30 dicembre, 2009

BUON ANNO A TUTTI




CHIUDIAMO QUESTO 2009 CON L'EDITORIALE DEL CARDINALI SUL VERNACOLIERE, SI TRATTA DI SATIRA.......

Senza peli sulla lingua
Il folle e la storia


Sgomento e pena tanta, davanti a quel viso di Berlusconi devastato dal Tartaglia. Ma subito, anche, l’angosciosa involontaria sensazione di qualcosa di già visto. Con l’immediato ricordo di quei servizi, più o meno segreti e più o meno deviati, sempre sospettati di oscure regie e manovalanze nella tragica storia della strategia della tensione, dalla prima strage di Piazza Fontana a Milano nel 1969 fino a quella sul treno Roma – Milano del 1984.

Di certo un inconscio condizionamento della storia, il mio. Di me che a quest’età ne ho già vissuta tanta di storia, e certi ricordi ti restano attaccati anche nei brividi di pelle.

Ricordi però lì per lì fugati, stavolta, dall’immediata proclamazione della “follia” dell’attentatore odierno, il Tartaglia mentalmente squilibrato. Un folle che ha potuto indisturbatamente prendere la mira con quel grosso oggetto contundente visibilmente bilanciato in mano, prima di scagliarlo sul capo del governo senza che nessuna fra le sue tante guardie del corpo lo notasse, tutte con lo sguardo rivolto al sorvegliato e non ai sorvegliandi. Ma tant’è. Che l’attentatore fosse un folle aveva insieme fugato dubbi e consolato coscienze, nella speranza d’un gesto isolato senza strategia alcuna.

Anche se intanto, col capo in ospedale a predicare amore contro l’odio – lui che di odio ne aveva sempre scatenato a fiumi contro i “comunisti” annidati ovunque – subito i seguaci portavoce iniziavano una violenta campagna di criminalizzazione del dissenso. A colpire chiunque – magistrati, politici, giornalisti, centri sociali, opinionisti di web e via e via – si fosse manifestato in qualche modo non ossequiente alla pretesa intangibiltà e sacralità del capo, da rendere comunque libero da colpe giudiziarie, protetto nei suoi macroscopici conflitti d’interesse e giustificato nel disegno di rifare la Costituzione a sua immagine e volontà.

Tutti subito accusati, i colpevoli di dissenso a qualunque titolo manifestato, d’averlo prodotto loro il brodo di coltura dell’infame gesto attentatore del Tartaglia. Di esserne i mandanti, insomma.

Ed immediatamente, a ruota, ecco la bomba sedicente anarchica alla Bocconi di Milano, ed immediato riecco allora il ricordo di quanto già visto e vissuto in altre prontissime presenze di anarchici da subito additare ad autori di attentati e stragi – e basti ricordare Pinelli e Valpreda – compiute invece, com’è poi diventata un po’ storia giudiziaria e un po’ generale coscienza civile, dalla manovalanza d’estrema matrice neofascista coperta da organi istituzionali e manovrata dai servizi segreti cosiddetti deviati, anche con propri infiltrati “anarchici” come nel caso del Bertoli per la strage alla questura di Milano nel 1973. E sempre per creare terrore e caos contro il “nuovo” sociale che avanzava a minare lo statu quo della conservazione politica, finanziaria e religiosa. Terrore e caos da eventualmente poi sedare manu militari.

Ed immediatamente, a far corona istituzionale anche in parlamento all’odierna criminalizzazione berlusconiana del dissenso, ecco ancor più forti e istigatrici le accuse di terrorismo a chi più fortemente dissente, sia nella società civile come Travaglio, sia nella politica come Di Pietro. Fino a criminalizzare perfino la Bindi, nella sua dignità di donna col cervello.

Questo il clima d’oggi. A riportare alla mente quel clima dell’inizio anni ’70 nel quale – mentre si andavano diffondendo le voci d’un progetto di revisione autoritaria della Costituzione per una repubblica presidenziale, proprio come anche ora si teme con le mire autoritario-populiste di Berlusconi – arrivò un secondo tentativo di colpo di Stato, il cosiddetto “golpe Borghese” che riportava nuovi timori per la democrazia dopo il “Piano Solo” del generale De Lorenzo nel 1964.

