di Giorgio Meletti
Cinque anni fa ci aveva provato Guido Rossi, nel breve periodo in cui fu presidente di Telecom Italia prima che Marco Tronchetti Provera (che lo aveva scelto) lo cacciasse: l’avvocato d’affari milanese voleva tagliare drasticamente il dividendo del gruppo telefonico, per tenere in cascina I profitti e così ridurre il drammatico indebitamento, anziché dare quasi tutti gli utili ad azionisti affamati di cedole.
Stavolta il colpo è riuscito a Franco Bernabé, che ieri è riuscito a farsi approvare in consiglio d’amministrazione la riduzione da 1.200 a 900 milioni del dividendo per il 2011 (il titolo è salito del 6,8%). Si poteva anche decidere qualcosa di più severo: Telecom Italia da dieci anni è azzoppata da un debito pari al fatturato (entrambi sui 30 miliardi di euro), e si tratta dei debiti fatti in origine da Roberto Colaninno per la scalata del 1999, a cui si sono aggiunti quelli fatti dalla Pirelli di Marco Tronchetti Provera che rilevò il controllo nel 2001.
Adesso gli azionisti avidi di dividendi si chiamano Mediobanca, Intesa Sanpaolo e Assicurazioni Generali, oltre alla spagnola Telefonica. Nel 2007 hanno acquistato il pacchetto di controllo da Tronchetti pagando le azioni 2,8 euro. Oggi le stesse azioni valgono 0,86 euro: in pratica hanno pagato 8,4 miliardi il 22,4 per cento del capitale di Telecom Italia che oggi ne vale 2,5. Tutto questo perché c’era da difendere l’italianità di Telecom Italia, e anche da strapagare le azioni alla Pirelli che sennò avrebbe avuto seri problemi. E siccome Intesa Sanpaolo è “banca di sistema”, cioè risolve i problemi delle imprese amiche chiamandoli problemi del Paese, si mise mano al portafoglio.
La Telco, scatola societaria che custodisce il prezioso pacchetto, è però indebitata: a fronte di un valore delle azioni in portafoglio di 2,4 miliardi ha debiti per 3,4, in parte con gli stessi soci, in parte con altre banche. Su questi debiti paga interessi, per cui i dividendi servono a sostenere il costo del debito.
L’anno scorso Telecom ha pagato un dividendo di 0,056 euro per azione, e Telco ha incassato 170 milioni, mentre sul suo debito ha pagato interessi per 140 milioni.
Quest’anno la partita si ribalta. Bernabè aveva promesso fino a pochi mesi fa di portare il dividendo a 0,067, che avrebbe significato versare a Telco quei 200 milioni e spiccioli che sarebbero stati una mano santa. Invece, con l’avvitarsi della crisi economica, il manager ha capito che il mercato avrebbe castigato un’azienda così indebitata che però si svenava per finanziare i suoi azionisti di controllo.
Telecom, dopo la decisione di ieri, pagherà solo 0,042 euro per azione, che per Telco significa un cedolone di soli 125 miliardi. Troppo pochi: durante il 2012 vengono a scadenza i debiti con un pool di istituti guidato da Unicredit, e altre esposizioni di Telco che in tutto deve alle banche 2,1 miliardi, garantiti dalle stesse azioni Telecom date in garanzia .
Adesso le azioni Telecom valgono così poco che a malapena possono garantire 1,5 miliardi di debiti, che comunque saranno erogati dalle banche a tassi molto più alti di quelli attuali. In più c’è il prestito obbligazionario da 1,3 miliardi concesso a Telco dai suoi stessi azionisti: che dovrà presumibilmente crescere almeno fino a un paio di miliardi per compensare la riduzione del prestito bancario di cui sopra.
Nel complesso il costo del debito di Telco salirà sopra i 125 milioni di incasso previsto, e tenete conto che tutto si regge perché ancora Telco ha in bilancio le azioni Telecom al doppio del valore di Borsa, visto che finora si è sempre trovato il modo di non fare la svalutazione.
Insomma, per fare contenta la Pirelli e tutelare l’italianità di Telecom, Mediobanca e Intesa Sanpaolo hanno perso un sacco di soldi dei loro azionisti: alcuni miliardi. Finora ci hanno messo una pezza spolpando Telecom Italia.
Da domani si recita a soggetto.
Copiato da il FattoQuotidiano pag. 7 del 25 - 02
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