14 gennaio, 2008

Telecom, cura Bernabè la rete sarà separata e sbarcherà in Borsa

IL PERSONAGGIO / E’ PROBABILMENTE QUESTA LA STRATEGIA DEL NUOVO AMMINISTRATORE DELEGATO: SVOLTA DECISA CON IL PASSATO E SOLUZIONE UNICA PER DEBITI, RISORSE E INVESTIMENTI

STEFANO CARLI


Scorporo della rete entro l’anno. Anzi, se nulla dovesse mettersi di traverso, addirittura entro l’estate. Ma non solo uno scorporo operativo: più probabilmente ancora, una vera e propria separazione societaria. Potrebbe essere questa la svolta che Franco Bernabè sta preparando per imprimere decisamente un segno di novità e di cambiamento radicale rispetto alla gestione Tronchetti del gigante telefonico italiano. E’ questa l’ipotesi di cui si parla tra analisti, manager e addetti ai lavori delle tlc italiane. Il livello dell’ufficialità è ovviamente per ora molto più che scarno. Di sicuro c’è solo che attorno a questo schema di lavoro Bernabè è attivo in prima persona e direttamente con i suoi direttori generali.
Sul come e perché starebbe maturando questa svolta il consenso è abbastanza ampio e omogeneo. Sarebbe frutto di un ragionamento che, nei punti principali, funzionerebbe più o meno così.
1) La Telecom di Bernabè eredita da Tronchetti grosso modo tre grossi handicap: quasi 38 miliardi di debiti; un tasso di internazionalizzazione molto basso rispetto ai suoi concorrenti; rapporti deteriorati da un troppo alto livello di conflittualità con le Autorità di mercato, AgCom e Antitrust.
2) Lo scorporo della rete, anche in virtù dei pessimi rapporti con le Authority e viste le esplicite prese di posizione dell’AgCom in favore della separazione, sembra ineluttabile e la si può al massimo dilazionare, con vantaggi esigui e di breve durata e al prezzo di mantenere il gruppo nella stessa incertezza strategica dell’èra Pirelli.
3) Giocare d’anticipo e scegliere autonomamente di separare la rete risolve una prima metà del problema (è lo stesso ragionamento fatto un anno fa in Gran Bretagna da Bt), rasserena i rapporti con le Autorità (e anche con la politica), taglia drasticamente i contenziosi (che costano) e dà una prima correzione sostanziale all’immagine esterna del gruppo
4) Andare anche oltre Bt (la cui OpenReach è alla fine solo una divisione del gruppo, anche se con una sua specifica governance) e creare una società separata da portare rapidamente in Borsa, risolverebbe anche l’altra metà del problema: abbatterebbe i debiti e ridarebbe al gruppo i margini per riprendere quella campagna di acquisizioni internazionali il cui annuncio è stato il primo segnale di novità che Bernabè ha voluto lanciare ai mercati al momento del suo insediamento.
Può sembrare contraddittorio che proprio dopo quell’annuncio, che Telecom deve pensare più a comprare che a vendere, la prima notizia di un’operazione sia ancora una dismissione. Il gruppo ha infatti appena dato mandato alla banca d’affari Calyon, del gruppo Credit Agricole, di raccogliere offerte per Alice France, la sua filiale transalpina che ha oltre 800 mila abbonati a banda larga ma è in perdita e senza prospettive di crescita. Ma è una contraddizione solo apparente. Anzi, è una conferma. Perché dice che in Europa il processo di consolidamento delle telecom è in atto: ci sono realtà in movimento, società in vendita e si possono fare dei buoni affari. A saper scegliere e soprattutto ad avere soldi.
Proprio per questo Bernabè ha fretta. La vendita di Alice France è una mossa obbligata. Il mercato francese è in questo momento il più difficile d’Europa perché lavora a prezzi bassissimi e a margini minimi. Ma vendendo ora il gruppo può far cassa per circa 600650 milioni di euro. E per la prima volta sarebbero soldi che non andranno a ridurre il debito ma a finanziare la crescita. Sono risorse che possono dare il via alla nuova campagna di espansione di Telecom. A dare il via, appunto, ma non a portare avanti. Per quello serve ben altro.
Ma Bernabè ha già fatto vedere, in questi primi 50 giorni da numero uno di Telecom, che sta cercando di muoversi su un sentiero molto stretto: deve fare in fretta ed essere molto prudente al tempo stesso.