Ma ora vedrai non saranno più necessarie certe cose. Magari basterà che l’opposizione – cosiddetta – la smetta infine di fare opposizione. Cosiddetta.



Dopo l'infame aggressione
Berlusconi assume
pieni poteri
CHIUSA
LA REPUBBLICA!
Ma no la Repubblica giornale
LA REPUBBLICA
ITALIANA!
Napolitano lasciato fori ar freddo,
Dipietro alla macchia, sparita Rosibindi,
dispersa la magistratura



Drammatici sviluppi dell’aggressione ar prèmie’! Ferito nella faccia ma no nelle palle, Berlusconi l’ha fatte subito sentì! Che appena s’è ristabilito, ha chiamato subito il ministro dell’interno.

- Basta coll’indugi, Maroni! Qui bisogna chiude’ la Repubbria di volata!

– Ganzo! – s’è rallegrato Maroni. – E io chiuderei anche ‘r Corriere e l’Unità, così si legge la Padania sola!

– Ah, ma allora sei propio leghista, sai! Devi chiude’ no la Repubbria giornale, la Repubbria italiana!

– E ‘ndove la trovo?

– Dé, nelle ‘stituzzioni! Te primaditutto vai ar Parlamento, e lo sbarri benebene! Tanto, per quer che serve…

– Ma c’è pieno de’ nostri, dentro!

– Appunto! E te quer giorno ‘un ce li fai andà! Ni telefani ammodino, ni dici restate zitti e boni a casa sennò poi Sirvio vi licenzia tutti… Eppoi vai ar Conziglio Superiore della Magistratura, e stoppini anche quello! Poi corri alla Corte Costituzzionale, e ce li brocchi coll’ermellini e tutto! Poi vai ar Quirinale..

– Ma lì c’è Napolitano! Devo chiude’ anche lui?!

- No, lui lo lasci fori! Con questo freddo, vecchio com’è…

E lì però Maroni s’è ‘mpenzierito. Leghista sì, ma fino a un certo punto!

– A me però mi firmi un foglio, Sirvio! No, sai, tantevorte quarcuno venisse a di’ che questo è un corpo di Stato…

E lì Sirvio s’è arzato a razzo ‘n tutta la su’ statura!

- Lo Stato sono io! – ha principiato a urlà coll’occhi perdifori, no propio come Luigi quattordici ma a Napoleone un po’ ni rassomigliava. – Sono io, che ‘r popolo m’ha eletto! Sono io, l’unto der Signore! Sono io, l’omo della Provvidenza| Sono io, che ho messo Emiliofede ar Tiggiqquattro! No, dimmi te sennò chi ce lo teneva, ‘n quelle ‘ondizzioni!... Eppoi ho messo Vespa a Portapporta, ho piazzato Minzolini ar Tiggiuno… Approposito di Minzolini, ora ni dìo subito cosa deve di’!

Che all’indomani ecco difatti l’editoriale di Minzolini ar Tiggiuno:

– Italiani, l’odio comunista ‘un passerà! Ci penza Berlusconi, ora, a sistemalli tutti per le feste! Basta con tutti vest’oppositori che ‘un fanno artro che armà la mano dell’attentatori! Basta con chi ‘un è d’accordo con tutto quer che dice ‘r Capo e semina zizzagna! Basta co’ giudici che lo vogliano giudià come un bischero valunque! Basta co’ siti interne, ‘ndove onniuno ci pole scrive’ ‘osa ni pare! Basta co’ centri sociali ‘ndove di sociale c’è sortanto i pidocchi di tutti vell’agitatori! Basta colle dimostrazzioni di piazza che levano di rispetto ar Duce…

E lì però Minzolini s’è ripreso:

– Uh, scusate, mi sono un po’ ‘mbrogliato, duce Berlusconi ancora ‘un è mapperò ci siamo guasi!

E co’ telespettatori tutti a boccaperta l’ha finarmente detto:

– Contro tutto vest’odio verso i martiri della libertà, contro l’infami comunisti ‘nfilati dappertutto ne’ tribunali e ne’ partiti e ne’ giornali, contro ‘r vile dissenzo d’un’opposizzione preoncetta che ‘un vole rionosce’ a nessun costo l’atorità di chi comanda, contro tutto questo càosse sociale Sirvio Berlusconi ha finarmente assunto i poteri pieni!

