemaco ha superato il TFR). Quelli aperti sono andati in rosso.
Sal. Can.

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