10 marzo, 2010

LA SCURE DEL GOVERNO SUI DIRITTI DEI LAVORATORI (ARTICOLO 18 COMPRESO)

In Parlamento si sta per consumare, nel silenzio generale, una vera e propria controriforma del diritto del lavoro, un attacco insidioso contro diritti che i lavoratori hanno conquistato in mezzo secolo di storia, compresa la tutela dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Il disegno di legge n. 1167-B, agli articoli 30, 31 e 32, introduce
delle modifiche che mirano a svuotare di significato le tutele dei lavoratori: il risultato sarà quello di lasciare il lavoratore ancora più solo nella "libera" dinamica dei rapporti di forza con il datore di lavoro, al quale viene attribuita mano libera rispetto a leggi e contratti collettivi.
La norma "manifesto" è il comma 9 dell'art. 31, dove si prevede la possibilità di privare il lavoratore della tutela giudiziaria, affidando le controversie non ai giudici, bensì ad arbitri. Questi ultimi potranno addirittura giudicare "secondo equità", che significa: secondo il loro buon senso, senza applicare le norme di legge e dei contratti collettivi. Questo vuol dire privare il lavoratore di garanzie certe e universali quali quelle date dai contratti nazionali e dalle leggi, minando anche la stessa la tutela dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Ma vi è di più: anche se un lavoratore dovesse riuscire ad andare davanti ad un giudice, quest'ultimo non potrà sindacare le scelte del datore di lavoro e dovrà tener conto dei concetti di giusta causa e di giustificato motivo di licenziamento che saranno dettati non più dalla legge e dalle norme costituzionali, bensì dalla contrattazione collettiva (anche separata) e, ancor peggio, dal contratto di lavoro
individuale stipulato all'atto dell'assunzione, qualora certificato da apposite commissioni (art. 30). E' evidente che in quest'ultimo caso, data la disparità contrattuale tra datore e lavoratore, il contratto certificato potrà benissimo sanzionare con il licenziamento anche una minima mancanza del lavoratore.
Vengono in questo modo letteralmente capovolti i fondamenti stessi del diritto del lavoro, nato per tutelare il contraente debole nel rapporto di lavoro.
Il disegno di legge contiene, inoltre, una ridefinizione dei termini per l'impugnazione dei licenziamenti, dei contratti di collaborazione, dei contratti a termine e dei trasferimenti che renderà assai difficile (se non impossibile) al lavoratore la tutela giurisdizionale dei propri diritti (art. 32).
Se a tutto ciò si aggiunge che, dopo la legge n. 69/2009, sarà possibile condannare il lavoratore alle spese di giudizio quando vorrà ricorrere al tribunale per fendere un suo diritto, appare ancor più urgente e necessaria una presa di posizione netta e precisa di fronte a questa serie di provvedimenti che minano alla radice l'ispirazione costituzionale del nostro diritto del lavoro. In questa lotta la CGIL sarà sempre in prima fila.

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