Lo prova il fatto che ha finora portato con sé solo due manager: Oscar Cicchetti e Luca Tommasini. Conosce troppo bene il gruppo per azzardare mosse affrettate. Conosce ancora meglio il funzionamento delle grandi organizzazioni per sapere quanto sia difficile integrare le culture manageriali. E Telecom Italia di culture manageriali ne ha dovute assorbire più di una in pochi anni e non le ha ancora digerite bene tutte. Sulla vecchia cultura Stet, dell’epoca delle Partecipazioni Statali, forse non rigorosa nella gestione ma preparatissima nella parte tecnologica ha subito prima l’impatto della privatizzazione, poi l’arrivo dei famosi ‘Ruggiero Boys’. Un gruppo di una cinquantina di persone importate in blocco dalla Infostrada olivettiana orientato più al marketing che alla tecnologia, e insediato ai vertici della società, con cui non ha però mai avuto una forte integrazione. Su questa situazione un po’ mal digerita si è poi abbattuto il ciclone Pirelli, con i suoi uomini d’ordine che ragionavano solo in termini di parametri finanziari e di trimestrali, più attenti alle oscillazioni del titolo che al funzionamento dei prodotti. E proprio dai prodotti e dal mercato interno Bernabè si attende i risultati più consistenti in questo primo periodo, la capacità di difendere e anche far crescere la redditività mentre la quota di mercato tenderà inesorabilmente a calare. Poi si tratta di decidere le nuove strategie estere. Ma quale estero?
Il Sud America non sembra poter offrire più dell’esistente. Il Brasile per un paio d’anni può solo pensare a consolidare la sua quota di mercato e a navigare a vista con la madre di tutti i problemi di casa Telco: il fatto di avere come primo concorrente proprio il suo stesso maggiore azionista, Telefonica. L’Argentina in compenso sembra aver ripreso la strada della crescita.
In Europa, dalla Francia non si poteva che uscire. Cosa resta? Come prima cosa la Germania. Il mercato tedesco è ancora indietro nel consolidamento e offre ancora buoni margini. E in Germania Telecom è ben posizionata: Alice Germany ha oltre 2 milioni di utenti a banda larga ed è il secondo Internet provider tedesco. C’è allora da farsi trovar pronti nel momento in cui anche in questo mercato ci saranno buone medie società in vendita. E poi guardare verso est, ma più restando in Europa che spingendosi fino in Asia.
Per arrivare a questo obiettivo, e arrivarci presto, gli ostacoli da superare sono parecchi. Ma il primo e decisivo è nel consiglio di amministrazione. La separazione della rete non piace a Telefonica. Più per timore degli inevitabili riflessi che la decisione italiana avrebbe sul mercato domestico spagnolo, che non per considerazioni legate a Telecom Italia. Anche se c’è chi ipotizza, con un po’ di fantapolitica, che Telefonica potrebbe anche acconsentire, se questa mossa, una volta messa in salvo la rete in ‘mani italiane’ (anche se nessuno pensa più alla Cassa Depositi e Prestiti) fosse il via libera ad una più completa e definitiva presa di controllo di Telecom, con una quota ben oltre il 10% e fuori dai patti di Telco. Ma qui siamo alla speculazione pura.
Che Telefonica sia tiepida sul tema è comunque un fatto. Ma anche gli spagnoli sono coscienti che con tutto questo debito Telecom è una preda scalabile da chiunque abbia sufficienti risorse per fare l’offerta prima e spezzettare e vendere il tutto dopo, Non è certo operazione da questi tempi, visto lo stato di salute delle grandi banche. Ma tra un anno, passate le tempeste finanziaria e dei listini, e stabilizzati i tassi a qualcuno potrebbe sempre venire in mente. E allora tanto vale fare la mossa da soli e subito.
Se Telefonica leverà il veto, l’obiettivo della separazione societaria in sei mesi è fattibile: Idem la Borsa entro fine anno. Ci saranno le difficoltà delle tecnicalità, ma non sono insuperabili.
Quanto può valere una ipotetica Telecom Network? Tra le banche d’affari londinesi girano tre progetti, che ipotizzano da un minimo di 10 ad un massimo di 30 miliardi di euro. Dipende da che cosa ci va dentro: se solo la rete fissa o anche la mobile. E da come si valutano i diversi pezzi di asset: i cavi, le centrali, i server.
Ad ipotizzare così, a spanne, una prima idea di come potrebbe funzionare il tutto, si può immaginare un asset valutato sui 16<\->18 miliardi, compresi però circa 7<\->8 miliardi di debiti. Quotando in Borsa una società con un patrimonio netto di 10 miliardi e cedendone anche il 49% , Telecom si troverebbe ad avere un «suo» debito netto abbattuto a poco sopra i 20 miliardi. Senza contare che nella società della rete potrebbero finire tra 15 e 25 mila degli attuali 80 mila dipendenti. E infine un drastico taglio al livello di investimenti sul mercato domestico perché la realizzazione delle reti di nuova generazione in fibra ottica resterebbero in capo alla Rete: la società sarebbe a quel punto una pura utility, ossia quel tipo di società che molto piace ai grandi investitori istituzionali perché meglio di tutte regge alle tempeste di Borsa. Anche molto meglio delle media company sognate da Tronchetti.

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