Bernabè
e Gamberale si contendono la nuova rete veloce.
Ecco
le pretese dell’uno e I progetti dell’altro
Di ALESSANDRO LONGO
E PAOLA PiLATi
Uno, pacato e duttile. L’altro, irruento e
legnoso. Entrambi ossi duri. Il presidente di Telecom Italia Franco Bernabè e l’amministratore
delegato del fondo F2i Vito Gamberale si sfidano sul fronte dell’unico grande
progetto infrastrutturale pensato per il paese: la banda ultra larga in fibra
ottica. Domani però potrebbero andare a braccetto. In mezzo c’è una
trattativa che vede loro come protagonisti, ma
molti player interessati, dagli operatori telefonici come Vodafone e Wind, ai
fornitori di materiali come la cinese Huawei o la Alcatel-Lucent. L’obiettivo finale
dei contendenti è infatti quello di trovare un accordo su un progetto unico di
sviluppo della nuova rete: la presenza di Telecom con il suo bacino
di clienti cambierebbe radicalmente le prospettive
di un investimento in una fibra nuova di zecca. Gli darebbe cioè una superiori. Senza, i guadagni ci
sarebbero, ma sarebbero inferiori. È per questo
che il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera ha pregato i due giocatori di trovare “una sinergia”, perché una concorrenza tra loro sarebbe uno spreco per tutti. Ed è per questo che Franco Bassanini, presidente della Cassa Depositi e Prestiti, che si è detta pronta a sostenere economicamente il progetto di Gamberale, azzarda una previsione: «Sono sicuro che si troverà un accordo». Eppure allo stato attuale le posizioni si presentano piuttosto divergenti. È diverso il territorio nel mirino ed è diverso l’investimento: Telecom Italia intende portare la fibra in 99 città entro il 2014 (a 7 milioni di famiglie), con un investimento di 3 miliardi in tre anni. F2i vuole andare in sole 30 città entro il 2015, con 4,5 miliardi di euro di investimento (facendo leva su Metroweb, che già ha gran parte della fibra milanese). Diversa, soprattutto, è la tecnologia: F2i spenderà di più (800-1.000 euro per famiglia coperta) perché utilizzerà una tecnologia più veloce: fibra ottica fino alle case. Telecom invece arriverà fino alle strade con la fibra ma manterrà il rame nell’ultimo tratto (spesa: 180 euro a famiglia). Diversa, infine, è la velocità promessa. Fino a 100 megabit quella prevista dal progetto di Bernabè e dell’amministratore delegato Marco Patuano, mille mega quelli possibili con la fibra (attraverso cui passa la luce, non l’elettricità) che intende posare Metroweb. Un salto notevole, in entrambi i casi, visto che oggi l’Adsl ha come limite
i 20 mega: si va da 5 a 50 volte di più.
«È assurdo investire in due modi diversi nelle stesse città: non c’è mercato sufficiente
per entrambi. È un grosso spreco di risorse che l’Italia non si può permettere»,
dice Francesco Sacco, dell’università Bocconi e tra i principali esperti di
banda larga in Italia. «L’idea di fare due investimenti nella stessa zona e zero
in altre non è un’idea brillante. Né noi né loro lo vogliamo», ha confermato Patuano.
Le distanze non sono dovute soltanto a
diverse strategie negoziali. Per Telecom un progetto stand alone deve essere
necessariamente prudente, visto il carico del debito che si porta dietro
(troppo alto in rapporto all’ebitda, cioè il margine operativo lordo: 2,7 volte
nel primo
trimestre 2012). E poiché la società
intende tagliare il debito di 5 miliardi, tra il 2011 e il 2013, non può certo
permettersi spese pazze. Ma gli uomini di Bernabè tirano in ballo anche
convenienze di mercato. Oggi l’Adsl a 20 mega sarebbe disponibile per 14
milioni di loro
clienti, ma gli abbonati non superano
i 400 mila, e altrettanti ne ha racimolati
l’unico operatore in fibra che è
Fastweb.
