17 dicembre, 2009

La battaglia di Bernabè per la rete Telecom


Cresce il pressing politico e degli interessi di
Berlusconi per lo scorporo della infrastruttura
Il rischio di un «esproprio» a favore dei soliti noti

Franco Bernabè mangia il panettone2009 alla guida di Telecom Italia. Ed è fiducioso di poter mangiare anche la colomba e il prossimo panettone. Considerati i guai dell’economia e le lotte di potere finanziario, mai sopite anzi semmai accentuate dalla crisi diffusa e dal fatto che soldi in giro non ce ne sono, quello dell’amministratore delegato di Telecom è un atto di coraggio. Soprattutto perchè chi lavora nel vasto mondo delle comunicazioni, dai telefoni a internet passando per tv e giornali, non sa bene cosa succederà domani. Siamo tutti, anche i poveri giornalisti, tra quelli che son sospesi.
Bernabè non ha mai avuto la fama di essere un’estremista o un radicale, è stato un perfetto manager delle partecipazioni statali, quando dopo Tangentopoli ripulì l’Eni e nessuno si ricordò che il manager di Vipiteno qualche ruolo nella costruzione di Enimont l’aveva pur avuto. Da poco più di un anno è tornato in Telecom, da cui era velocemente passato tra il 1999 e il 2000 prima che la sorprendente scalata dell’Olivetti gli impedisse di lasciare il segno sull’ex monopolista.
Un manager quando rientra in un’azienda dove ha già lavorato rischia «solo di combinare cazzate» comedisse una volta un filosofo dell’impresa come Franco Tatò, perché assomiglia a quegli allenatori di calcio che tornati alla guida della vecchia squadra pensano di sapere tutto, vogliono fare i fenomeni e alla fine falliscono. Ma chi è passato nell’ultimo decennio in Telecom è convinto in cuor suo di aver fatto bene e che avrebbe potuto far molto meglio se lo avessero lasciato lavorare.
Telecom è una malattia che ti resta attaccata perchè è una grande azienda, era una bella impresa pubblica che i privati non hanno saputo valorizzare. Telecom è una malattia che ha colpito Roberto Colaninno e Marco Tronchetti Provera, e ha contagiato Bernabè che vorrebbe far vedere quanto vale.
Le telecomunicazioni, e Telecom in particolare, hanno un sacco di problemi. Il principale è che nessuno sa bene cosa saranno tra cinque, dieci anni, come funzioneranno, chi le governerà, come sarà il mercato. Probabilmente tutto - voce, dati, informazioni, tv e quello che volete voi - passerà da Internet.
Bernabè deve guidare Telecom in questo contesto evolutivo. Che abbia le idee chiare o meno sul futuro lo si potrà verificare solo col tempo e lo sviluppo dell’azienda. Però l’amministratore delegato, già oggi, ha un grosso problema. Volente o nolente il suo ruolo sembra infastidire gli interessi di Silvio Berlusconi che, tra molte cose, è anche il proprietario delle maggiori tv commerciali e di un grande gruppo editoriale.
Da qualche settimana nel governo, nel mondo politico, sui giornali confindustriali, è partita una sarabanda attorno all’assetto proprietario, alla funzione, all’apertura delle rete di telecomunicazioni, una delle infrastrutture strategiche del paese.La rete Telecom, è ovvio, è di proprietà Telecom che l’ha creata e pagata. Oggi è uno dei cespiti che offre più garanzie alle istituzioni che devono finanziare il debito della società, attorno ai 33 miliardi di euro. Tuttavia è tanto importante che può essere utilizzata da tutti gli altri operatori di telecomunicazioni. In un passato recente si era anche discusso di un’alleanza tra Telecom e Mediaset, individuando nell’integrazione tra telecomunicazioni e tv una strada per creare un grande campione nazionale.
Una discussione del genere,però, è impraticabile perchè trovi Berlusconi, le sue aziende, i suoi interessi, da tutte le parti, in un gigantesco, irrisolto conflitto.
Adesso i predicatori del mercato, i liberisti della domenica, vorrebbero scorporare la rete da Telecom, quotarla in parte in Borsa, affidarla a un gruppo di soci guidato dalla Cassa Depositi Prestiti del placido Bassanini, con gli operatori di telefonia e tv, compresa Mediaset che avrebbe una quota minoritaria ma significativa.
L’ “esproprio” padronale sarebbe giustificato dal fatto che Telecom non investe sulla rete, e non è vero, e per favorire una maggiore competizione sul mercato. Lo scorporo della rete non è stata realizzata per nessun ex monopolista in Europa, nessuno la propone. In Italia, invece, sì.
Ci provò pure Prodi che, forse, sulle sue privatizzazioni potrebbe fare un bilancio storico.
Allora cosa c’è dietro l’angolo? Comesi spiega questa baraonda? Il problema è che anche i grandi network tv, soprattutto il modello di tv commerciale e generalista, hanno urgente bisogno di avere a disposizione una infrastruttura su cui veicolare nel prossimo futuro i loro programmi.
Potrebbero crearne una di nuova generazione (NGN), tirar fuori un po’ di soldi (8-9 miliardi di euro) e cercare altri soci. Ma vuoi mettere com’è comodo usare, conquistare la rete Telecom?
Aderire a questo piano sarebbe come perdere l’argenteria di casa, senza difendersi. Bernabè non ci sta, ma bisognerà sentire cosa dicono i suoi azionisti: Mediobanca, Generali, Intesa Sanpaolo e la spagnola Telefonica.
In particolare il presidente di Mediobanca, Cesare Geronzi, ritenuto da Berlusconi uno dei pochi banchieri affidabili in quanto «non comunista », avrebbe suggerito ai vertici Telecom di essere più aperti . Il pressing sarebbe più articolato e meno nobile:una riduzione delle già modeste ambizioni de La7, e magari la cessione della rete tv a una mano più amica, il ridimensionamento di trasmissioni pericolose (Lerner e la Gruber...pericolosi?), il mantenimento della direzione Piroso (casomai qualcuno avesse pensato di assumere il disoccupato di lusso Enrico Mentana).
La guerra della rete è difficile. Bernabè non è Biancaneve: è un uomo di potere, esperto di servizi segreti, dotato di un grande equilibrio, anche fisico. Lo scoprimmo sul floor di Wall Street, nel 2002, quando lo vedemmo ballare lo scatenato rock Johnny B.Goode in coppia con Lilli Gruber.
Ora l’equilibrionon basta: bisogna alzare le difese e muovere le colonne delle salmerie.

L’unita’ 17-12-2009 pag. 36/37

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