Dé, ‘un l’aveva ancora finito di di’, e Dipietro era già alla macchia! E urlava ma io lo dicevo che Berlusconi è un ber fascista ma noi dell’Italia de’ valori con lui ‘un ci s’azzecca nulla, e c’era Demagistris dietro che ni diceva zitto e corri, se ci beccano ci rifanno novi!

E anche la Bindi, poverina, s’è dovuta rintanà! ‘Un la trova più nessuno! Capirai, con tutto quer che ha avuto ‘r coraggio di dinni, a Berlusconi colla faccia sempre ‘nzanguinata e co’ su’ òmini a urlà colla bava alla bocca è tutta ‘orpa dell’odio dell’opposizzione, che la Bindi n’ha detto perappunto ‘un ti crederai mia che ora a fa’ la vittima ce lo butti ‘nculo meglio, vero?!

Che propio ‘nculo lei ‘un l’ha detto, perbene com’è e speciarmente ora che è doventata presidente der partito demogratio che ‘un è dicerto fatto di gente sboccata com’era prima ‘r proletariato vero, ma ‘nzomma s’è capito uguale!

Come derresto s’è capito anche Bersani, che lui ar capezzale di Berlusconi tutto ‘ncerottato all’ospidale non sortanto ‘un ha detto ‘nculo, ma ‘un ha detto propio nulla der tutto, sarvo aguranni a Sirvio di guarì presto e di ritornà a fa’ come prima!

Come prima ‘na sega! Ora che finarmente comanda tutto lui, ce l’hai bell’e portato un’artra vorta ‘n tribunale! N’ha già fatti chiude’ un buggerío, di tribunali, e doranavanti i giudici che ‘un sono ancora scappati ‘nvece della toga si dovranno mette’ la montura militare!

E chissà anche Larussa ‘ome ci gode!

Piesse – In tutto questo crima di gorpe atoritario s’è però levato arto e forte lo sgomento di Napolitano, che ha detto a me a lasciammi fori dar Quirinale ar freddo è ‘no spregio che ‘un me lo dovevan fa’, m’è venuto a mente di quand’ero comunista all’addiaccio a fa’ la resistenza, che brutti tempi erano ragazzi, eppoi ha ‘nvitato un’artra vorta tutti a vedé d’abbassà la voce perché sennò qui ‘un si dorme nemmen più!

Mario Cardinali
IL VERNACOLIERE

29 dicembre, 2009

27 dicembre, 2009

SICUREZZA INFORMATICA: CONVENZIONE TRA POLIZIA E TELECOM ITALIA


(27/12/2009) - Il Capo della Polizia Antonio Manganelli e l'Amministratore delegato di Telecom Italia, Franco Bernabè, hanno sottoscritto presso il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, una convenzione per migliorare la prevenzione e la repressione dei crimini informatici a danno dei sistemi informativi critici della società che rappresenta il primario fornitore italiano di servizi di comunicazione telefonica ed elettronica e gestisce la principale infrastruttura di rete per le telecomunicazioni.
Alla firma erano presenti anche i Direttori della Polizia Stradale, Ferroviaria, Postale e delle Comunicazioni.

Sarebbe opportuno che ci venisse chiarita la natura di questa convenzione negli aspetti operativi, cosa vuol dire che TI "apre" l'accesso ai sui sistemi in favore della polizia? se si a che titolo ? viene saltata l'autorita' giudiziaria?
Dopo lo scandalo TAVAROLI & c/o si istituzionalizza la precedente situazione?