Insomma, si fa fatica a trovare chi
paghi il servizio. Quanti potrebbero apprezzare l’arrivo di Internet a cinque o
addirittura 50 volte tanto, anche se in grado di offire i mirabolanti futuri
servizi della tv on demand?
Per la Cdp che si è schierata al
fianco di F2i stanziando 500 milioni di euro per il suo progetto, la fibra
nelle case farà fare un salto di qualità all’intera nostra economia con una
visione di lungo termine. Con la nuova rete il sistema Italia avrebbe un aumento
del Pil del 3 per cento annuo fino al 2030 e un beneficio dai 4 ai 25 miliardi di
euro dal 2012 al 2030, secondo il rapporto“I costi del non fare” (presiedutoda
Andrea Gilardoni, della Bocconi).
Vanno poi sommati 838 miliardi
fatturati in Italia per i servizi evoluti che sfrutteranno la nuova rete. Parte
di questo si tradurrà in denaro per chi realizza la rete, parte per chi venderà
i servizi evoluti agli utenti, parte agli stessi utenti, che avranno i vantaggi
della concorrenza che si aprirà sulla fibra.
Eccoci a uno dei punti dolenti, la
concorrenza. Il progetto Telecom Italia, che costa meno perché passa per il
riammodernamento della sua rete in rame secondo una tecnologia chiamata
“vectoring”, secondo gli altri operatori taglia fuori la concorrenza. In che
cosa consiste il vectoring?
Così lo spiega il vicepresidente per
l’Europa occidentale del gigante cinese Huawei, Roberto Loiola: «Il vectoring aumenta
in maniera rapida la velocità: porta la fibra fino al cabinet, cioè all’armadio
di Telecom che sta sul marciapiede, all’interno del quale si installano nuove
tecnologie che eliminano i disturbi
della linea e aumentano la velocità del segnale fine a 80-100 megabit». Questa
nuova strada si presenta assai costosa per gli operatori: già oggi i
concorrenti (Wind e Vodafone in testa) sono costretti ad affittare il rame di
Telecom per raggiungere I propri clienti, pagando 10 euro al mese per cliente
alle casse del proprietario
della rete. Dove Telecom ha iniziato
a fare la fibra, quella cifra lievita fino a 115 euro al mese per cliente. È
per questo che Wind e Vodafone hanno già deciso di far migrare i propri clienti
di Milano dalla rete Telecom a quella di Metroweb, che nel capoluogo lombardo è
già molto
estesa. E trattano con Gamberale per
diventare suoi clienti anche in altre città, abbandonando Telecom man mano che si
sviluppa il piano alternativo.
Attenzione però che anche
F2i/Metroweb rischia di uscire con le ossa rotte da uno scontro frontale. E
quindi anche Gamberale ha interesse a trovare un accordo:
«Gli investitori del fondo vogliono partire
subito e rientrare dell’investimento. Ma sarà molto difficile se Telecom crea
una rete nelle stesse città», dice Cristoforo Morandini, di Between-Osservatorio
Banda Larga. Non solo: «La fibra rischia di subire la concorrenza del rame
nelle case che saranno coperte.
Alcune famiglie si accontenteranno di restare con
i vecchi servizi», aggiunge.
La soluzione passa attraverso una messa
in comune delle rete presente e di quella futura. «Costruire un patrimonio comune
su cui poi gli operatori si potranno scannare con le offerte», sintetizza vividamente
Stefano Parisse, direttore residential di Vodafone e ceo di TeleTu.
Da parte di Telecom, infatti, è ormai
caduto il “preambolo” basato su: “la rete è solo nostra e decidiamo noi come svilupparla”.
