16 agosto, 2008

13 agosto, 2008

Storie olimpiche, diversità di vedute

Taismary Aguero è una pallavolista cubana che, prima di diventare cittadina italiana, ha vinto con la maglia del suo paese l’oro alle Olimpiadi di Atlanta 1996 e di Sidney 2000. Poi, nel 2001, durante un torneo in Svizzera, ha lasciato il ritiro delle cubane ed ha raggiunto l’Italia per chiedere asilo politico. Ha quindi sposato un italiano e ottenuto la nostra nazionalità, che automaticamente esclude quella del suo paese d’origine (visto che l’ordinamento cubano non prevede la doppia cittadinanza).

Durante queste Olimpiadi cinesi succede che la madre di Taismary sia morente nel suo letto a Cuba, e che la figlia voglia andare da lei per starle vicino. L’atleta prende l’aereo, e arrivata a Bonn (dove era previsto uno scalo), le comunicano che c’è un intoppo burocratico con le autorità cubane per il suo rientro. Non lo sappiamo, ma molto probabilmente a Cuba si saranno presi del tempo per riflettere sul problema della fuga degli atleti (argomento affrontato in più occasioni da Fidel Castro nel contesto più largo dell’allontanamento dei cervelli e dei talenti dai paesi poveri). Avranno pensato a quale sarebbe stato il messaggio che sarebbe passato negli atleti cubani che invece hanno deciso di mantenere fedeltà al proprio paese, senza andare a cercare più lauti guadagni all’estero. Si, avranno quasi sicuramente affrontato il problema in chiave politica. E come poteva non fare ciò uno “stato in miniatura” (per usare la definizione di Daniele Silvestri nella splendida “Cohiba”) che da 50 anni combatte contro gli embarghi del capitalismo mondiale? Fatto sta che il permesso arriva. Ma è tardi, la madre è già morta. Un dramma personale sul quale in Italia si marcia, criminalizzando Cuba e le sue politiche.

Pochi giorni dopo sui media rimbalza un altro “problema”: quello della detassazione dei premi per le medaglie olimpiche degli atleti italiani.

Valentina Vezzali, oro nella scherma, urla la propria rabbia: “noi non abbiamo i guadagni dei calciatori, non è giusto che dobbiamo pagare le tasse sui premi che riceviamo!”. La sponda politica gli atleti italiani la trovano nel deputato del Popolo delle Libertà Luciano Rossi, fautore di una proposta di legge in tal senso. Dice che “danno lustro al paese”, e che quindi non devono essere penalizzati.

Il premio della Vezzali ammonta a 140 mila euro. Non sono calciatori è vero, ma con quella cifra un operaio magari estinguerebbe un mutuo trentennale… O magari ci sarebbero più soldi per gli indigenti. Eh si, perché ciò che tanti media non dicono è che la proposta di legge dispone che i soldi necessari per coprire la detassazione (500 mila euro per ogni anno da qui al 2010) siano reperiti proprio dal fondo speciale del Tesoro destinato al Ministero della solidarietà sociale. Quando si dice le priorità…

Ma non è un problema. C’è chi ritiene Cuba un paese criminale per essersi presa un po’ di tempo per pensare al da farsi in un caso politico. C’è invece chi tifa Cuba nelle varie discipline sapendo che gli atleti non competono per soldi, ma per la gloria (che è l’essenza vera dello sport). C’è chi pensa che poverini gli atleti italiani sono penalizzati rispetto ai calciatori che guadagnano cifre stratosferiche e loro un po’ meno. C’è invece chi guadagna 800 euro al mese e a quegli stessi atleti che chiedono più soldi avrebbe voglia di mandarli a quel paese.

Diversità di vedute, appunto.

Per Senza Soste, Franco Lucenti

06 agosto, 2008