19 dicembre, 2009

E ora Mediobanca va in pressing per le nozze Telecom-Telefonica

GIOVANNI PONS


MILANO — «È chiaro che non c’è alcuna contropartita definita dall’operazione Mediaset-Prisa, ma si crea un credito a favore degli spagnoli su cui si può lavorare ». E su questa base, fa notare un banchiere esperto di materia telefonica, hanno già cominciato a lavorare in Mediobanca gli uomini che fin dal 2007 hanno considerato l’ingresso in Telecom al posto della Pirelli come un “bridge”, in vista di un azionariato più solido e stabile.
L’asse favorevole a una fusione tra Telecom e Telefonica negli ambienti finanziari milanesi è noto: è formato da Alberto Nagel, Renato Pagliaro, dall’ad di Generali Giovanni Perissinotto e dal presidente di Telecom Gabriele Galateri che può contare sulla buona amicizia con Cesar Alierta coltivata ai tempi della Columbia University.
Ma lo snodo vero della possibile operazione è rappresentato dal prezzo a cui si valuta Telecom Italia, prezzo che al momento si colloca a circa metà del valore a cui gli azionisti tricolori hanno in carico le azioni nei bilanci. Certo se Galateri e gli uomini di Mediobanca riuscissero a negoziare con Alierta una valorizzazione delle azioni Telecom intorno a 2 euro il discorso diventerebbe tutt’a un tratto più interessante.
Gli azionisti italiani potrebbero conservare un nocciolo nel megagruppo telefonico di circa il 4%, contro poco più del 7% che resterebbe in capo alle banche spagnole, Bbva e La Caixa. Su queste basi si potrebbe quindi ottenere una governance “bilanciata”, con gli italiani che nel consiglio potrebbero controllare una sorta di minoranza di blocco. Sull’ipotesi stanno ragionando a Piazzetta Cuccia, ed è anche per questo motivo che da giorni girano indiscrezioni su un possibile accordo per l’ipotetica gestione del colosso mondiale Telecom-Telefonica: Alierta presidente, Galateri vice, Linares e Bernabè amministratori delegati con competenze geografiche ben definite. Agli spagnoli andrebbe ovviamente la supervisione di Spagna e America Latina mentre agli italiani l’Italia e un bel pezzo d’Europa.
Messa in questi termini sarebbe difficile anche per i grandi commis della politica ergere le barricate. Da tempo gli uomini più legati a Berlusconi e a Mediaset urlano ai quattro venti che occorre scorporare la rete tlc da Telecom, per salvaguardare l’italianità della prima da eventuali attacchi stranieri. In realtà il desiderio di Mediaset è quello di gestire la crescita della tv via internet in modo che faccia il meno male possibile alla tv generalista.
Con un piede nella rete Telecom scorporata dalla casa madre l’obiettivo sarebbe forse raggiungibile, ma il danno per la società altrettanto consistente. Per questo i grandi soci di Telecom, da Mediobanca, a Intesa Sanpaolo, a Generali, oltre all’ad Franco Bernabè, hanno fatto sapere a più riprese di essere assolutamente contrari allo scorporo. Ma ora che Mediaset è cresciuta in Spagna comprando alcuni pezzi del gruppo Prisa, nel quale è rientrata anche Telefonica, le cose potrebbero assumere una parvenza diversa. E c’è da scommettere che da oggi in poi si rafforzeranno i sostenitori delle nozze Telecom-Telefonica.

LA REPUBBLICA 19-12-2009 pag 40

17 dicembre, 2009

La battaglia di Bernabè per la rete Telecom


Cresce il pressing politico e degli interessi di
Berlusconi per lo scorporo della infrastruttura
Il rischio di un «esproprio» a favore dei soliti noti