Ora se ne può discutere. Gamberale e Bassanini, dall’altro canto, sanno che non
potranno mai coprire tutto il mercato, ma solo le città dove c’è un’alta
domanda potenziale, e che una parte di rete in rame sarà sempre necessaria. Dunque
il dossier su cui si lavora prevede la separazione societaria della rete di
Telecom: centrali, cavidotti, cavi, da trasferire in una società a parte, in
cui far confluire anche la rete di Metroweb. Alcuni investitori, tra cui Cassa
e F2i, dovrebbero poi comprare quote di questa
società. E qui c’è l’ostacolo
principale su cui si sta consumando il braccio di ferro Bernabè-Gamberale: il
prezzo. Bernabè valuta la rete 15 miliardi di euro, chiedendo cioè 600 euro a
cliente.
Come si arriva a quella cifra? La
rete genera 2,5 miliardi di euro di ebitda l’anno. Come società separata,
andrebbe valutata come una utility, quindi dalle cinque alle sei volte
l’ebitda: 12,5-15 miliardi. Gamberale è disposto a dare la metà, 300 euro a
cliente. «Quello di Bernabè sarebbe quindi in teoria un prezzo giusto»,
commenta Morandini, «se ci riferissimo a una società che continuerà a fare
business nello stesso modo. Questa invece dovrà investire per creare una rete
del tutto nuova, destinata a soppiantare la vecchia
». Il rame, da cui ora Telecom fa I soldi,
avrà un valore decrescente.
Ma anche se dovessero accordarsi sul prezzo,
la governance sarà un altro paio di maniche. Sul “chi comanda?” Telecom non
vuole sentire ragioni: vuole la maggioranza e il potere. È difficile che
Gamberale possa accettare questa condizione. E non l’accettano gli altri
operatori, che sotto il tacco di Telecom non vogliono più stare. D’altro canto,
se i due non
si accordano è facile prevedere
quello che accadrà. Andranno avanti entrambi, separatamente: ma il raddoppio di
investimenti nelle stesse zone renderà più difficile
estendere la nuova rete nelle città meno
importanti. E il digital divide aumenterà
Siamo vincoli o separati?
Fare della
rete Telecom una società separata, aperta a una molteplicità di investitori:
sarebbe la prima volta in Europa. Ci sono però esempi che vi si avvicinano e
tra tutti spicca Open Reach, società separata da Bt nel Regno Unito. È
posseduta interamente da Bt, però. La rete banda larga fissa australiana è
stata invece resa completamente pubblica (Nbn Co). C’è poi l’esempio della
Francia, dove gli operatori collaborano per la copertura, in fibra ottica,
delle zone fuori Parigi.
L’Italia
è in ogni caso costretta a pensare a una soluzione di avanguardia-che passi da
uno sforzo comune per traghettarsi verso il futuro delle reti telefoniche. Per
vari motivi: è il solo paese evoluto a non avere una rete via cavo (alternativa
a quella in rame) e l’azienda ex monopolista ha un rapporto debito/ricavi molto
alto rispetto alla media degli altri operatori europei; né si può sperare in un
forte contributo finanziario da parte dello Stato. Siamo anche il solo Paese ad
aver creato una rete all’avanguardia (quella di Fastweb) oltre dieci anni fa
per poi dormire sugli allori: la copertura di nuove case con la banda
larghissima è bloccata da molto tempo. C’è anche un forte ritardo sull’uso
delle nuove tecnologie (gli italiani che navigano almeno una volta a settimana
sono il 50,7 per cento, contro la media europea del 67,5 per cento); la
speranza è che una nuova rete, inserita all’interno di un progetto paese
chiamato Agenda digitale (un pacchetto di norme a cui sta lavorando ora il
governo), possa sbloccare la situazione. Il governo è tra i soggetti che
collaborerà alla nuova rete: utilizzerà fondi europei per estenderla in alcune delle
zone non interessate dai piani degli operatori.
Alessandro Longo
L'espresso N. 128 pag 127