10 maggio, 2006

L'odissea degli over 45, il posto diventa una chimera


DA http://lavoro.repubblica.it/lavoro/index.jsp?s=notizie&idContent=1645374

La generazione dei baby boomers impigliata nella trappola dell'età. Discriminati ai colloqui di lavoro. Tra i primi a essere messi alla porta dalle aziende. Nei paesi Ocse il tasso di assunzione di operai e manager "maturi" non raggiunge la metà di quello dei loro colleghi più giovani. In Italia solo un’offerta di lavoro su dieci è per chi ha più di 45 anni. L’ESPERTA: “le aziende guardino alle competenze”. RICERCHE PERSONALE: l'età nelle offerte di lavoro e per area funzionale. ESPERIENZA RICHIESTA: meglio sotto i 5 anni

di FEDERICO PACE

Talenti delusi e abbandonati. Gli over 45, quando si tratta di lavoro, camminano su di un esile filo per colpa dello stereotipo che fa ritenere l’età come indicatore delle loro qualità. Basta un soffio per farli cadere. La generazione dei baby boomers è la prima a essere "tagliata" e l'ultima ad essere assunta. A essere coinvolti sono tutti. Dai dirigenti e quadri del marketing alle figure con poche qualifiche. Tutti comunque impacchettati dal cliché dell’età e spediti lontani dagli uffici e dalle fabbriche.

Nella media dei paesi Ocse il tasso di nuovi assunti relativo ai cinquantenni - secondo il rapporto “Live longer, work longer” - non raggiunge nemmeno la metà del tasso di assunzione dei loro colleghi più giovani. Senza dire che la gran parte di chi perde lavoro incontra molte difficoltà a rientrare sul mercato. E in Italia le cose, se possibile, vanno ancora peggio. Siamo, dati Ocse, il paese con il più basso tasso di assunzioni per gli over 50 (solo il 4 per cento) insieme ai Paesi Bassi, Belgio e Portogallo. In Italia sarebbero più di 700 mila quelli che non riescono a rientrare nel mercato del lavoro. Ma non solo over 45. Già superare i 35 anni vuol dire uscire dal bacino di candidati "favoriti" dalle aziende. Nel 2005, dati Unioncamere, le assunzioni che riguardano gli over 35 sono solo il 10,6 per cento mentre il 24,5 % coinvolge i 25-29 enni; il 16,4% gli under 24 e il 13,5% quelli tra 30 e 34 anni.

Secondo l’indagine del Laboratorio Armonia - pubblicata nel nuovo libro “Over 45. Quanto conta l’età nel mondo del lavoro” a cura di M. Cristina Bombelli e Enrico Finzi – negli annunci dove viene indicata l’età richiesta solo il 10 per cento riguarda professionisti con più di 45 anni (vedi tabella). Senza contare che l’88,6% delle offerte è indirizzata a figure con meno di cinque anni di esperienza di lavoro (vedi tabella). Se si guarda alle aree funzionali ci si accorge che è nella produzione dove la “discriminazione” è meno accentuata (vedi tabella).

I luoghi del lavoro sono una specie di “serra artificiale" dove i pregiudizi crescono meglio e più tenacemente che altrove. I giovani vengono ritenuti sempre poco maturi, le donne poco adatte ai posti di comando e i lavoratori avanti con l'età guardati con scetticismo come poco flessibili, privi di motivazioni e poco adatti ad assorbire le nuove idee. A rendere ancora più paradossale il fenomeno è che le generazioni coinvolte per lo più sono preparate, appassionate e si identificano con l’impiego che svolgono.

“Queste persone si sentono come sedotte e abbandonate – ci dice Maria Grazia Bombelli responsabile del Laboratorio Armonia SDA Bocconi (leggi intervista integrale) -. Uno studia, ha voglia di fare delle cose e poi si confronta con un sottoutilizzo delle persone. Le aziende sono schizofreniche. Fanno molte dichiarazioni sull’importanza delle risorse umane ma poi quando si trovano a fare delle ristrutturazioni dicono che purtroppo le priorità spettano alle cosiddette ‘cose serie’. Queste ‘cose serie’ però appaiono troppo spesso.”

Ristrutturazioni, fusioni, acquisizioni. Cose di tutti i giorni ormai. Secondo l’indagine realizzata da Gidp e Talent Manager nel periodo compreso tra il 2003 e il 2005 il 60 per cento delle imprese ha vissuto dei processi di riorganizzazione o ristrutturazione che hanno comportato l'uscita di quadri e dirigenti (vedi tabella) con un’età superiore ai 45 anni. “Vendite e marketing sono le prime aree che in questi casi vengono messe in discussione – ci ha detto Paolo Citterio, presidente di Gidp (leggi intervista integrale). Va via il direttore amministrativo, il controllo, la finanza e il personale e anche il settore del marketing e delle vendite. Si “tagliano” purtroppo persone che sono state brave e che però non possono rimanere in azienda.”

I responsabili delle aziende fissano la soglia di “invecchiamento” di uomini e donne a 45 anni di età. Se non ancora prima. Paradossalmente più la società invecchia e più viene anticipato il limite in cui viene sottratta la consapevolezza di sé e il controllo del proprio percorso professionale. Si direbbe quasi che le aziende rappresentino l'ultimo terminale dove si riverberano le trasformazioni delle società. Mammiferi lentissimi a trasformarsi, sembrano capire poco di quello che accadrà nei prossimi anni.

Poca formazione. In Italia, dati Ocse, poco più del 5 per cento degli over 50 ha seguito corsi di formazione mentre accade lo stesso a più del 50 per cento degli svedesi, degli svizzeri e dei danesi. Solo ungheresi e portoghesi stanno peggio degli italiani.

Ma non solo. Poco potrà essere ottenuto senza una rete di servizi mirati. "C'è bisogno di servizi per l’impiego pubblici o privati – ci ha detto Maria Luisa Mirabile, responsabile Welfare e diritti di cittadinanza di Ires Cgil (leggi l’intervista integrale) -. Servizi più capaci di fare davvero bilanci di competenze e conoscere adeguatamente il territorio ed essere credibili nei confronti delle aziende. Ci vorrebbe un convincimento aziendale ad attingere da questi bacini."

Eppure se si facesse qualcosa di più per loro i vantaggi sarebbero misurabili anche in termini economici. Secondo il rapporto della Commissione europea “The business case for diversity: good practices in the workplace” buona parte delle aziende che praticano politiche a favore delle "diversità" vede migliorare anche i risultati economici.

Nel 2050, stime dell’Unione europea, il rapporto tra i 65enni e la popolazione attiva in Italia raggiungerà il 62,2 % (oggi è del 28,5%). I mutamenti dovranno probabilmente essere radicali e chiamano in causa il modo di pensare di ciascuno di noi. “Le nostre società, scrive Franck Schirrmacher giornalista della Frankfurter Allgemeine Zeitung e autore del saggio “Il complotto di Matusalemme”, non possono sopravvivere se gli anziani che deterranno in futuro la maggioranza numerica vengono accusati di essere fastidiosi, antiquati, smemorati.” Sta a ciascuno di noi combattere la discriminazione che, prima o poi, colpirà anche noi stessi.

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