Franco Bernabè mangia il panettone2009 alla guida di Telecom Italia. Ed è fiducioso di poter mangiare anche la colomba e il prossimo panettone. Considerati i guai dell’economia e le lotte di potere finanziario, mai sopite anzi semmai accentuate dalla crisi diffusa e dal fatto che soldi in giro non ce ne sono, quello dell’amministratore delegato di Telecom è un atto di coraggio. Soprattutto perchè chi lavora nel vasto mondo delle comunicazioni, dai telefoni a internet passando per tv e giornali, non sa bene cosa succederà domani. Siamo tutti, anche i poveri giornalisti, tra quelli che son sospesi.
Bernabè non ha mai avuto la fama di essere un’estremista o un radicale, è stato un perfetto manager delle partecipazioni statali, quando dopo Tangentopoli ripulì l’Eni e nessuno si ricordò che il manager di Vipiteno qualche ruolo nella costruzione di Enimont l’aveva pur avuto. Da poco più di un anno è tornato in Telecom, da cui era velocemente passato tra il 1999 e il 2000 prima che la sorprendente scalata dell’Olivetti gli impedisse di lasciare il segno sull’ex monopolista.
Un manager quando rientra in un’azienda dove ha già lavorato rischia «solo di combinare cazzate» comedisse una volta un filosofo dell’impresa come Franco Tatò, perché assomiglia a quegli allenatori di calcio che tornati alla guida della vecchia squadra pensano di sapere tutto, vogliono fare i fenomeni e alla fine falliscono. Ma chi è passato nell’ultimo decennio in Telecom è convinto in cuor suo di aver fatto bene e che avrebbe potuto far molto meglio se lo avessero lasciato lavorare.
Telecom è una malattia che ti resta attaccata perchè è una grande azienda, era una bella impresa pubblica che i privati non hanno saputo valorizzare. Telecom è una malattia che ha colpito Roberto Colaninno e Marco Tronchetti Provera, e ha contagiato Bernabè che vorrebbe far vedere quanto vale.
Le telecomunicazioni, e Telecom in particolare, hanno un sacco di problemi. Il principale è che nessuno sa bene cosa saranno tra cinque, dieci anni, come funzioneranno, chi le governerà, come sarà il mercato. Probabilmente tutto - voce, dati, informazioni, tv e quello che volete voi - passerà da Internet.
Bernabè deve guidare Telecom in questo contesto evolutivo. Che abbia le idee chiare o meno sul futuro lo si potrà verificare solo col tempo e lo sviluppo dell’azienda. Però l’amministratore delegato, già oggi, ha un grosso problema. Volente o nolente il suo ruolo sembra infastidire gli interessi di Silvio Berlusconi che, tra molte cose, è anche il proprietario delle maggiori tv commerciali e di un grande gruppo editoriale.
Da qualche settimana nel governo, nel mondo politico, sui giornali confindustriali, è partita una sarabanda attorno all’assetto proprietario, alla funzione, all’apertura delle rete di telecomunicazioni, una delle infrastrutture strategiche del paese.La rete Telecom, è ovvio, è di proprietà Telecom che l’ha creata e pagata. Oggi è uno dei cespiti che offre più garanzie alle istituzioni che devono finanziare il debito della società, attorno ai 33 miliardi di euro. Tuttavia è tanto importante che può essere utilizzata da tutti gli altri operatori di telecomunicazioni. In un passato recente si era anche discusso di un’alleanza tra Telecom e Mediaset, individuando nell’integrazione tra telecomunicazioni e tv una strada per creare un grande campione nazionale.
Una discussione del genere,però, è impraticabile perchè trovi Berlusconi, le sue aziende, i suoi interessi, da tutte le parti, in un gigantesco, irrisolto conflitto.
Adesso i predicatori del mercato, i liberisti della domenica, vorrebbero scorporare la rete da Telecom, quotarla in parte in Borsa, affidarla a un gruppo di soci guidato dalla Cassa Depositi Prestiti del placido Bassanini, con gli operatori di telefonia e tv, compresa Mediaset che avrebbe una quota minoritaria ma significativa.
L’ “esproprio” padronale sarebbe giustificato dal fatto che Telecom non investe sulla rete, e non è vero, e per favorire una maggiore competizione sul mercato. Lo scorporo della rete non è stata realizzata per nessun ex monopolista in Europa, nessuno la propone. In Italia, invece, sì.
Ci provò pure Prodi che, forse, sulle sue privatizzazioni potrebbe fare un bilancio storico.
Allora cosa c’è dietro l’angolo? Comesi spiega questa baraonda? Il problema è che anche i grandi network tv, soprattutto il modello di tv commerciale e generalista, hanno urgente bisogno di avere a disposizione una infrastruttura su cui veicolare nel prossimo futuro i loro programmi.
Potrebbero crearne una di nuova generazione (NGN), tirar fuori un po’ di soldi (8-9 miliardi di euro) e cercare altri soci. Ma vuoi mettere com’è comodo usare, conquistare la rete Telecom?
Aderire a questo piano sarebbe come perdere l’argenteria di casa, senza difendersi. Bernabè non ci sta, ma bisognerà sentire cosa dicono i suoi azionisti: Mediobanca, Generali, Intesa Sanpaolo e la spagnola Telefonica.
In particolare il presidente di Mediobanca, Cesare Geronzi, ritenuto da Berlusconi uno dei pochi banchieri affidabili in quanto «non comunista », avrebbe suggerito ai vertici Telecom di essere più aperti . Il pressing sarebbe più articolato e meno nobile:una riduzione delle già modeste ambizioni de La7, e magari la cessione della rete tv a una mano più amica, il ridimensionamento di trasmissioni pericolose (Lerner e la Gruber...pericolosi?), il mantenimento della direzione Piroso (casomai qualcuno avesse pensato di assumere il disoccupato di lusso Enrico Mentana).
La guerra della rete è difficile. Bernabè non è Biancaneve: è un uomo di potere, esperto di servizi segreti, dotato di un grande equilibrio, anche fisico. Lo scoprimmo sul floor di Wall Street, nel 2002, quando lo vedemmo ballare lo scatenato rock Johnny B.Goode in coppia con Lilli Gruber.
Ora l’equilibrionon basta: bisogna alzare le difese e muovere le colonne delle salmerie.

L’unita’ 17-12-2009 pag. 36/37

12 dicembre, 2009

TELECOM, COLOSSO SENZA STRATEGIE

ALESSANDRO PENATI

DA OLTRE dieci anni si discute dei problemi di Telecom Italia: un tormentone che si ripete fin dai tempi della privatizzazione.
Ma non si parla dell’azienda: servizi offerti, strategie, capacità di innovare, opportunità di crescita. Si discetta, invece, di proprietà e controllo o, meglio, dei problemi degli azionisti di maggioranza, di chi comanda (dei suoi amici e nemici), di piani e interessi del gruppo di controllo. Ma la problematica del controllo è fine a se stessa; non serve a gestire bene Telecom.
In questo contesto, si è aggiunta poi l’interferenza dei governi (di destra e di sinistra), nonostante l’azienda sia, da un decennio, privata al 100%. Così cambiano i nomi, dal piano Rovati del governo Prodi al piano Caio di quello Berlusconi, ma non la sostanza.
La vicenda è nota. Prima c’è stato il problema della montagna di debiti accumulata da Colaninno per conquistare Telecom (senza capitali), e per finanziare una massiccia campagna acquisti. Poi subentrano i problemi di Tronchetti che per ridurre i debiti vende quello che Colaninno aveva comprato; ma poi torna ad accumularne per fondere Olivetti, Telecom e Tim, senza diluire il suo controllo.
Alla fine, bisogna trovare una soluzione per far uscire Tronchetti prima che il debito diventi ingestibile per Pirelli. Ma c’è l’italianità da preservare. All’appello risponde il solito Trio: Mediobanca, con la fida Generali al guinzaglio, e IntesaSanpaolo, “banca di sistema”. Anche se il compito dell’azionista di controllo, cioè definire le strategie di una società, e verificare che il management le metta in atto, non è certo mestiere da banche e assicurazioni. Che anzi avrebbero fatto meglio a preoccuparsi di gestire casa loro.
Così, arriva Telefonica come partner industriale nel nuovo gruppo di controllo; che toglie le castagne dal fuoco a Tronchetti. Ma Telefonica crea più problemi di quanti ne risolva. Prevedibile, visto che le due aziende sono concorrenti. Il connubio apre conflitti di interesse di tutti i tipi: problemi di Antitrust e concorrenza in Sud America; operazioni con parti correlate, come nella cessione a Telefonica di Hansent (e nell’eventuale vendita di Brasile); problemi con le attività televisive, dove Telecom subisce la concorrenza di Mediaset, mentre questa tratta con la controllante Telefonica l’espansione tv nel mercato spagnolo. Senza contare i “piani” di marca governativa, sempre attenti agli interessi di Mediaset, per una rete in fibra che toccherebbe, guarda caso, gli interessi delle tv. In questo suk, non si capisce quale sia veramente la strategia che il Trio ha in mente per Telecom. Ma è chiaro che una simile sequenza di azionisti di controllo è stata deleteria per un’azienda che, a differenza delle altre privatizzate (come Eni, Enel, Autostrade), deve fronteggiare un tasso di innovazione senza eguali (da Facebook all’iPod, sono nati dopo il 2001), operare in un mercato domestico altamente concorrenziale, e in un panorama globale di progressive concentrazioni.
Bisognerebbe ricordarselo quando si parla di privatizzazione fallita. Il vero fallimento è l’ossessione di avere un azionista di controllo; e italiano. Disfarsene permetterebbe di concentrarsi sul futuro l’azienda: negoziando l’uscita di Telefonica, magari in cambio del Brasile; liberandosi di tutte le attività tv al miglior offerente; convertendo le azioni di risparmio per diluire il Trio, e aprire la strada a un aumento di capitale per espandersi e/o ridurre il debito; e lasciando allo Stato il progetto della mega rete in fibra: se vuole, se la faccia, visto che Telecom non potrebbe mai recuperare il costo del capitale.
E lasciando la retorica sul digital divide (come pensare di sviluppare l’economia della Barbagia costruendo un’autostrada a sei corsie fra Nuoro e Arbatax) e sulla internet-tv (in un paese già saturo di televisione), a chi con la retorica ci campa.

da La Repubblica del 12-12-2009 PAG.36

11 dicembre, 2009

ROMANI SFIDUCIA BERNABE'?

Tlc: Romani; serve societa' rete, si muova sistema Paese
ROMA (MF-DJ)--"Ormai mi sembra scontato che riusciremo a chiudere il digital divide. Ritengo invece opportuno immaginare una societa' della rete in cui tutti i protagonisti sono coinvolti e tutti partecipino all'investimento".

Ad affermarlo, nel corso del suo intervento alle giornate di studio marconiane, e' il vice ministro dello Sviluppo Economico, Paolo Romani, secondo cui "c'e' da tener conto del ruolo dell'ex incumbent" Telecom I. e "tutto il sistema Paese si deve muovere". Romani ha citato fra gli altri le Poste, le Ferrovie dello Stato ed Ericsson Italia, spiegando che il numero Cesare Avenia "ha dato disponibilita' a investire 1 mld".

LA SETTIMANA SCORSA DURANTE UN INCONTRO CON I LAVORATORI CHE AVEVANO RAGGIUNTO DIVERSI ANNI DI ANZIANITA' AZIENDALE L'A.D. A RIMARCATO CHE LA RETE NON SI SCORPORA DA TELECOM ITALIA, USANDO UNA METAFORA " è come se si tagliassero le gambe ad un corridore per alleggerirlo e farlo andare piu' veloce"

Banda larga: Bernabe', giusto auspicio Romani ma occorre sperimentare

Roma, 11 dic. (Adnkronos) - Si' all'auspicio del viceministro alle Comunicazioni Paolo Romani affinche' si lavori per una grande infrastruttura che doti il Paese di una rete in banda larga e larghissima, "corretto dal punto di vista politico", anche se i problemi che si pongono concretamente vanno superati attraverso la sperimentazione che Telecom Italia sta portando avanti. E' in sintesi quanto affermato dall'amministratore delegato della societa' telefonica, Franco Bernabe' a margine del convegno su Guglielmo Marconi. Bernabe' ha ricordato che "i programmi di Telecom Italia stanno andando avanti" e che la societa' investe tra il 2009 e il 2011 7 mld proprio per dotare il Paese delle necessarie infrastrutture. "Da parte nostra -ha sottolineato l'ad- non ci sono indicazioni di ritardi o impedimenti, noi vogliamo accelerare la dotazione di banda per l'insieme della popolazione". Cio' detto, "dal punto di vista delle soluzioni concrete ci sono una serie di problemi, va fatta una sperimentazione di varie soluzioni: nei prossimi mesi abbiamo deciso di sperimentare varie formule per avere un indirizzo piu' preciso sulla strada da percorrere". Senza dimenticare, ha precisato Bernabe', "l'aspetto regolatorio: e' in corso una riflessione anche con l'autorita' per le comunicazioni perche' si trovino soluzioni per incentivare gli investimenti nella banda ultra larga".

05 dicembre, 2009

CON LA MANCIA DEGLI EVASORI FISCALI..............


CI si finanzia anche la scuola dei loro figli 130MLN, mentre i ns Ragazzi sono costretti a fare i salti mortali, come noi li facciamo ogni giorno solo che a noi vengono rimessi i loro debiti!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

LA CRISI LA PAGHIAMO NOI !!!!!!! CON IL TFR

La caccia alle risorse ha mietuto
alcune vittime: 3 miliardi di accantonamenti
di Tfr fatti dalle aziende
con più di 50 dipendenti passano dall’Inps al Tesoro e copriranno in
parte il Patto per la salute

LA REPUBBLICA PAG 34 DEL 4-12-09
ARTICOLO DI ROBERTO PETRINI

Anche sul quotidiano in edicola oggi viene riconfermata la notizia


E SULLA VERSIONE ONLINE QUA